Thread Alitalia da ottobre 2018


Stato
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Vediamo se le autorità antitrust sono indipendenti davvero e chiedono un congruo numero di slot in cambio.
Un giornale diceva che probabilmente FS dovrà cedere qualcosa a Italo.
In passato quando AZ e Airone erano in monopolio sulla LIN FCO , Az ha dovuto cedere una o due coppie di slot ad EASYJET che li ha utilizzati per un breve periodo sulla LIN FCO e dopo ha deciso di utilizzare quegli slot verso altre destinazioni più remunerative.

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Un giornale diceva che probabilmente FS dovrà cedere qualcosa a Italo.
In passato quando AZ e Airone erano in monopolio sulla LIN FCO , Az ha dovuto cedere una o due coppie di slot ad EASYJET che li ha utilizzati per un breve periodo sulla LIN FCO e dopo ha deciso di utilizzare quegli slot verso altre destinazioni più remunerative.

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Le coppie a memoria erano 5.
Comunque in caso di fusilli ne AZ/FS il problema antitrust sul MIL-ROM sarebbe molto serio.
 
Dipende da un sacco di fattori, non sappiamo nemmeno dove si andrà.
Comunque il punto è che l'obiettivo sarà salvare il bacino elettorale, non far una pulizia secondo logiche di mercato come fecero in Trenitalia alcuni anni fa. Il fatto che Trenitalia abbia spalle forti farà il gioco di certi politici e sindacalari della peggior specie.

Capito, sarà interessante vedere gli sviluppi. Grazie.
 
Le coppie a memoria erano 5.
Comunque in caso di fusilli ne AZ/FS il problema antitrust sul MIL-ROM sarebbe molto serio.
In effetti la questione è sempre stata controversa.
AZ ha sempre considerato, probabilmente a ragione, l'AV ferroviaria concorrente della navetta LIN-FCO. L'antitrust non fu di questo avviso e obbligò AZ (con l'errore di non vincolarli per sempre sulla Milano-Roma) a cedere 5 coppie di slot a Easyjet che ovviamente appena ha potuto ha girato gli slot per altre destinazioni.

Sulla base di quella decisione l'acquisto di AZ da parte di Trenitalia sarebbe da considerarsi ininfluente in quanto secondo l'antitrust erano due bacini separati e quindi in competizione all'interno degli stessi.


Credo comunque che la situazione vedrà probabilmente AZ fortemente ridurre la LIN-FCO puntando ad aprire rotte da LIN per tutta una serie di destinazioni UE (la cosa migliore sarebbe usare il COA Cityliner che ha costi più interessanti ed è già basato a LIN, per le macchine dipende dal futuro piano flotta). Al massimo si accorderanno per cedere qualche slot a NTV.
 
In effetti la questione è sempre stata controversa.
AZ ha sempre considerato, probabilmente a ragione, l'AV ferroviaria concorrente della navetta LIN-FCO. L'antitrust non fu di questo avviso e obbligò AZ (con l'errore di non vincolarli per sempre sulla Milano-Roma) a cedere 5 coppie di slot a Easyjet che ovviamente appena ha potuto ha girato gli slot per altre destinazioni.

Sulla base di quella decisione l'acquisto di AZ da parte di Trenitalia sarebbe da considerarsi ininfluente in quanto secondo l'antitrust erano due bacini separati e quindi in competizione all'interno degli stessi.


Credo comunque che la situazione vedrà probabilmente AZ fortemente ridurre la LIN-FCO puntando ad aprire rotte da LIN per tutta una serie di destinazioni UE (la cosa migliore sarebbe usare il COA Cityliner che ha costi più interessanti ed è già basato a LIN, per le macchine dipende dal futuro piano flotta). Al massimo si accorderanno per cedere qualche slot a NTV.


Mi pare di ricordare che all'epoca il treno ancora impiegasse oltre 4 ore per effettuare la tratta e che il compromesso fu sul basso numero di slot richiesti come rimedio. Oggi sarebbe ridicolo sostenere che treno ed aereo non siano in concorrenza tra loro su uno stesso mercato (che è la coppia origine-destinazione, essendo teoricamente irrilevante il modo). Un'operazione forse paragonabile tra due operatori nazionali, FR/EI, fu bocciata a più riprese. Per questo mi interrogo sull'indipendenza di chi dovrà decidere.
 
Basta avere la solita faccia come il cuxo e certificare che con 22 corse AR giornaliere, Italo rappresenta una concorrenza sufficiente.
 
