Malpensa-Linate, il Far West dei cieli lombardi: la spartizione dei voli non è mai decollata
Storia di una convivenza impossibile naufragata sotto il peso delle lobby e della politica: ormai le regole fissate dal governo non contano più. Ma i destini dell'aeroporto cittadino di Milano e di quello bustocco, almeno in linea teorica, erano stati disegnati per essere complementari
di ETTORE LIVINI
L’ormai storico derby fratricida tra gli aeroporti di Linate e Malpensa arriva, dopo anni di silenzi e ipocrisie, al redde rationem. «Milano deve scegliere tra i due scali», ha messo il dito nella piaga Mauro Moretti, l’amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato (ovviamente interessate alla querelle). «Falso», ha risposto il sindaco Giuliano Pisapia, i due fratelli-coltelli possono coesistere «con ruoli ben distinti». Chi ha ragione? Per assurdo tutti e due. Linate e Malpensa, almeno in linea teorica, sono state disegnate per essere complementari. E un decreto dello Stato — il Bersani bis del 2001 — ha fissato le norme per garantire la civile convivenza e un futuro a entrambi.
Peccato non sia andata così: l’addio di Alitalia nel 2008 ha messo ko l’aeroporto bustocco. L’Alta velocità ferroviaria ha rivoluzionato la rotta Milano-Roma (oggi fra le due città volano 1,4 milioni di passeggeri l’anno, contro i 2,47 del 2008). Risultato: i cieli lombardi sono diventati un mini Far West dove le regole non contano più, il Bersani bis è carta straccia, e dove la convivenza fra Linate in versione assopigliatutto e la Malpensa è — come dice Moretti — quasi impossibile.
Le regole del gioco. Il Monopoli del traffico aereo meneghino ha regole precise: Linate — si dice nel Bersani bis — dovrebbe essere un city airport a scartamento ridotto. Il suo compito? Gestire un servizio contingentato verso i grandi hub europei come Parigi, Londra e Amsterdam e una ragnatela di collegamenti punto a punto per l’Italia e gli altri scali minori del Vecchio continente. Questo “tappo” ai servizi dall’Idroscalo avrebbe dovuto garantire il decollo “intercontinentale” di Malpensa. Per un po’ le cose hanno funzionato. Poi la crisi di Alitalia e il boom dei Frecciarossa hanno fatto saltare gli schemi.
L’accordo tradito. I numeri raccontano la storia da soli: Linate oggi fa la parte del leone. Dal Forlanini a Parigi non si potrebbero fare più di 28 voli la settimana (14 per Alitalia e 14 per Air France). Invece, basta guardare i tabelloni, ne partono 85. Stesso discorso per Londra (85 contro 42) e Amsterdam (42 voli reali contro i 14 consentiti). Com’è possibile? Semplice: Alitalia ha interesse a dirottare il traffico intercontinentale milanese verso i voli a lungo raggio dei partner Air France e Klm. Partendo, ovvio, dall’Idroscalo. Parigi e Amsterdam hanno così cancellato i collegamenti da Malpensa e si sono trasferite al city airport, aggirando le norme grazie all’affitto dei certificati di volo dalle tante sigle (Volare, Air One, Alitalia Express eccetera) del socio tricolore. La British Airways si è lamentata e ha ottenuto gli stessi diritti, utilizzando i certificati aeronautici di Meridiana. Uno status quo che va bene a tutti.
Questo traffico semiclandestino di diritti di decollo — tollerato e incoraggiato dalla politica nel nome del salvataggio di Alitalia — è costato carissimo a Malpensa e ha trasformato Linate nel vero hub milanese: nel 2007 a Malpensa transitavano 7,5 milioni di persone l’anno verso destinazioni intercontinentali. Oggi sono 300mila. Al Forlanini è successo l’opposto: da 281mila transiti intercontinentali si è passati a 900mila.
Le ricette del rilancio. Si possono salvare entrambi gli aeroporti come vuole Pisapia? Rispettando il Bersani bis con ruoli chiari e distinti, forse sì. Ma allo stato riportare indietro l’orologio pare complesso e utopico. Anche perché chi dovrebbe far girare al contrario le lancette sono gli uomini e le istituzioni che hanno assistito senza battere ciglio a questa lenta eutanasia di Malpensa nel nome del salvataggio di Alitalia. Chiudere Linate? È una soluzione. Forse quella più semplice e logica. Berlino, Monaco, Stoccolma e Atene hanno calato la saracinesca sui city airport cittadini quando hanno fatto decollare gli hub fuori città. Ma è difficile obbligare il socio di controllo di Sea (il Comune) a un’operazione dallo scarsissimo appeal politico visto che milanesi e lobby varie, i tassisti su tutti, non hanno alcun interesse a veder sparire il Forlanini.
Il miliardo. Chiudere Malpensa? Significherebbe isolare il Nord dal resto del mondo. E buttare dalla finestra il miliardo di euro speso una ventina di anni fa dai contribuenti per il rinnovo dell’infrastruttura. Basterebbe, forse, mettersi a tavolino, ridisegnare i confini dei due aeroporti, collegare l’alta velocità a Malpensa. In una parola pianificare, per una volta, il futuro del nostro trasporto aereo guardando oltre gli interessi a breve termine della politica e di Alitalia. Ma forse, nel nostro Paese, è chiedere troppo.
http://milano.repubblica.it/cronaca/2014/02/11/news/malpensa-linate-78241281/