[TR] Pellegrinaggio a Nagoya


Challenger

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29 Novembre 2006
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Col Giappone avevo i conti in sospeso.
A fine 2019 avevo prenotato voli e hotel per fare un Osaka-Kyoto-Nagoya nella primavera successiva: tutto cancellato causa pandemia e per i 2-3 anni successivi i prezzi erano improponibili.
Primavera 2025, prenoto per un weekend lungo a Okinawa, ma due giorni prima della partenza le previsioni danno pioggia forte tutti i giorni, cancello di nuovo e rimando anche stavolta.
A giugno, completamente inaspettata e con pochissimo preavviso, si presenta un’occasione per lavoro. A Nagoya, per la precisione, ovvero la città santa del turismo industriale, per cui viene naturale attaccarci il weekend. Devo incontrami coi colleghi la sera ma per il resto libertà con i voli.

La tratta PVG-NGO è coperta da un buon numero di voli, tra compagnie cinesi (Spring, Juneyao, China Eastern, Air China) che in periodi “normali” hanno prezzi nel range 200-400 euro a/r, e JAL e ANA che invece stanno tra i 1100 e 2000. Mai capito i prezzi delle giapponesi su queste rotte, l’unica spiegazione che riesco a darmi è che riempiono a sufficienza con gli impiegati delle aziende giapponesi che sono molto numerose a Shanghai e dintorni.

Vado di Spring che ha gli orari più comodi. Arrivo al T2 di PVG dopo due ore di viaggio grazie a vari traffic jam, mollo la mia valigia da ben 5Kg al check-in (pesa di più lo zaino), controlli di sicurezza, e immigration in uscita... il tutto con file molto brevi.
Questo volo parte dal satellite, prima volta che prendo un volo internazionale da lì, ero convinto che fosse dedicato interamente ai voli nazionali. In realtà scopro che non solo c’è un’area per i voli internazionali separata dal resto, ma anche il people mover che collega il satellite, e pure le stazioni, sono divise da paratie e vetrate per separare i flussi di pax.
Il satellite è un gigantesco edificio a forma di H largo 1km, diviso a metà da una barriera, ciascuna metà (S1/S2) serve T1 e T2 ed è collegata dal proprio people mover.
È spazioso ma a livello estetico non all’altezza degli altri due, soffiti bassi, poco luminoso e tanto, tanto grigio. Se non fosse che negozi e ristoranti sono quasi inesistenti, direi che l’ha progettato qualcuno con più esperienza di centri commerciali che di aeroporti. Comunque è pulito e ordinato e con immense distese di sedie vuote.






Sullo sfondo, la foresta di gru che sta tirando su il futuro Terminal 3. Incredibile quanto abbiano costruito (e continuino a costruire) a PVG negli ultimi 20 anni. A poca distanza c’è un altro mega-cantiere per la Shanghai East railway station che presumo sarà collegata in qualche modo ai terminal. Aperture previste nel 2027-2028.


Per fortuna mi hanno assegnato un posto finestrino, così posso ammirare meglio i cantieri e sentirmi anziano. Meteo nuvoloso per tutto il volo...


Spring serve il terminal 2 di NGO, che è essenzialmente un capannone, spoglio ma pulito, dedicato alle low-cost. Durante il rullaggio intravedo un Boeing Dreamlifter parcheggiato lì vicino.
Nagoya si fregia del titolo di “centro del Giappone”, vista la posizione baricentrica, e l’aeroporto di Chubu, aperto nel 2005 su un’isola artificiale (un KIX leggermente piu’ piccolo), l’hanno infatti chiamato anche Centrair.
Alcune parti e strutture del 787 vengono prodotte in fabbriche intorno alla baia, poi trasportate su chiatte fino all’aeroporto, e tenute in un’area apposita in fondo al piazzale sud prima di essere caricate sul Dreamlifter che fa la spola con gli USA.
Appena arrivati ci si rende conto di quanto il 787 sia fonte di orgoglio per la città, con immagini e cartelli un po’ dappertutto. Nella prefettura di Aichi (dove si trova Nagoya) ci sono le divisioni aerospaziali di Kawasaki, Mitsubishi e Subaru (ex-Fuji) più altri fornitori minori del settore aerospaziale.
Da non perdere, proprio di fronte all’uscita del T2, c’è il “Flight of Dreams”, una struttura costruita appositamente per ospitare il primo prototipo del 787, recuperato dopo qualche anno di storage in un deserto americano e fatto volare per l’ultima volta per portarlo ed esporlo a Nagoya.



