Ed ecco la parte OT.
Come dicevo all’inizio, la meta non è affatto turistica. Anzi, il turismo non esiste per una ragione molto semplice: in Sierra Leone mancano le strutture essenziali e le condizioni di vita sono molto difficili. In altri termini, mancano i requisiti sociali ed organizzativi minimi perchè possano svilupparsi attività economiche che richiedono una qualche forma di relazione articolata con la realtà esterna.
Detto in altre parole, nel paese non c'è nulla, ma proprio nulla.
Manca tutto ciò che serve per pensare di assolvere ai bisogni minimi della popolazione che abita quel territorio: impensabile al momento che un'impresa organizzi una struttura di accoglienza turistica.
Le poche strutture che esistono in città sono ben al di sotto degli standards minimi.
Lungo la costa è rimasta solo una piccola guesthouse di un italiano, Franco, che vive da trent’anni in Sierra Leone e che è una sorta di istituzione locale… quando passa lungo la Peninsular (la strada che da Freetown scende lungo la costa verso sud) tutti lo salutano.
I bambini del villaggio di Sussex, poi, lo adorano perché quando gli capita li carica lungo la strada sul cassone del suo pick up per riportarli da scuola a casa….facendogli risparmiare un’ora e mezza a piedi! Ne ho contati almeno trenta sul retro del pick up!
Peraltro, l’albergo è in una zona meravigliosa da punto di vista paesaggistico ed il punto di forza è il ristorante: eccezionale! Carpaccio di pesce, granchio, aragosta i piatti forti.
Ecco cosa si vede dalla veranda del ristorante prima di pranzo, con la bassa marea
e dopo pranzo
Per il resto, qualche tentativo di esplorazione da parte di t.o. internazionali non ha per ora dato alcun frutto.
Il paese è ricchissimo di risorse naturali, tra cui spiccano i diamanti. Ma non ci sono solo quelli, c’è bauxite, oro e altri minerali, legname pregiato. Per non parlare della pesca.
Eppure, è poverissimo. La fortuna, nella sventura generale che ha colpito la Sierra Leone, è che la terra è molto fertile ed il mare pescosissimo. Quindi, la fame è un problema marginale o, comunque, residuale rispetto alla mancanza di infrastrutture essenziali e di servizi, primo fra tutti quello sanitario.
Questo bimbo, con fratellino sulle spalle, tanto per fare un esempio, spacca le pietre piccole con un martelletto riducendole a ghiaia, utilizzata per le costruzioni.
Così passa la giornata e guadagna meno di 2 dollari al giorno.
Ora, è inutile che mi dilunghi a raccontare di quanto è stata terribile la guerra che ha insanguinato il paese per dieci anni e che è terminata nel 2001.
Per avere un’idea consiglio qualche ricerca su internet oppure i bellissimi reportage di tg3 Agenda del Mondo “Un calcio alla fame” e “Ombre d’Africa”.
Da leggere, invece, “Memorie di un soldato bambino” di Ishmael Beah.
Segnalo, inoltre, il bel film “Blood diamond”, con il sempre valido Di Caprio, che racconta in maniera abbastanza veritiera le crudeltà di quella guerra, come i bambini sodato o come le amputazioni sistematiche dei civili.
Ho detto “abbastanza veritiera” nel senso che alcune cose le omette perché troppo forti.
La guerra, comunque, ha lasciato un segno profondissimo: milioni di profughi, quasi un milione di morti, circa trecentomila bambini soldato, un terzo della popolazione femminile stuprata.
Insomma, un’allegria.
Finita la guerra, ci sono stati cinque anni (2002-2007) di interventi umanitari e di ricostruzione.
Le sole UN hanno finanziato progetti per 4 miliardi di dollari all’anno.
Com’è la situazione ora, a otto anni dalla fine della guerra e dopo cinque anni di cooperazione e sviluppo?
Cose positive.
Il tribunale speciale UN per i crimini di guerra funziona e giudica.
Le strutture di governo (ministeri ecc.) sono state ripristinate.
Soprattutto, le scuole. Ce ne sono tante, di tutti i tipi, e anche le famiglie più povere mandano almeno un paio di figli a imparare a leggere e scrivere.
Ecco un’immagine scattata al volo di una scuola e dei bambini all’uscita
Cose negative.
L’economia non riparte, nemmeno quella di base. Quindi, siamo al baratto.
Anche l’edilizia, che nei primi anni della ricostruzione ha avuto un certo fermento, è stagnante. E’ pieno di case iniziate e lasciate a metà.
Queste donne tornano dal mercato più grande del centro città con dei tuberi che costituiscono uno degli alimenti base della popolazione.
Non c’è uno straccio di infrastruttura che sia una: non ci sono le strade, non c’è la luce, non c’è l’acqua.
