L’antico vaso andava messo in salvo…
OK, abbiamo parlato di cose amene, e di cose un po’ piu’ tristi. Ora viene il momento di parlare di cosebbrutte: di quella volta che ho fatto da corriere (o meglio, da mulo) per Dancrane. Non ne vado fiero, eh, ma ognuno di noi ha un passato. (NdR: chiedo scusa per gli apostrofi invece degli accenti, purtroppo il laptop che uso non ha la tastiera italiana).
Antefatto: Dancrane aveva appena archiviato un viaggio il cui splendido Trip Report si concludeva con queste amene parole d’amore per il povero Dreamliner:
Caro Sokol, è sempre un piacere venirti a trovare e fare giri dell’oca pur di raggiungerti. Come hai visto, pur controvoglia, ho fatto, come mi hai chiesto, il TR del viaggio. Ora una cosa sola ti chiedo: BRUTTO STR@@@O RISPEDISCIMI LA VALIGIA!
Da cui verrebbe a pensare che il suddetto Dreamliner avesse giocato qualche tiro mancino all’aviopirla di Lambrate. Ma, e so di stupirvi, cosi’ non e’.
L’aviopirla, infatti, ha fatto tutto da solo. Mi spiego: come ho potuto scoprire a mia volta, i traghetti da Victoria (sull’isola di Vancouver, BC, Canada) a Tsawwassen (altrimenti nota come la Lampugnano di Vancouver) hanno un complice servizio di trasporto bagagli. In soldoni uno sale a bordo del panfilo e si trova di fronte a due nastri trasportatori, uno etichettato “Vancouver citta’” e l’altro “Vancouver aeroporto”. A prescindere dalla scelta la propria valigia verra’ messa sul bus che porta o in citta’ o all’aerostazione (esiste sempre la terza opzione, ossia tenersi il bagaglio). Un sistema semplice, funzionale, a prova di nutria.
Ma non di Dancrane, evidentemente. Lui vi tirera’ non so quante pippe per spiegarvi che, quel giorno, Giove era allineato con Saturno, c’era un piccione appollaiato sul cartello e aveva appena cambiato le lenti a contatto e c’era stato uno scambio di bus, il gomito faceva contatto col piede e chissa’ cos’altro... ma la cruda, crudissima realta’ e’ che ha sbagliato nastro. Insomma, la preziosa valigia di Dancrane era rimasta in Canada, per di piu’ nelle mani di Dreamliner dopo che la societa’ dei traghetti aveva chiesto all’aviopeerla 500 sacchi per spedirgliela a Lambrate. Immagino che Sokol gliene abbia chiesti 1000.
Tutta ‘sta pappardella per concludere che, saputo il problema, mi viene un’idea veramente da genio: scrivo a Dancrane per proporgli che per 300 sacchi britannici – il costo del biglietto in standby, non sono ladro – sarei andato io a prendergli l’agognato collo e che, poi, ci saremmo trovati per una complice birretta al caro, vecchio White Horse alla prima occasione. Non faccio a tempo a scrivergli che mi arrivano i suddetti 300 sacchi da un conto delle Cayman, di cui poi leggero’ nelle
Panama Papers. Non voglio fare domande.
Il piano e’ diabolico: venerdi pomeriggio, 17h15, BA85 per YVR, arrivo previsto alle 19h00 locali. Un’oretta, un’oretta e mezza di connessione e poi saltafossi di Air Canada per Victoria. Appuntamento con Sokol, cena chez lui, ricongiungimento con la valigia, debito controllo della stessa per evitare di trovarci cose “strane”, notte, ritorno a Vancouver, sabato in citta’, decollo nel pomeriggio con Virgin e arrivo domenica a Londra alle 10h00 circa. E ovviamente non una parola ai frontalieri sul fatto che sto andando a recuperare una valigia non mia.
Sbrigo la giornata lavorativa e, in men che non si dica sono al Terminal 3. Oddio, in men che non si dica. All’epoca seguivo un progetto in Engineering, per cui mi tocca uscire dal Technical Block C, perdere il bus navetta, camminare fino a Hatton X, prendere un bus (il 555) per Heathrow Central e, da li, finalmente, sono al 3.
Il volo e’ dato abbastanza pieno, ma stranamente ricevo subito un posto: mi chiedono pure se voglio finestrino o corridoio. Libidine! 45D per me, e la cosa migliore e’ che il 45E rimarra’ persino vuoto.
L’aereo a fare gli onori oggi e’ G-CIVN, uno dei Mid-J. Victor-November s’e’ fatto tutte e 12 le battaglie dell’Isonzo e si vede. Giusto qualche giorno prima 8200 s’e’ fatta un PHX-LHR e mi ha detto che soltanto il suo equipaggio ha dovuto riempire tre pagine di difetti nel tech log. A me, sinceramente, importa poco: e’ il 747, e a me garba.