Vi state ponendo problemi troppo raffinati ed in ultima analisi inutili: con due rutti e due berciate i nostri governanti diranno che se ne fregano dell'antitrust.
 
Mi pare di ricordare che all'epoca il treno ancora impiegasse oltre 4 ore per effettuare la tratta e che il compromesso fu sul basso numero di slot richiesti come rimedio. Oggi sarebbe ridicolo sostenere che treno ed aereo non siano in concorrenza tra loro su uno stesso mercato (che è la coppia origine-destinazione, essendo teoricamente irrilevante il modo). Un'operazione forse paragonabile tra due operatori nazionali, FR/EI, fu bocciata a più riprese. Per questo mi interrogo sull'indipendenza di chi dovrà decidere.
Non ci fu nessun accordo, e come si è poi visto fu una operazione senza senso e conclusa appena possibilencon il trasferimento degli slot altrove. L'errore fu non vincolare gli slot alla Roma-Milano come avviene per esempio per la continuità territoriale. A livello di collegamento aereo la navetta andrà comunque a ridursi e con il precedente dubito che ci saranno interventi ulteriori. A livello ferroviario credo che alla fine si accorderanno Trenitalia e Italo come avvenuto in passato e va comunque considerato che le tariffe sono comunque abbastanza popolari.
 
L’intervento di Paolo Rubino, ex top manager di Alitalia, su passato, presente e futuro della compagnia aerea. Su Start Magazine proseguono gli approfondimenti su Alitalia

Le dichiarazioni del ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, dello scorso 12 ottobre sulla strategia di salvataggio di Alitalia, forse premature nei tempi, forse ingenue nell’ampiezza dei dettagli, sono servite in ogni caso a ridare fiato alle analisi degli alfieri italiani del liberismo. Una filosofia della politica che, nella versione italiana, sarebbe meglio declinare come liberalpopulismo, ovvero il pendant ideologico del tanto deprecato nazionalpopulismo che sembra ora godere dei maggiori favori dell’opinione pubblica nazionale. Il tema principale su cui in tanti si stanno dilettando da giorni è quello dello spreco dei pubblici danari nel finanziamento della compagnia di bandiera.

Nella furia investigativa dei liberalpopulisti sono stati scomodati perfino gli antichissimi governi degli anni ’70 per denunciarne l’allegra prodigalità nei confronti dell’azienda. Si parte, nell’elenco della denuncia, dal governo Moro del 1975 e, attraverso Andreotti, nel 1976 e nel 1977, Cossiga nel 1980, Spadolini nel 1981, Craxi tra il 1983 e il 1985, De Mita nel 1988 e ancora Andreotti nel 1990 si carica sulle spalle di questi defunti, e non ce ne voglia De Mita felicemente e brillantemente ancora attivo, la responsabilità di aver promosso aumenti di capitale, attraverso la holding dell’IRI, per un totale monetario, attualizzato ai valori di oggi, di 1,9 miliardi di Euro. Gli aumenti di capitale che l’azionista ha fatto sono presentati come sperpero politico del pubblico danaro. Nessuno degli alfieri sembra essersi chiesto a cosa mai quei denari possano essere serviti.

Se accanto alla lista degli aumenti di capitale si producesse l’altrettanto analitica lista degli investimenti realizzati dall’azienda in quei medesimi anni si scoprirebbe che, nei quindici anni tra il 1976 e il 1991, Alitalia ha investito nell’acquisizione di 18 B727, 12 B747, 13 A300, 89 MD82, 44 A321, 8 MD11 per un valore totale, attualizzato, pari 6 miliardi di euro. A mettere accanto le due liste emerge dunque una sorta di rendiconto delle fonti e degli impieghi di un’azienda che sembrerebbe non aver usato quel danaro per arditi, rischiosi, imprudenti, incongrui atti. In effetti una compagnia aerea trasporta persone e merci e, per poterlo fare, si dota di aeroplani al pari di un fabbricante di abiti che si dota di telai o un fabbricante di merendine che si dota di forni. E l’azionista dell’impresa, come in ogni mercato, si presenta alle banche chiedendo di finanziare gli acquisti e dimostrando di crederci lui per primo all’impresa attraverso il conferimento del proprio capitale.

