LALIBELA E L’ ALTOPIANO
Preso il bajaj fino alla stazione sono pronto per la prima esperienza su un bus locale. Lo spazio vitale è minimo e la comodità delle sedute nulla. Dopo aver aspettato che il bus si rimpisse partiamo in direzione Woldia, ma appena mezz'ora dopo ci fermiamo. Rotto. Tutti fuori e si aspetta che un altro pullman passi a prenderci.
La gente mangia di tutto e quello che avanza va in terra. Mi offrono della canna da zucchero e dopo averla succhiata mi rimangono in mano le fibre. “Buttale in terra!” Ovvio.
Dopo 7 ore di sali, scendi, curve arriviamo a Woldia e con una coppia di inglesi sulla sessantina che era a bordo (gli unici faranji incontrati su tutti i mezzi che ho preso) prendiamo un minubus per Lalibela. Dopo quasi 5 ore di strada sterrata, su quella che loro chiama la scorciatoia, arriviamo. La sarata finisce in un “bar” a vedere Liverpool-Man City inseme ad altre 200 persone. Sembra che tutto il paese sia lì.
La mattina me la prendo con calma e sistemo un paio di cose per i giorni successivi. Vado a fare colazione dove non manca l'angolo caffè che in Etiopia è d'obbligo (e molto buono).
Lalibela è la destinazione più turistica d'Etiopia (ma la meno raggiungibile via terra). È un paesino di montagna a 2600 mt d'altezza che custodisce 11 Chiese rupestri patrimonio UNESCO. Le Chiese sono suddivise in 3 gruppi: quello settentrionale, occidentale ed orientale e possono essere monolitche, semimonolitche o scavate all'interno della roccia. Anche in questo caso l'origine è fonte di dibattito. La versione locale attribuisce la loro costruzione a Re Lalibela che intorno al XII secolo, dopo un periodo passato a Gerusalemme, volle ricostruirne una riproduzione per proteggere la cristianità del Regno dalla minaccia araba.
Dopo pranzo vado a visitarle. Il biglietto d'ingresso ha l'assurdo prezzo di 50$! Mi dicono che un paio di anni fa ne costava 15. Però dura 4 giorni...! Già che ci sono prendo una guida ed iniziamo la visita. La cosa che salta all'occhio sono le orribili coperture costruite dall'UNESCO che sovrastano la maggior parte delle Chiese. La mia guida ha una maglietta con scritto “Save Lalibela” e mi dice che è per richiedere al governo coperture più moderne perchè sembra che durante pioggia e vento queste siano instabili.
Il primo gruppo appena fuori dalla biglietteria è quello settentrionale che comprende Bet Medhane Ale, la più grande di tutte le Chiese e probabilmente la più grande Chiesa monolitica la mondo.
Fonte battesimale non più in uso.
Le Chiese non sono solo monumenti, ma vengono vissute dai fedeli durante tutto l'anno.
Sono collegate tra loro da cuniculi e tunnel.
Andiamo poi al gruppo orientale dove vediamo un altro richiamo a Gerusalemme: il fiume Giordano.
Nel secondo gruppo è presente Bet Gabriel-Rafael dove si notano le influenze arabe, altro elemento a sostegno della versione locale.
Per raggiungere le altre chiese del complesso si può passare da un tunnel di circa 50 metri che scende e risale nel buio totale e simboleggia la discesa e la risalita dagli inferi.
Finiamo poi per visitare il gruppo orientale che comprende solo una Chiesa. La più famosa e (per me) indiscutibilmente la più bella che grazie al cielo non è deturpata dalla copertura: Bete Giyorgis (Church of Saint George).
Il giorno successivo, dato che Montezuma si ripresenta dopo avermi risparmiato per un po', vado a far visita all'ospedale locale. Ho ovviamente tutti gli occhi puntati addosso ma il mio stato di faranji credo che mi abbia permesso di saltare un bel po' di fila. Il dottore è giovane e parla un ottimo inglese. Mi prescrive l'esame delle feci dicendomi di prendere la provetta, andare in albergo e tornare perché “potresti non sentirti a tuo agio in questi bagni”. Ma non avendo voglia di fare un'altra mezz'ora a piedi ed avendo già il colpo in canna opto per i bagni dell'ospedale. Prendo la provetta ed eseguo in cesso alla turca pieno di merda ovunque. Forse aveva ragione il Doc. Consegno la provetta al laboratorio che in 15 minuti mi da il risultato: tutto ok, normale infezione intestinale. Torno dal dottore che mi prescrive gli antibiotici da prendere alla farmacia interna. Costo totale di visita+test feci+antibiotici: 2€
Nel pomeriggio faccio un altro giro alle Chiese giusto per ammortizzare il costo del biglietto. Essendo Lalibela molto turistica, la gente quì è un po' più pressante. Niente di clamoroso, ma semplicemente non capisci se ti avvicinano perchè hanno un secondo fine o semplicemente per chiacchierare come succedeva nel Tigray dove la gente ti aiutava in maniera disinteressata.
La mattina seguente parto per un community trekking di 3 giorni sull'altopiano che domina la città. Quel “community” vuol dire che il 70% del guadagno verrà dato alle comunità locali. Infatti, a differenza delle più conosciute Simien Mountains che sono praticamente disabitate, quà si passa attraverso numerosi villaggi, incrociando la gente che fa regolarmente su e giù per andare in città. Con la guida prendiamo un bajaj che ci porta a 2800 mt e ci incamminiamo. La meta di oggi è il “lodge” in cui dormiremo che si trova a 3800 mt. La vista si apre presto sulla distesa infinita di campi coltivati. Si vedono anche gli alberi di eucalipto che, come in altre parti d’Africa, hanno assunto enorme importanza per le popolazioni locali grazie alla loro rapida crescita.