Saliamo a bordo in orario, malgrado il volo abbastanza pieno e, soprattutto, la clientela abbastanza attempata. Vancouver e’ – era – un porto importante per le crociere e, almeno qui in Inghilterra, chi fa – faceva – le crociere e’ coscritto di Matusalemme. Con l’esclusione di una ragazza al 45C sono l’unico, nella mia zona, a essere nato dopo la presidenza Reagan e mi tocca aiutare tutti – ma dico tutti – a metter via valigie e bastoni. Mi ricordo di aver messo via sette bastoni; in caso di evacuazione, mi dico, siamo fottuti.
Brutta notizia: congestione in aeroporto, abbiamo lo slot tra un’ora. Con i venti contrari, poi, pensiamo di ridurre il ritardo a mezz’ora se va bene. Mi sa che la mia connessione alle 20.15 e’ bella che andata, ma se non ricordo male ci sono altri due voli dopo. Vedremo. Nel frattempo arriva un assistente di volo, confabula con la ragazza al 45C, le chiede di seguirlo e lei sparisce, in avanti.
Decolliamo, inizia il servizio, prendo un triplo Southern Comfort e ginger ale per dormicchiare un po’, e passa la capocabina. Mi fa segno di seguirla in galley e, una volta li, mi fa “Ma tu che ci fai ancora qui in Traveller?” “Bevo”, rispondo io. La faccio breve: sono l’unico staffer a bordo e l’equipaggio, come spesso succede, aveva pensato bene di farmi un upgrade... se non fosse che l’uomo investito di tale ruolo ha capito roma per toma e ha deciso di spostare in First la ragazza seduta di fianco a me, che nulla sapeva e, soprattutto, per BA non lavorava. Segue attimo di panico e di ricerca di un posto libero “la’ davanti”. Nulla. First, piena. Traveller plus, piena. Ci sarebbe un sedile non-op in Club ma decido di passare e di tenermi i miei due sedili di Economy. Pazienza, e’ una missione di soccorso, questa, non una scampagnata.
Arriviamo a Vancouver in una serata veramente incredibile. Riesco a intravedere, dai finestrini, le montagne arrossate dal tramonto, la foresta dei grattacieli che brilla come quarzo di roccia, il mare che scintilla e il verde scuro delle foreste. Siamo pero’ in ritardo, porca la pupazza. Faccio qualcosa di cui mi vergono profondissimamente fin’ora, ossia scendo senza aiutare nessuno degli ultraottantenni a cui ho stivato le valigie. Corro a perdifiato, sorpassando cani e porci, schivando pecore e vacche, fino alla dogana. Ricordo di aver visto un’ampia sala moquettata, con tanti sportelli, ma anche una comitiva di asiatici in arrivo, con tanto di guida con la bandierina. Mi scaravento giu’ per le scale e passo davanti a tutti, trovandomi faccia a faccia con una solertissima e serissima doganiera di chiare origini coreane.
“Quanto tempo stai in Canada?”
“Due giorni”
“Affari?”
(Io mi rendo conto di non essermi inventato una storia. Vado a capella, cercando di non menzionare valigie)
“No, piacere”
“Per due giorni?”
“Eh si, lavoro per una compagnia aerea...” (sventolata di badge, sequenza di balle su concessions che scadono e balle varie).
“Indirizzo in Canada?” le indico quello di Sokol.
“E questo qui chi e’?”
“Un... amico”
“Come lo conosci?”
“Eh... da Internet”
“E tu vieni qui per vedere un amico che conosci su Internet per due giorni?” il messaggio tra le righe e’ eloquente. Non potevi trovare nessuno a Londra per trombare?
“Eh...”
Timbro, e via di corsa. Sono le otto meno venti, e arrivo al banco delle connessioni domestiche. Il personale di Air Canada e’ gentilissimo e mi lascia andare airside, ma mi annuncia che ho perso il mio volo delle 20.15. E che gli altri due dopo sono pieni. Sokol, via telefono, e’ gentilissimo. “Somaro dovevi venire prima ora xe te ciapa’” o cose simili. Ammazzo il tempo a guardare l’imbarco di voli per posti tipo Prince Rupert, Regina e Saskatoon, gonfi di omoni in camicie a quadri, pantaloni mimetici e cappelli con loghi di produttori di motoseghe. I dipendenti di Air Canada sono veramente d’oro, e fanno il tifo per me: ci sono un paio di connessioni corte da Winnipeg, dai che ce la fai. E invece ce la fanno i winnipeggari, o comesidice.
”Sorry bud” mi dicono, ma almeno ricevo la BP per il primo volo di domani, AC8055, alle 07.00. Sokol mi scrive che sono un mona, e quando provo a chiamare Dancrane la sua segretaria mi risponde che “l’hotel non rientra nel budget”. Panchina sara’.
Cammino per il terminal domestico, e scopro con orrore che il bar sta chiudendo. Compro due bottiglie di birra – limite massimo – e un panino indegno, e poi si fa il momento di dormire, come i barboni, su una panchina. Sono da solo nel terminal domestico, ma di tutti gli aeroporti dove m’e’ capitato di dover fare il barbone questo e’ di gran lunga il migliore.