L’ingresso è gratuito (il posto è sponsorizzato da aziende locali) e l’esposizione è fatta benissimo, ci sono spiegazioni interessanti anche sull’aeroporto, la sua costruzione, le professioni, gli impianti, più modellini e pezzi del 787 forniti da Kawasaki. Ovviamente vedere un 787 così da vicino è un’esperienza magnifica.
















Di fianco ci sono ristoranti in stile (più o meno) USA, uno Starbucks e un irresistibile negozio di cose a tema aviazione. Volendo c’è anche un simulatore, ma solo su prenotazione e i prezzi sono un po’ carucci.
Si può salire a bordo ma solo il cockpit è visibile, protetto da una vetrata, la cabina (sempre che ci sia) è nascosta da una paratia.
Oggi è un giorno feriale e c’è poca gente, ci ripasserò di domenica trovandolo strapieno di gente, soprattutto famiglie con bambini dato che sotto la coda c’è un parco giochi e fanno attività per i più piccoli.


Dopo uno spuntino ad un Lawson con vista su cotanta meraviglia, mi dirigo alla stazione dei treni di fronte al T1. I due terminal sono collegati da un lungo pontile pedonale, oppure da un bus navetta alimentato da idrogeno. Tutto è pulito e tenuto in maniera impeccabile e trasuda Giappone da tutti i pori.


Per raggiungere il centro c’è il treno espresso “μSKY”. Nonostante avessi studiato come funziona coi biglietti, riesco comunque a sbagliare, o meglio, alla biglietteria chiedo il biglietto per Nagoya-Meitetsu e mi rifilano il biglietto “base” mentre su questo tipo di treno servono due biglietti separati: quello che ho già, più un secondo per l’espresso e posto riservato. Me ne accorgo quando, seduto in treno, vengo cacciato da un giapponese a cui ho rubato il posto. Mi rendo conto dall’atteggiamento che la mia non è una semplice svista ma una gravissima offesa.
Vabbeh, sceso dal treno, chiarita la situazione e acquistato l’altro biglietto, torno a bordo e in mezz’ora arrivo a Nagoya dove devo cambiare sullo Shinkansen.
Credo che ai giapponesi piaccia complicare le cose non solo coi biglietti, ma anche con le stazioni, dato che appartengono a linee diverse gestite da diverse aziende di trasporti. Meitetsu è l’azienda di trasporto locale di Nagoya, quindi bisogna uscire dalla stazione, salire al piano di sopra e rientrare in quella di JR Central.
Lungo il percorso ci sono le macchinette per i biglietti, perlomeno qui è più semplice e funziona come sull’alta velocità in Cina: scegli destinazione, classe, posto e paghi.


Dopo pochi minuti di Shinkansen scendo nella ridente località di Hashima, nel mezzo dell’equivalente della Brianza di Nagoya. Raggiungo l’hotel appena fuori dalla stazione e coi colleghi andiamo a cena in una trattoria locale, dove ordinare si rivela più complicato del previsto: nessuno parla una parola di inglese, il menu è scritto a mano su una lavagna (il traduttore non riconosce o da traduzioni a dir poco fantasiose tipo “ormone fritto”) e finiamo per ordinare indicando i piatti degli altri commensali tra le risate dei classici impiegati giapponesi in camicia e giacca già un po’ alticci di sake.

I giorni successivi sono di lavoro, intensi ma interessanti e passano in fretta.
Il venerdì sera il nostro collega giapponese che ci ha accompagnato e fatto da interprete mi lascia alla stazione di Inuyama, dove devo prendere un treno per Gifu. Ma prima passiamo di fianco al vecchio aeroporto di Nagoya, Komaki, che ora serve solo la base JASDF e una manciata di voli regionali esclusivamente di Fuji Dream Airlines con i suoi coloratissimi Embraer (ogni esemplare ha una livrea diversa).
Ci sarebbe anche un piccolo museo di aviazione, ma per mancanza di tempo punto ad altro... il mio collega mi chiede dei miei piani per l’indomani, e gli dico dell’altro museo a Kakamigahara. Salta fuori che lo conosce bene perché prima lavorava in Kawasaki lì vicino e che in passato ha pure volato come passeggero su un volo di collaudo di un CH-47 (“noisy and uncomfortable”, me lo descrive). Passiamo il resto del viaggio a parlare di aerei.
Tra l’altro Komaki è storicamente l’aeroporto di Mitsubishi, qui veniva costruito il famigerato A6M Zero e più di recente doveva essere il sito di assemblaggio del MRJ/SpaceJet, progetto purtroppo fallito in stadio molto avanzato.