Certo, ci sarebbe da chiedersi come mai l’azionista si limitò allora ad un ratio equity/debt del 31% in un’epoca in cui i tassi bancari raggiungevano perfino il 20%. Forse, una più attenta valutazione finanziaria avrebbe potuto portare a considerare una partecipazione maggiore del capitale proprio all’investimento. E questo avrebbe evitato per i circa vent’anni successivi, fino al 1998 almeno, l’esborso annuale di interessi sul debito compreso in un arco fra 400 e 800 milioni di euro. Tant’è, ma ancor più interessante è forse notare che dal 1991 in avanti la compagnia non fa più investimenti importanti in flotta, limitandosi, nei quasi trent’anni intercorsi, a mere, sporadiche, disorganiche, sostituzioni di macchine oramai obsolete e superammortizzate.

Inoltre, l’arresto del flusso di investimenti nell’ammodernamento e ampliamento della flotta ha coinciso con la fase di pieno dispiego della deregulation in Europa, quando, posto termine al regime di oligopolio, sarebbe stato necessario più che mai adeguarla, in quantità e qualità, al nuovo scenario di selvaggia concorrenza. Invece, per estremo paradosso, le mere sostituzioni sono state fatte in modalità che gli esperti definiscono, con magna pompa, downgauging, ossia la diminuzione della capacità unitaria degli aeromobili.

Cosa è successo dopo il 1991? Perché mentre ogni altra compagnia in Europa si affrettava ad incrementare la flotta con il capitale degli azionisti, prevalentemente ancora pubblici, ma ugualmente quelli privati, Alitalia ha interrotto gli investimenti? La risposta è semplice e si legge nella famigerata lista degli ‘sprechi’ addebitati ai governi. Dopo l’ultimo aumento di capitale promosso dal governo Andreotti, nel 1990, per 464 milioni di Euro vi è un lungo buco temporale di ben sette anni durante il quale la compagnia non avendo il supporto dell’azionista non può investire per fare bene il suo mestiere nel nuovo e selvaggio scenario in cui all’orizzonte appare perfino l’onda barbarica delle compagnie low cost.

Finalmente nel 1997 il governo Prodi sembra reinvestire e, da allora, altri governi, fino all’ultimo recente governo Gentiloni iniettano nella compagnia ben 4,6 miliardi di Euro. Che cosa è stato fatto di questa massa di danaro certo ingente? E’ servita forse per fare feste e festoni? Purtroppo no. Le nuove norme europee varate nella metà degli anni ’90 e divenute sempre più ferree da allora, in omaggio allo spirito liberalpopulista che non risparmia nemmeno l’Europa, hanno stabilito una discriminazione cruciale fra l’azionista pubblico e quello privato.

Al secondo è concessa ogni cosa, nello spirito del liberismo, al primo non è più concesso di investire liberamente dal momento che il capitale pubblico, nella aziende di proprietà in fase critica, è considerato ‘aiuto di Stato’ e questo può essere concesso alle seguenti condizioni, one time, only time e comunque non può essere utilizzato per finanziare sviluppo e crescita ma solo ‘ristrutturazioni’ dove il termine è l’eufemico sinonimo di ridimensionamenti. Purtroppo però, in un mercato di esasperata concorrenza, ridimensionarsi vuol dire perdere competitività a favore della concorrenza.

E’ come se il proprietario di un’impresa che produce merendine impiegasse il suo capitale non per aumentare la produzione e conquistare il maggior numero di scaffali possibili nei punti di distribuzione, ma per fare esattamente il contrario, cedere, al costo del proprio capitale, interi scaffali agli altri concorrenti che producono merendine. Alitalia ha dovuto, non voluto, dovuto impiegare i 4,6 milioni di euro ricevuti dal 1998 ad oggi per ridurre la flotta, ridurre la capacità unitaria dei propri aerei, licenziare il suo personale e ridurne i salari, oltre che astenersi da pratiche commerciali orientate all’incremento delle quote di mercato.

Nel 2008 il governo italiano di allora ha ritenuto che ostinarsi a iniettare capitali come ‘aiuti di Stato’ fosse inutile e ha passato la proprietà della compagnia di bandiera ai privati, liberi sì di investire come, quanto e dove lor pare. Purtroppo, i privati italiani non hanno sostenuto gli investimenti richiesti dal mercato e hanno invece continuato la sciagurata strategia del downsizing arrivando, nel 2014, prossimi al fallimento.

A quel punto il governo italiano ha ritenuto che forse era meglio passare la mano ad una grande compagnia straniera senza affanni finanziari, ma anche Etihad non ha investito il capitale nello sviluppo dell’offerta proseguendo nel famigerato downsizing. E il ridimensionamento ha generato ulteriore inefficienza, perdita di competitività e perdite finanziarie. Insomma, si potrebbe concludere che i 4,6 miliardi di Euro di capitale pubblico conferito dal 1998 in Alitalia, ai quali vanno aggiunti gli accolli di circa altri due miliardi di oneri sociali per licenziamenti e casse integrazioni speciali, sono stati in effetti il contributo dello Stato italiano allo sviluppo di ogni altra compagnia europea che, facendo strame della derelitta Alitalia, ha registrato incrementi e successi con il traffico di passeggeri e merci che l’Italia produce.