Il mattino dopo sono all’imbarco per primo, e mi godo quei venti minuti di volo che sono, come diceva il nostro Dreamliner prima che si desse ai soli resort di lusso e grandi dormite in First, bellissimi. Ad attendermi all’aeroporto c’e’ nientedimeno che Lui, assieme ovviamente alla valigia e a quell’autobus che Dreamliner usa a mo’ di furgone. Passiamo grossomodo un’oretta insieme, di cui 45 minuti a percularmi, e poi navighiamo verso il terminal dei traghetti, dove mi aspetta il ferrybbboat per Tsawwassen. Non essendo Dancrane non ho problemi a spedire la valigia dove non devo.
Non puo' essere NW senza Alaska e senza il Berlusca in coda.
Il viaggio in traghetto e’ bellissimo. I panorami sono splendidi, la brezzolina una meraviglia, il fumo che ragazzi diretti a una partita di hockey si stanno fumando e’ di prim’ordine (dicono, io ignoro). Arrivo a Vancouver sono un sole splendido e giro un po’ per la citta’, limitato soltanto da quella palla al piede della valigia di Dancrane, abbinata pure a una specie di cartellino dell’Hard Rock Cafe in metallo che fa casino, tipo campanella antivipera. Per fortuna non c’e’ il tag da
friquent flaier. Mi nascondo al Granville Market per una birra e un po’ di cibo per placare lo sbrano chimico, e poi e’ ora di tornare in aeroporto.
Arrivo, e com’e’ ovvio ci sono brutte notizie. Virgin, mi dice un amico che ha accesso ai loro sistemi facendo manutenzione per loro, ha qualche limitazione sul volo di oggi e stanno cercando volontari per offload; figurarsi se ci possono esser posti per gli staffer. Usando il mio Nokia 3310 d’ordinanza, al prezzo di bestemmie a denti stretti, riesco ad andare in Intranet, fare tutti i salti e pigiare tutte le caselle necessarie per prendere un biglietto in standby con BA, pagare ed avere l’e-ticket. Armato di tutto cio’ mi presento al check-in di BA.
Il buon uomo al banco deve esser sceso dal lato sbagliato del letto.
”You’re listed on the other flight. This is BA86. Go away”. Testuali parole, urlate con un accento singlish praticamente incomprensibile. Gli chiedo se, cortesemente, non potesse spostarmi su questo volo e la risposta e’
”No. You do it”. Il pensiero va agli impiegati di Air Canada di ieri, e al fatto che questo qui non e’ un handler, ma collega mio. Esco dalla coda, ripesco il 3310, ri-bestemmio, cambio il volo da BA84 a BA86, rifaccio la fila, ripesco il nostro.
”You come back 45 minutes. When flight close” e’ l’annuncio mentre mi passa la BP standby. Gli chiedo ”Il volo non e’ oversold, puoi non farmi correre attraverso immigration per favore?”. La risposta e’
”No. Go away. Come back 45 minutes”. Guardo la station manager per sincerarmi che sia normale parlare cosi a un collega, e quella piglia le sigarette, esce e se ne va a fumare. Bella gente.
Passo quella mezzoretta ad aspettare al di fuori dell’area check-in, direttamente davanti ai banchi di BA. Col tizio e i suoi – miei, all’epoca – colleghi che mi guardano e io che guardo loro. Nessuno piu’ cui fare check-in. Ovviamente nessuno mi chiama. A -50 entro nella fila, e arrivo in cima alla coda (inesistente). Con sospiri e spasmi, mi fanno cenno di appropinquarmi. Mi appropinquo. Sempre da lui, perche’ son masochista.
”I give you bulkhead”, mi fa. Non e’ una richiesta, e’ un dato di fatto. Bel middle seat, 40F. Poi mi prende lo zainetto, ci mette la targetta gialla, e mi fa
”This, under seat!”. So riconoscere una battaglia persa, ma la combattiamo lo stesso; non per niente tifo Toro. “Ma
pezzo d’asino caro amico, dove lo trovo un sedile se sono al bulkhead?”. Fiato sprecato.
”This! Under seat!”. Vabbe’.
Corro verso i controlli di sicurezza, con la valigia di Dancrane che fa clang-clang-clang. Trovo la solita fila di gente che, evidentemente, appare solo e soltanto quando sono di fretta io; venti minuti dopo riesco ad uscire dai controlli, dal duty free e via dicendo. Il BA86 e’ dato come “closing”. Corro corro corro e arrivo al gate che nemmeno hanno iniziato l’imbarco. Dalle finestre si vede il 747, G-CIVU che, come il biplano rosso della pubblicita’ dell’amaro da cui prendo il titolo di questo post, sembra dirmi “dai su che tu e la valigia ce l’avete fatta”.
Gli aerei di questa volta sono G-CIVN, Mid-J in configurazione 14F52J36W235M, in storage a Kemble e dismesso a marzo 2020:
e, per il ritorno, G-CIVU, in storage a Cardiff.