Il treno, pieno di pendolari, passa davanti alla sede della Kawasaki di Kakamigahara di cui sopra, fa un sacco di fermate ravvicinate e ci mette parecchio ma è comunque un viaggio piacevole, passato ammirando il paesaggio rurale e le minuscole stazioni, vecchie ma intonse, proprio come il treno.
Arrivato a Gifu prendo la camera in un hotel di fronte alla stazione, trovo un supermarket dove compro del miso da portarmi a casa (alcuni anni fa ho scoperto la zuppa di miso con le alghe e la adoro) e vado alla ricerca di cibo.
Il centro della città è parecchio triste, molti negozi sono vuoti o sembrano falliti.
C’è del cibo ital… ehm… no non riesco a dirlo, ma c’erano le bandierine tricolori sull’insegna del ristorante, roba da far richiamare l'ambasciatore. Peggio persino della carbonara del Seven Eleven. Prometto vendetta mettendo il parmigiano sul sushi.


Ci sono anche ristoranti vietnamiti. Ho scoperto che in Giappone è pieno di immigrati vietnamiti o più in generale dal sud-est asiatico, cosa che non avevo notato nei miei viaggi precedenti… camerieri, commessi e receptionist di hotel. Suppongo arrivati per sopperire alla cronica mancanza di manodopera, e in ogni caso mi sembra che parlino tutti molto bene il giapponese.
Ancora sotto shock per la vista dei piatti italiani, apro Google maps che mostra una certa concentrazione di ristoranti a poca distanza, arrivato sul posto scopro che sono soprattutto bar e locali un filino ambigui con ragazze in abiti succinti, tra l’altro l’unico posto relativamente chiassoso che ho visto in Giappone. Alla fine trovo un posto che fa gyoza e mi butto su quelli.

Al mattino dopo riprendo il treno per Inuyama (non c’erano hotel più vicini al museo, solo a Gifu) ma stavolta scendo alla stazione di Kakamigahara-Shiyakusho-Mae (nome facile da ricordare), poi oltre un’ora di camminata con il caldo torrido lungo una strada che costeggia l’aeroporto che fa parte di una base militare.




Purtroppo oggi non vola niente e le uniche attività sono militari che fanno jogging e una piccola cerimonia di alzabandiera ad un check-point. Ci sarebbe un autobus ma ha pochissime corse nel weekend, perché serve più che altro i lavoratori delle fabbriche intorno. Per fortuna ero ben preparato con acqua e crema solare, e arrivo a destinazione all’ora di apertura.


Il Gifu-Kakamigahara Air and Space museum si trova di fianco all’omonima base aerea nata agli albori della storia dell’aviazione militare giapponese e cresciuta continuamente fino alla seconda guerra mondiale, con accanto le fabbriche della Kawasaki che sfornavano aerei per l’esercito. Tutto il complesso venne raso al suolo dai bombardamenti americani nel 1945, e successivamente fu ricostruito un nuovo aeroporto militare negli anni ’50. Anche Kawasaki Heavy Industries è tornata e ha diverse palazzine accanto all’aeroporto.

Ma torniamo al museo, che ospita molti aerei di produzione giapponese, progettati localmente o costruiti su licenza, rari da vedere altrove e che inizia con un’esposizione esterna (gratuita). Il resto è all’interno di un grosso hangar, ingresso a 800 yen (4.6 euro).

Appena entrati ci accoglie questo Boeing-Vertol 107 costruito su licenza da Kawasaki negli anni ‘60


NAMC YS-11, costruito negli anni ’60 da un consorzio di aziende giapponesi e dallo scarso successo commerciale




Lockheed P-2J Neptune, pattugliatore marittimo con due motori a pistoni e due a getto. Tenuto benissimo nonostante l’età e l’esposizione all’esterno




Shin Meiwa US-1A, anfibio STOL impiegato per soccorso marittimo


Inutile dire che come tutti quelli visti in Giappone, anche questo museo è fatto benissimo, tutto super-interessante, la cura, pulizia e attenzione ai dettagli sono quasi sconcertanti.
Una replica del Wright Flyer


Replica di un francese Salmson 2A2 da ricognizione costruito su licenza in Giappone negli anni ’20.