Se oggi Alitalia è certamente irrilevante per dimensioni raggiunte, tale non è il traffico prodotto dal nostro paese. Rassegnarsi all’idea che questa miniera debba essere ceduta definitivamente ad imprese e proprietari i provenienti da altrove equivale a rassegnarsi all’ineluttabilità del declino italiano. Piuttosto che flagellarsi nel denunciare la genetica incapacità nazionale a fare impresa, i tanti cervelli di questo paese potrebbero forse ingegnarsi a trovare soluzioni ai problemi.

Paolo Rubino ha lavorato in Alitalia occupandosi di marketing, operazioni, flotta e commerciale tra Roma, Milano e New York. Ha contribuito, nel periodo tra il 1995 e il 1998, alla fondazione e ai primi successi di Air One. Dal 2010 ha fondato la società di consulenza direzionale d&r advisors con la quale ha sviluppato progetti in particolare nei settori del petrolio e gas e delle public utilities. Attualmente è alla guida di tre società, di cui una negli Stati Uniti che opera nel settore petrolifero, due in Italia che operano rispettivamente nei settori delle ricerche di mercato e dell’ospitalità turistica.

https://www.startmag.it/smartcity/alitalia-stranieri/
 
L'errore fu non vincolare gli slot alla Roma-Milano
Probabilmente gli slot liberi erano il premio occulto per la compagnia che fosse stata al gioco fingendo una concorrenza palesemente impossibile e accettato di perdere soldi nel relativo periodo di tempo.
Che infatti fu vergognosamente ridotto interpretando le 6 stagioni IATA obbligatorie, come 4 stagioni piene e qualche briciola delle 2 rimanenti.
Tutto in perfetto italian style.
 
L’intervento di Paolo Rubino, ex top manager di Alitalia, su passato, presente e futuro della compagnia aerea. Su Start Magazine proseguono gli approfondimenti su Alitalia

Le dichiarazioni del ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, dello scorso 12 ottobre sulla strategia di salvataggio di Alitalia, forse premature nei tempi, forse ingenue nell’ampiezza dei dettagli, sono servite in ogni caso a ridare fiato alle analisi degli alfieri italiani del liberismo. Una filosofia della politica che, nella versione italiana, sarebbe meglio declinare come liberalpopulismo, ovvero il pendant ideologico del tanto deprecato nazionalpopulismo che sembra ora godere dei maggiori favori dell’opinione pubblica nazionale. Il tema principale su cui in tanti si stanno dilettando da giorni è quello dello spreco dei pubblici danari nel finanziamento della compagnia di bandiera.

Nella furia investigativa dei liberalpopulisti sono stati scomodati perfino gli antichissimi governi degli anni ’70 per denunciarne l’allegra prodigalità nei confronti dell’azienda. Si parte, nell’elenco della denuncia, dal governo Moro del 1975 e, attraverso Andreotti, nel 1976 e nel 1977, Cossiga nel 1980, Spadolini nel 1981, Craxi tra il 1983 e il 1985, De Mita nel 1988 e ancora Andreotti nel 1990 si carica sulle spalle di questi defunti, e non ce ne voglia De Mita felicemente e brillantemente ancora attivo, la responsabilità di aver promosso aumenti di capitale, attraverso la holding dell’IRI, per un totale monetario, attualizzato ai valori di oggi, di 1,9 miliardi di Euro. Gli aumenti di capitale che l’azionista ha fatto sono presentati come sperpero politico del pubblico danaro.Nessuno degli alfieri sembra essersi chiesto a cosa mai quei denari possano essere serviti.

Se accanto alla lista degli aumenti di capitale si producesse l’altrettanto analitica lista degli investimenti realizzati dall’azienda in quei medesimi anni si scoprirebbe che, nei quindici anni tra il 1976 e il 1991, Alitalia ha investito nell’acquisizione di 18 B727, 12 B747, 13 A300, 89 MD82, 44 A321, 8 MD11 per un valore totale, attualizzato, pari 6 miliardi di euro. A mettere accanto le due liste emerge dunque una sorta di rendiconto delle fonti e degli impieghi di un’azienda che sembrerebbe non aver usato quel danaro per arditi, rischiosi, imprudenti, incongrui atti. In effetti una compagnia aerea trasporta persone e merci e, per poterlo fare, si dota di aeroplani al pari di un fabbricante di abiti che si dota di telai o un fabbricante di merendine che si dota di forni. E l’azionista dell’impresa, come in ogni mercato,si presenta alle banche chiedendo di finanziare gli acquisti e dimostrando di crederci lui per primo all’impresa attraverso il conferimento del proprio capitale.