La sanità è affidata esclusivamente alle ONG che gestiscono gli unici ospedali completamente gratuiti: Emergency a Freetown, MSF nelle cittadine dell’interno, mentre le UN sostengono l’ospedale governativo di Freetown (il celebre Connaught Hospital, dove all’inizio del secolo scorso furono condotti gli studi sulla malaria) dove, comunque, le cure sono a pagamento.
Basta con le parole, lascio un spazio alle immagini, scusandomi per la scarsa qualità delle stesse.
Questo è il paesaggio che si ammira guardando dalla Peninsular verso il mare
La spiaggia del villaggio di Lakka, una decina di chilometri a sud della città.
con una delle padrone di casa, la simpaticissima ragazza che vende stoffe.
Un posto pacifico e tranquillo, uno dei più bei villaggi della zona, con la maggior parte delle case in muratura, sopravvissute alla guerra.
La pesca è l’occupazione principale, alcune delle barche vengono tirate in secco
altre rimangono ormeggiate in questo piccolo ridosso.
Questo, più a sud, è il posto di cui dicevo all’inizio, una splendida laguna divisa dal mare da una lingua di sabbia gialla
Quest’immagine credo sappia molto “di casa” per uno dei nostri forumisti
Qui siamo tra un quartiere e l’altro di Freetown
grandi partite di calcio, seguite da un foltissimo pubblico sul lungomare
ecco, questo è il tipico “emporio” per locali e non solo. Io compravo qui le mie ricariche telefoniche per la scheda sim locale! Notate il “banco del fresco” in basso a destra: un contenitore con il ghiaccio per conservare prodotti alimentari e bibite.
Queste sono le strade della Sierra Leone. Questa è la Peninsular, la strada principale del paese.
Immagine tipica….sono un popolo che ha il culto della pulizia! Anche nelle baraccopoli della città si vedono selve di panni stesi ad asciugare!
La città. Qui siamo lungo la strada principale, quella che porta dal Tribunale UN al Cotton Tree
le case sono vestigia dell’epoca coloniale, bellissime ma mezze diroccate.
il resto, più o meno, è così. Non esiste il quartiere “ricco”, com’è tipico delle altre capitali africane.
Sempre in centro città, notate la ragazza sulla sinistra…. ricordi viventi della guerra
Bene, qui siamo a poche centinaia di metri dal cuore della città, dove ci sono le sedi della banca nazionale, del ministero della giustizia, della compagnia telefonica…..
Quella che avete visto non è nemmeno tanto male come baraccopoli. Dicono che Kissy sia molto peggio. Cinquecentomila persone ammassate in baracche di lamiera senza acqua e luce.
Non si vede benissimo ma questa è una discarica a cielo aperto….nel cuore della città.
Una scuola, la speranza di questo paese
Un’altra scuola, a Goderich
una lingua di asfalto…lunga poche centinaia di metri e poi…..
…. di nuovo terra!
Questi due scatti rendono l’idea della fatica di queste famiglie che lavorano in queste cave artigianali, dove da grossi massi si produce la ghiaia, in un processo per fasi che vede impegnati uomini (massi più grandi spaccati con le mazze), donne (sassi più piccoli con la piccozza) e bambini (con il martello rompono le pietre più piccole)
i sassi vengono usati anche per riempire i buchi lungo la strada. Qui siamo davanti all’ospedale
Uno dei posti più belli, River number 2
una meraviglia di colori, fidatevi, le immagini non rendono!
Il villaggio di Hamilton
una lezione di educazione sanitaria del personale di Emergency alle mamme del villaggio
la spiaggia del villaggio
Scene di vita
una partita di calcio in lontananza
i poda-poda, mezzi di trasporto collettivo, non esistendo mezzi pubblici ci si arrangia come si può….questo è in riparazione
bimbi
pesca
..........
Questo, invece, è l’ospedale di Emergency. Non mi diffondo in spiegazioni sull’attività e sui numeri di questa. Rimando, per chi è interessato, a questo link
http://www.emergency.it/menu.php?A=002&SA=011&ln=It
L’ingresso
e qualche scatto all’interno.
sala d’aspetto del pronto soccorso pediatrico
questa è quasi in tema
una piccola festa per i bimbi ricoverati… alcune scenette recitate da addetti locali dell’ospedale improvvisati attori e musica!
Chiudo con qualche ritratto della Sierra Leone, ringraziando per questi scatti Paul, l’ortopedico italo-francese dell’ospedale….un vero mito!
Come chiudere?
Non saprei, se non dicendo che è un popolo meraviglioso e allegro, che merita ben altra sorte.
Come aiutarli? Senza dubbio un contributo ad Emergency (o alle altre ong che lavorano laggiù) è ciò che possiamo fare noi di questa parte del mondo.
