DANCALIA E AFAR
Mekele è anche la base di partenza per chi vuole addentrarsi in Dancalia. L'unico modo per farlo è tramite un tour organizzato, ed io qualche giorno prima ne ho prenotato uno di 3 giorni con un'agenzia locale che avevo contatto prima di partire.
La mattina però mi colpisce puntuale la Vendetta di Montezuma in salsa africana. Non il top visto cosa mi aspetta nei prossimi giorni...
La macchina mi passa a prendere ed insieme ad altre tre ragazze irlandesi, facendosi spazio tra i soliti pastori con bestiame al seguito, ci dirigiamo verso uno dei luoghi più infernali del pianeta. Passati i bellissimi campi coltivati del Tigray si apre davanti a noi la Rift Valley e, superato qualche posto di blocco, poco dopo siamo nell'Afar.
La Regione è prevalentemente musulmana ma non ci sono problemi di sorta con i cristiani. Nei villaggi che passiamo non è raro vedere una moschea ed un chiesa una di fronte all'altra.
La povertà qua è veramente tanta. Molte abitazioni sono un semplice ammasso di stecchi.
Ci fermiamo per il pranzo dove ci raggiunge la seconda macchina del nostro gruppo con due antropologhe Giapponesi in visita solo per oggi. Vivono ad Addis e studiano le tribù della Valle dell' Omo. Alla domanda com'è vivere in Etiopia la risposta è “Alcune volte difficile”. Non mi viene in mente qualcosa di più fuori dal mondo di una giapponese in Etiopia!
Mangiato il nostro pranzo faranji si riparte.
Poco prima di giungere alla nostra meta giornaliera ci fermiamo per caricare la guardia armata.
Questa zona fino a qualche mese fa, essendo a pochi chilometri dal confine eritreo, era considerata ad altissimo rischio. Infatti, in passato è stata teatro di rapimenti e attacchi che, sul “vicino” Erta Ale, hanno portato alla morte di 5 turisti nel 2012 ed 1 nel 2017.
Noi ne facciamo montare su una ma la guida ci dice che, vista la situazione attuale, viene fatto più per aiutare l'economia locale che per un reale bisogno. Solitamente per un gruppo come il nostro ne avrebbero prese 6-7.
Si prosegue entrando nella grande Piana del Sale che una volta era parte del Mar Rosso.
Lasciate le macchine ci incamminiamo. Siamo a -116 metri e ci sono 45°. La guida ce lo presenta come il posto più caldo al mondo e non stento a crederci. Dopo 5 minuti l'acqua che mi sono portato dietro è diventata tè caldo.
Non sono un geologo ma a quanto ho capito il Dallol (oltre ad essere il nome della vicina cittadina fantasma) è un cratere vulcanico collassato che presenta spettacolari formazioni, gayser e sorgenti acide dovute all'incontro tra il magma e il sale, molte delle quali nate in seguito all'ultima esplosione del 1926 ed in continua evoluzione. I colori psichedelici sono il risultato dell'alta presenza di minerali come potassio, magnesio e zolfo. Proprio gli italiani hanno costruito la prima miniera di potassio durante la prima guerra mondiale seguiti poi dagli Americani negli anni '50 che che hanno abbandonato il sito negli anni '60 a causa delle condizioni proibitive.
Sarà stato il caldo ma ho dei ricordi un po' confusi di quei momenti! Torniamo alla macchina e si riparte facendo un po' di soste.
Questo è un “lago” in ebollizione a causa del gas sottostante. Essendo disciolti molti minerali la consistenza dell'acqua è oleosissima ed infatti la popolazione locale la usa come rimedio per la pelle.
Questa spaccatura nella crosta di sale è invece collegata direttamente al Mar Rosso. C'era la possibilità di fare il bagno ma vista la mia situazione ho rinunciato a malincuore.
Proseguendo incontriamo una carovana del sale pronta a partire. Quì, infatti, gli Afar estraggono le lastre di sale, rigorosamente a mano, che vengono poi caricate sul dorso dei dromedari e portate sull'altopiano per essere vendute. Siamo fortunati perchè la stagione è appena ricominciata dato che in estate si interrompe a causa delle temperature proibitive che possono superare facilmente i 50° (invece a 45° si sta da Dio!).