Modellini


Mitsubishi A6M Zero nella sala dedicata alla Seconda guerra mondiale, più buia e chiusa rispetto al resto del museo, come a voler discretamente ricordare il periodo più oscuro dell’aviazione giapponese


Kawasaki Ki-61 sopravvissuto sverniciato alla guerra




Sala principale




Il piano di sopra è dedicato allo spazio con focus sui contributi ai programmi delle agenzie spaziali giapponesi, americane ed europee. Razzi, satelliti, sonde, rover marziani.






Mock-up a grandezza naturale del modulo giapponese Kibo della ISS, che include una piattaforma esterna e un braccio robotico per gli esperimenti scientifici da condurre nel vuoto dello spazio.


Divertente provare a sentirsi a bordo della ISS!









Quelle nella foto sopra, che sembrano due grosse lampade, sono i tubi fotomoltiplicatori del Super-Kamiokande, un osservatorio sotterraneo che studia i neutrini, sfuggenti particelle subatomiche, che si generano nelle stelle e nelle supernove. L’osservatorio (vicino a Gifu) è una gigantesca vasca di acqua purificata costruita a 1km di profondità sotto ad una montagna, in cui sono installati circa 13,000 di questi elementi.
Qui un po’ di foto sul sito ufficiale: https://www-sk.icrr.u-tokyo.ac.jp/en/sk/experience/gallery/

Nel corso degli ultimi decenni Kawasaki e Shin-Meiwa hanno investito molto in ricerca e sviluppo di STOL, per aerei da trasporto, caccia e idrovolanti.
Come questo aereo sperimentale “Asuka QSTOL” derivato dal Kawasaki C-1






Mock-up in legno utilizzato nello sviluppo del Kawasaki OH-1


Motoaliante N-70 Cygnus, altro aereo sperimentale


Mitsubishi T-2 CCV usato per sviluppare controlli fly-by-wire






Spillone nipponico




F-4EJ Phantom II, uno degli ultimi esemplari ad essere ritirato dal servizio nel 2021




Mitsubishi T-2


Lockheed T-33A


Fuji T-1B




Kawasaki KAT-1


Saab 91 Safir modificato per ricerche STOL


Fuji FA-200


Kawasaki KH-4, derivato dal Bell 47, gli albori dell’ala rotante


Hughes OH-6


Il nippo-tedesco BK 117, prodotto sia in Germania che a Gifu, poi modernizzato in Eurocopter EC145 e ora Airbus H145


La cabina, più stretta e angusta di quanto pensassi


Shin Meiwa UF-XS, grosso idrovolante sperimentale degli anni ‘60 impiegato per lo sviluppo di aerei anfibi STOL, come l’US-1 parcheggiato fuori. Fighissimo




Il museo è veramente bello, peccato solo che non sia ben collegato con il centro di Nagoya. In uscita, un simpatico guardiano del museo, come minimo ottuagenario, mi chiede da dove vengo e inizia a parlarmi per un po’… con me imbarazzato che non capisco niente, ma intuisco che fosse felice di vedermi così interessato agli aerei in esposizione e cercasse di spiegarmi qualcosa. Boh, forse era un dipendente Kawasaki in pensione, alla fine demorde e mi scatta una foto con lo Shin Meiwa sopra.
Ultima cosa da vedere, il negozio di souvenir dove potrei tranquillamente indebitarmi al livello della Boeing attuale.

L’orario è perfetto per beccare una rara corsa del piccolo (ma proprio piccolo) bus che fa un giro dei paesini intorno prima di arrivare ad una stazione del treno. Sono l’unico pax a bordo quindi per oggi è più un taxi.
Rientrato a Gifu, serve spostarsi dalla stazione Meitetsu a quella di JR Central, le separano 500m e ovviamente serve un altro biglietto per Nagoya. Non è proprio comodissimo viaggiare in treno in Giappone. Aiuta parecchio avere una tessera dei trasporti, ma bisogna sempre controllare prima dove è valida.


(continua...)
 
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