Vi assicuro che sono soldi ben spesi, che contribuiscono a realizzare il sogno “things will be sweet”
Come dicevo all’inizio, la meta non è affatto turistica. Anzi, il turismo non esiste per una ragione molto semplice: in Sierra Leone mancano le strutture essenziali e le condizioni di vita sono molto difficili. In altri termini, mancano i requisiti sociali ed organizzativi minimi perchè possano svilupparsi attività economiche che richiedono una qualche forma di relazione articolata con la realtà esterna.
Detto in altre parole, nel paese non c'è nulla, ma proprio nulla.
Manca tutto ciò che serve per pensare di assolvere ai bisogni minimi della popolazione che abita quel territorio: impensabile al momento che un'impresa organizzi una struttura di accoglienza turistica.
Le poche strutture che esistono in città sono ben al di sotto degli standards minimi.
Lungo la costa è rimasta solo una piccola guesthouse di un italiano, Franco, che vive da trent’anni in Sierra Leone e che è una sorta di istituzione locale… quando passa lungo la Peninsular (la strada che da Freetown scende lungo la costa verso sud) tutti lo salutano.
I bambini del villaggio di Sussex, poi, lo adorano perché quando gli capita li carica lungo la strada sul cassone del suo pick up per riportarli da scuola a casa….facendogli risparmiare un’ora e mezza a piedi! Ne ho contati almeno trenta sul retro del pick up!
Peraltro, l’albergo è in una zona meravigliosa da punto di vista paesaggistico ed il punto di forza è il ristorante: eccezionale! Carpaccio di pesce, granchio, aragosta i piatti forti.
Ecco cosa si vede dalla veranda del ristorante prima di pranzo, con la bassa marea
e dopo pranzo
Per il resto, qualche tentativo di esplorazione da parte di t.o. internazionali non ha per ora dato alcun frutto.
Il paese è ricchissimo di risorse naturali, tra cui spiccano i diamanti. Ma non ci sono solo quelli, c’è bauxite, oro e altri minerali, legname pregiato. Per non parlare della pesca.
Eppure, è poverissimo. La fortuna, nella sventura generale che ha colpito la Sierra Leone, è che la terra è molto fertile ed il mare pescosissimo. Quindi, la fame è un problema marginale o, comunque, residuale rispetto alla mancanza di infrastrutture essenziali e di servizi, primo fra tutti quello sanitario.
Questo bimbo, con fratellino sulle spalle, tanto per fare un esempio, spacca le pietre piccole con un martelletto riducendole a ghiaia, utilizzata per le costruzioni.
Così passa la giornata e guadagna meno di 2 dollari al giorno.
Ora, è inutile che mi dilunghi a raccontare di quanto è stata terribile la guerra che ha insanguinato il paese per dieci anni e che è terminata nel 2001.
Per avere un’idea consiglio qualche ricerca su internet oppure i bellissimi reportage di tg3 Agenda del Mondo “Un calcio alla fame” e “Ombre d’Africa”.
Da leggere, invece, “Memorie di un soldato bambino” di Ishmael Beah.
Segnalo, inoltre, il bel film “Blood diamond”, con il sempre valido Di Caprio, che racconta in maniera abbastanza veritiera le crudeltà di quella guerra, come i bambini sodato o come le amputazioni sistematiche dei civili.
Ho detto “abbastanza veritiera” nel senso che alcune cose le omette perché troppo forti.
La guerra, comunque, ha lasciato un segno profondissimo: milioni di profughi, quasi un milione di morti, circa trecentomila bambini soldato, un terzo della popolazione femminile stuprata.
Insomma, un’allegria.
Finita la guerra, ci sono stati cinque anni (2002-2007) di interventi umanitari e di ricostruzione.
Le sole UN hanno finanziato progetti per 4 miliardi di dollari all’anno.
Com’è la situazione ora, a otto anni dalla fine della guerra e dopo cinque anni di cooperazione e sviluppo?
Cose positive.
Il tribunale speciale UN per i crimini di guerra funziona e giudica.
Le strutture di governo (ministeri ecc.) sono state ripristinate.
Soprattutto, le scuole. Ce ne sono tante, di tutti i tipi, e anche le famiglie più povere mandano almeno un paio di figli a imparare a leggere e scrivere.
Ecco un’immagine scattata al volo di una scuola e dei bambini all’uscita
Cose negative.
L’economia non riparte, nemmeno quella di base. Quindi, siamo al baratto.
Anche l’edilizia, che nei primi anni della ricostruzione ha avuto un certo fermento, è stagnante. E’ pieno di case iniziate e lasciate a metà.
Queste donne tornano dal mercato più grande del centro città con dei tuberi che costituiscono uno degli alimenti base della popolazione.
Non c’è uno straccio di infrastruttura che sia una: non ci sono le strade, non c’è la luce, non c’è l’acqua.