Avevo letto che ormai vista la costruzione di una strada (cinese ça va sans dire), l' esistenza delle carovane era a forte rischio. Chiedo dunque alla guida se ormai è una cosa turistica o no. Mi risponde che effettivamente la strada c'è, ma gli Afar si oppongono perchè toglierebbe loro il lavoro e, non di seconda importanza, per non perdere la loro cultura.L'antropologa giapponese mi dice che un collega tedesco ha fatto un documentario seguendo la carovana per 6 giorni.
Per arrivare a Mekele e tornare ci metteranno circa 2 settimane.
Pochi minuti dopo ci fermiamo sul lago Assale. Dopo essere stato ad Uyuni niente è paragonabile, ma è sempre un bel vedere!
Dopo 3 ore buone arriviamo alla “guesthouse” dove veniamo messi su dei materassi stile arabo. Prevedibilmente, vista la giornata ed i miei gorgoglii intestinali, la situazione si trasforma presto in una bagno di...sangue! Fortuna che c'è almeno un cesso (alla turca) ed una doccia (fredda).
Passata la nottata più di là che di qua, mi imbottisco di imodium e si riparte alla volta della prossima destinazione: il vulcano Erta Ale.
Purtroppo non è più l'Erta Ale di 3 anni fa, quando si poteva vedere un lago di lava permanente ad una decina di metri dal cratere. Nel 2015 un'eruzione ha fatto raddoppiare la grandezza del cratere e provocato la discesa del lago di 40-50 metri. Inoltre mentre prima era sempre visibile, adesso lo è raramente a causa del fumo. Insomma, devi avere culo.
Per strada si iniziano a vedere i risultati delle eruzioni passate. La zona è circondata da vulcani.
Cinesi sempre presenti. Anche quì stanno costruendo una strada.
Gli ultimi 60 chilometri li percorriamo in due ore e mezza buone, tra deserto e, soprattuto, lava su cui andiamo a passo d'uomo. In lontananza vediamo la nostra meta.
Arriviamo al campo base, delle capanne in pietra immerse in una valanga di spazzatura.
Le guide preparano i cammelli che porteranno il materiale in cima. Saranno poveri ma i kalashnikov non mancano.
Mangiamo e aspettiamo che cali il sole per partire. Nel frattempo sono arrivate numerose macchine di altre agenzie, ma partendo per il trekking in orari differenti ci accorgeremo appena della loro presenza.
Una di queste macchine fa parte del nostro gruppo. Sono quattro ragazzi cinesi. Rimango sconvolto quando uno di questi, che lavora come infermiere in un ospedale statale di Shangai, mi dice che ha solo 5 (C-I-N-Q-U-E) giorni di ferie l'anno! Dopo 10 anni 10 giorni, dopo 15 anni 15 giorni!
Passate un paio d'ore partiamo per fare le 3 ore che ci separano dal cratere. Tre cinesi affittano il cammello per andare su, ma data la scomodità se ne pentiranno presto.
Si cammina con la torcia sulla lava dura e tagliente seguiti da un paio di guardie armate. La poca vista che abbiamo è sciupata da buche piene di bottiglie di plastica. Davvero non capisco...c'è bisgno di essere ricchi per capire che fa semplicemente schifo?
Facciamo 2-3 soste per rifiatare godendoci il lo spettacolare cielo stellato sopra di noi, momento in cui l'infermiere decide di mettere la musica improvvisando un karaoke cinese. Grazie al cielo alla seconda volta la guida chiede di spengere.
Un'altra ragazza cinese, dopo essere scesa dal cammello per camminare, perde completamente la suola della scarpa suscitando l'ilarità e la rivalsa delle guide “Made in China! Made in China!”
Ad una ventina di minuti dalla cima inizamo a sentire le esalazioni di zolfo che provengono dal vulcano ed iniziamo ad indossare le sciarpe e le maschere.
Arrivati in cima posiamo qualcosa nel campo dove dormiremo stanotte e ci dirigiamo al cratere.
Quì la lava è recente ed è molto friabile. Come prevedibile il fumo è tanto e non si riesce a vedere niente. Però si riesce a sentire. Quello che inizialmente sembrava il rumore del vento si rivela essere invece il gorgogliare e l'esplodere della lava sottostante.