Se Bilotta fosse lo stilista di Ethiopian avrebbe di che sbizzarrirsi!
Uno della moltitudine di bambini pastori che popolano i paesaggi e le strade d’Etiopia. Mi fa sempre un certo effetto e mi provoca un sorriso il vedere come tengano a bada decine di capre, pecore o mucche già a 5-6-7anni!
Ed eccoci in cima all’altopiano.
Sullo sfondo l’ Abuna Yousef (4260 mt), la vetta più alta della zona e la terza in Etiopia.
Mi viene anche da ridere a pensare che tu sei mezzo morto con la scarpa da trekking e lo zaino giusto, poi ti passano le vecchie cariche di ogni con scarpe di gomma cinesi, che vanno avanti e indietro tutto il giorno.
Una distesa di animali ovunque. Il panorama è bellissimo.
Le case tipiche sono fatte da una struttura di pali di legno ricoperta da fango, paglia e all’occorrenza sterco. Si costruiscono in un paio di settimane e durano 10-15 anni.
I bambini saranno la colonna sonora di questi tre giorni con i loro “Hello!” gridati all’infinito, provenienti da qualsiasi direzione e da qualsiasi distanza. Quì infatti si parlano da vallata a vallata con un’acustica da far impallidire gli antichi greci.
In fondo una scuola.
La vita è bella tosta. Si iniziano a preparare i campi per il prossimo anno con l’aratro a mano.
Dopo 4 ore mezzo arriviamo al lodge posto sul ciglio dell’altopiano.
La location che mi danno per il pranzo non è niente male…
La camera è spartana ma assolutamente decente. Il letto è spazioso e pieno di coperte, perchè ovviamente non aspettatevi riscaldamento o acqua corrente. La sera però ti mettono una borsa dell’acqua calda sotto le lenzuola (assolutamente salvavita!).
Il bagno è con vista...
...ma l’interno ti ricorda dove sei.
Gli altri ospiti sono una signora francese e il figlio dodicenne mezzo etiope, che hanno raggiunto il lodge in macchina. Per il prossimo anno gireranno il mondo. Dopo essere stati un mese in Israele, passeranno un mese in Etiopia e proseguiranno per la Russia. Mi dice che il governo francese da la possibilità (pagando) di far scaricare le lezioni per tutto l’anno scolastico.
Il pomeriggio faccio un giro nei paraggi e poi finiamo per fare un partitella 2 vs 2 ad alta quota.
Già dal primo pomeriggio si alza un vento freddo che mi fa congelare nonostante abbia portato dei vestiti pesanti. Nella “clubhouse” viene acceso il fuoco. Il problema è che non esiste uno sfiato in queste costruzioni per cui, se il legno non è secchissimo, il fumo invade la stanza. Il primo giorno era insostenibile.
Il lodge è gestito sia dall’agenzia locale che dalle comunità. Infatti la sera arrivano alcuni capi villaggio che, come loro usanza, ti fanno il lavaggio dei piedi con l’acqua calda (che vista la mancanza di doccia è una manna). Poi si mangia e vado a letto.
Il giorno dopo partiamo con uno di loro che ci accompagna per un pezzo di strada. Va al mercato che si tiene non molto lontano. Per i capi villaggio essere armati è d’obbligo.
Due delle tante persone che si dirigono al mercato con animali al seguito.
Si prosegue entrando nell’Abuna Yousef Park.
Ci arrampichiamo poi su una vetta che la guida mi dice essere alta come l’Abouna Yousef. Non lo è chiaramente ed il GPS me lo conferma (siamo a poco più di 4000 mt) ma essendo già stremato abbozzo e la splendida vista a 360 gradi è per me sufficiente.
Dopo il pranzo al sacco riscendiamo dall’altro lato ed incontriamo i babbuini Gelada. Non si lasciano avvicinare facilmente come gli altri babbuini che ho visto in passato, perchè hanno paura dei pastori che immagino non si facciano problemi a prenderli a mazzate.
Il maschio è di una bellezza regale.
Questa sorta di palma cresce solo ad alta quota.
Lui non trovava più le sue capre. Ovviamente essendo capre di montagna finiscono per pascolare nei posti più impervi.
Ed ecco dove eravamo poco prima.
Arriviamo poi ad un villaggio dove ci fermiamo per un caffè. Ci portano anche del cibo e quella che loro chiamano birra locale, una birra molto artigianale non troppo alcolica. Ma avendo appena pranzato e non piacendomi la birra assaggio solo per non offendere. La casa è ben rifinita rispetto ad altre. Stalla sotto, dormitorio sopra. Appena fuori, una capanna dove ospitano i turisti tramite la solita agenzia. Inizialmente avevo optato per questa opzione ma, essendo da solo, avrei dovuto pagare di più e data la mia situazione di salute ho preferito optare per qualcosa di più “comodo”.
Dopo più di 8 ore siamo di nuovo al lodge. Il GPS mi dice alla fine i chilometri saranno 26 con 1100 mt di dislivello. Lasciatemi morire quà.
Il cielo stellato è però uno spettacolo.
Il giorno dopo torniamo a Lalibela passando per il versante opposto rispetto all’andata. Questa zona è conosciuta anche per l’ottimo miele che viene prodotto. Passando per i campi veniamo attaccati e punti da un’ape. La guida mi dice che nella cultura locale significa che sei in salute. Sarà...
A parte questo inconveniente in 4 ore siamo giù.
Mi prendo il pomeriggio di riposo consapevole del fatto che dall’alba successiva mi aspettano 3 giorni di viaggio per arrivare alla mia ultima destinazione.