La sanità è affidata esclusivamente alle ONG che gestiscono gli unici ospedali completamente gratuiti: Emergency a Freetown, MSF nelle cittadine dell’interno, mentre le UN sostengono l’ospedale governativo di Freetown (il celebre Connaught Hospital, dove all’inizio del secolo scorso furono condotti gli studi sulla malaria) dove, comunque, le cure sono a pagamento.
Basta con le parole, lascio un spazio alle immagini, scusandomi per la scarsa qualità delle stesse.
Questo è il paesaggio che si ammira guardando dalla Peninsular verso il mare
La spiaggia del villaggio di Lakka, una decina di chilometri a sud della città.
con una delle padrone di casa, la simpaticissima ragazza che vende stoffe.
Un posto pacifico e tranquillo, uno dei più bei villaggi della zona, con la maggior parte delle case in muratura, sopravvissute alla guerra.
La pesca è l’occupazione principale, alcune delle barche vengono tirate in secco
altre rimangono ormeggiate in questo piccolo ridosso.
Questo, più a sud, è il posto di cui dicevo all’inizio, una splendida laguna divisa dal mare da una lingua di sabbia gialla
Quest’immagine credo sappia molto “di casa” per uno dei nostri forumisti
Qui siamo tra un quartiere e l’altro di Freetown
grandi partite di calcio, seguite da un foltissimo pubblico sul lungomare
ecco, questo è il tipico “emporio” per locali e non solo. Io compravo qui le mie ricariche telefoniche per la scheda sim locale! Notate il “banco del fresco” in basso a destra: un contenitore con il ghiaccio per conservare prodotti alimentari e bibite.
Queste sono le strade della Sierra Leone. Questa è la Peninsular, la strada principale del paese.
Immagine tipica….sono un popolo che ha il culto della pulizia! Anche nelle baraccopoli della città si vedono selve di panni stesi ad asciugare!
La città. Qui siamo lungo la strada principale, quella che porta dal Tribunale UN al Cotton Tree
le case sono vestigia dell’epoca coloniale, bellissime ma mezze diroccate.
il resto, più o meno, è così. Non esiste il quartiere “ricco”, com’è tipico delle altre capitali africane.
Sempre in centro città, notate la ragazza sulla sinistra…. ricordi viventi della guerra
Bene, qui siamo a poche centinaia di metri dal cuore della città, dove ci sono le sedi della banca nazionale, del ministero della giustizia, della compagnia telefonica…..
Quella che avete visto non è nemmeno tanto male come baraccopoli. Dicono che Kissy sia molto peggio. Cinquecentomila persone ammassate in baracche di lamiera senza acqua e luce.
Non si vede benissimo ma questa è una discarica a cielo aperto….nel cuore della città.
Una scuola, la speranza di questo paese
Un’altra scuola, a Goderich
una lingua di asfalto…lunga poche centinaia di metri e poi…..
…. di nuovo terra!
Questi due scatti rendono l’idea della fatica di queste famiglie che lavorano in queste cave artigianali, dove da grossi massi si produce la ghiaia, in un processo per fasi che vede impegnati uomini (massi più grandi spaccati con le mazze), donne (sassi più piccoli con la piccozza) e bambini (con il martello rompono le pietre più piccole)
i sassi vengono usati anche per riempire i buchi lungo la strada. Qui siamo davanti all’ospedale
Uno dei posti più belli, River number 2
una meraviglia di colori, fidatevi, le immagini non rendono!
Il villaggio di Hamilton
una lezione di educazione sanitaria del personale di Emergency alle mamme del villaggio
la spiaggia del villaggio
Scene di vita
una partita di calcio in lontananza
i poda-poda, mezzi di trasporto collettivo, non esistendo mezzi pubblici ci si arrangia come si può….questo è in riparazione
bimbi
pesca
..........
Questo, invece, è l’ospedale di Emergency. Non mi diffondo in spiegazioni sull’attività e sui numeri di questa. Rimando, per chi è interessato, a questo link
http://www.emergency.it/menu.php?A=002&SA=011&ln=It
L’ingresso
e qualche scatto all’interno.
sala d’aspetto del pronto soccorso pediatrico
questa è quasi in tema
una piccola festa per i bimbi ricoverati… alcune scenette recitate da addetti locali dell’ospedale improvvisati attori e musica!
Chiudo con qualche ritratto della Sierra Leone, ringraziando per questi scatti Paul, l’ortopedico italo-francese dell’ospedale….un vero mito!
Come chiudere?
Non saprei, se non dicendo che è un popolo meraviglioso e allegro, che merita ben altra sorte.
Come aiutarli? Senza dubbio un contributo ad Emergency (o alle altre ong che lavorano laggiù) è ciò che possiamo fare noi di questa parte del mondo.
Vi assicuro che sono soldi ben spesi, che contribuiscono a realizzare il sogno “things will be sweet”