Aspettiamo un po' per vedere se cambia il vento e poi torniamo, ci riproveremo la mattina seguente.
Torniamo al nostro giaciglio per la notte che sono le 23 passate e la sveglia sarà alle 3.30.
Nonstante l'imodium abbia svolto la sua funzione fino a questo punto, sono comunque costretto a lasciare una traccia del mio pasaggio sull'Erta Ale.
La mattina torniamo sul cratere dalla parte opposta perchè il vento è girato e riusciamo a vedere, molto in lontananza e per una trentina di secondi, un po' di lava sul fondo. Purtroppo il meglio che sono riuscito a fare è questo (dalla foto appare più rossa di quel che era in realtà).
Dall'ultima eruzione si sono aperte altre spaccature in cui si può vedere la lava in superficie, ma si trovano a diverse ore di cammino e non è molto sicuro vista l'instabilità della lava fresca. Credo si possa andare solo con apposite spedizoni.
Riscendiamo al campo base all' alba e vediamo dove avevamo camminato la sera prima.
Fatta colazione ci dirigiamo verso il lago salato Afrera (o Giulietti) dove facciamo un bagno. L'alta presenza di sale ti fa galleggiare tipo Mar Morto. Appena dietro la spiaggetta è presente una sorgente termale con acqua caldissima. Vista la temperatura esterna non sarà il top, ma mi immergo comunque per pulirmi del sale.
Appena fuori dal lago sono presenti le vasche di raccolta del sale.
Dopo pranzo ripartiamo per Mekele, che raggiungiamo dopo qualche ora, e lasciamo le tre irlandesi direttamente al “Mekelle Alula Abanega International Airport". Peccato che le uniche 2-3 destinazioni che hanno siano tutti entro in confini nazionali!
Arrivo all'agenzia e, dato che nel prezzo mi ero accordato per farmi includere il trasfert per Lalibela, chiedo a che ora fosse. Il proprietario mi dice che non ne avevo più parlato. Ovviamente gli faccio vedere il messaggio di pochi giorni prima in cui ne parlavo eccome. Mi dice che allora ok, domani alle 9.
Mi dirigo alla guesthouse in cui ero stato l'ultima notte quà. Il giorno prima della partenza per il tour avevo detto alla proprietaria della guesthouse “Sabato torno, prenoto una camera ok?!” “OK” “Capito? Per Sabato!” “Ok, no problem!”. Appena varco la soglia e mi vede, mi guarda come se avesse visto la Madonna: “FULL!” mi dice. Alchè mi scappa un italianissimo “MA COME FULL CAZZO?!”. Dopo scuse e controscuse mi avventuro tra le strade limitrofe in cerca di un hotel e dopo 5-6 tentativi andati a vuoto vado a segno.
In hotel incontro due ragazzi eritrei che appena scoprono che sono italiano vanno in brodo di giuggiole invitandomi per un caffè. “Fratello! Devi venire ad Asmara! È una seconda Roma! Ha fatto tutto Mussolini!” e mi snocciolano una serie di parole italiano che usano correntemente tipo “marciapiede!”.
Di eritrei ce ne sono tanti quì a Mekele da quando è stato riaperto il confine, uniti a questa regione dal fatto che parlano la stessa lingua: il tigrigna. Vengono per trovare famiglie che non vedevano da anni o, come loro, in cerca di buisness. Gli eritrei che ho incontrato erano tutti entusiasti dell'Italia. Non che gli etiopi fossero ostili ma la percezione credo che sia diversa (per dire un paio di ragazzini mi hanno urlato scherzosamente “Adwa! Adwa!”)
Quando mi chiedono “Ma in Italia si parla dell'Eritrea?” non sapendo cosa dirgli dico che sì, a volte si parla dell'Eritrea...mi hanno fatto tenerezza e lasciato un sentimento di sedotti e abbandonati.
Poco dopo mi contatta il ragazzo dell'agenzia per mandarmi un emissario all'hotel e farmi dire che (guarda caso!) l'autista che veniva da Lalibela ha avuto un incedente e quindi mi rimborserà il costo dell'autobus. Ovviamente gli dico che è molto difficile da credere, ma non ho voglia di tirarla troppo per le lunghe e accetto. Domattina altra sveglia alla 4.