Certo, ci sarebbe da chiedersi come mai l’azionista si limitò allora ad un ratio equity/debt del 31% in un’epoca in cui i tassi bancari raggiungevano perfino il 20%. Forse, una più attenta valutazione finanziaria avrebbe potuto portare a considerare una partecipazione maggiore del capitale proprio all’investimento. E questo avrebbe evitato per i circa vent’anni successivi, fino al 1998 almeno, l’esborso annuale di interessi sul debito compreso in un arco fra 400 e 800 milioni di euro. Tant’è, ma ancor più interessante è forse notare che dal 1991 in avanti la compagnia non fa più investimenti importanti in flotta, limitandosi, nei quasi trent’anni intercorsi, a mere, sporadiche, disorganiche, sostituzioni di macchine oramai obsolete e superammortizzate.

Inoltre, l’arresto del flusso di investimenti nell’ammodernamento e ampliamento della flotta ha coinciso con la fase di pieno dispiego della deregulation in Europa, quando, posto termine al regime di oligopolio, sarebbe stato necessario più che mai adeguarla, in quantità e qualità, al nuovo scenario di selvaggia concorrenza. Invece, per estremo paradosso, le mere sostituzioni sono state fatte in modalità che gli esperti definiscono, con magna pompa, downgauging, ossia la diminuzione della capacità unitaria degli aeromobili.

Cosa è successo dopo il 1991? Perché mentre ogni altra compagnia in Europa si affrettava ad incrementare la flotta con il capitale degli azionisti, prevalentemente ancora pubblici, ma ugualmente quelli privati, Alitalia ha interrotto gli investimenti? La risposta è semplice e si legge nella famigerata lista degli ‘sprechi’ addebitati ai governi. Dopo l’ultimo aumento di capitale promosso dal governo Andreotti, nel 1990, per 464 milioni di Euro vi è un lungo buco temporale di ben sette anni durante il quale la compagnia non avendo il supporto dell’azionista non può investire per fare bene il suo mestiere nel nuovo e selvaggio scenario in cui all’orizzonte appare perfino l’onda barbarica delle compagnie low cost.

Finalmente nel 1997 il governo Prodi sembra reinvestire e, da allora, altri governi, fino all’ultimo recente governo Gentiloni iniettano nella compagnia ben 4,6 miliardi di Euro. Che cosa è stato fatto di questa massa di danaro certo ingente? E’ servita forse per fare feste e festoni? Purtroppo no. Le nuove norme europee varate nella metà degli anni ’90 e divenute sempre più ferree da allora, in omaggio allo spirito liberalpopulista che non risparmia nemmeno l’Europa, hanno stabilito una discriminazione cruciale fra l’azionista pubblico e quello privato.

Al secondo è concessa ogni cosa, nello spirito del liberismo, al primo non è più concesso di investire liberamente dal momento che il capitale pubblico, nella aziende di proprietà in fase critica, è considerato ‘aiuto di Stato’ e questo può essere concesso alle seguenti condizioni, one time, only time e comunque non può essere utilizzato per finanziare sviluppo e crescita ma solo ‘ristrutturazioni’ dove il termine è l’eufemico sinonimo di ridimensionamenti. Purtroppo però, in un mercato di esasperata concorrenza, ridimensionarsi vuol dire perdere competitività a favore della concorrenza.

E’ come se il proprietario di un’impresa che produce merendine impiegasse il suo capitale non per aumentare la produzione e conquistare il maggior numero di scaffali possibili nei punti di distribuzione, ma per fare esattamente il contrario, cedere, al costo del proprio capitale, interi scaffali agli altri concorrenti che producono merendine. Alitalia ha dovuto, non voluto, dovuto impiegare i 4,6 milioni di euro ricevuti dal 1998 ad oggi per ridurre la flotta, ridurre la capacità unitaria dei propri aerei, licenziare il suo personale e ridurne i salari, oltre che astenersi da pratiche commerciali orientate all’incremento delle quote di mercato.

Nel 2008 il governo italiano di allora ha ritenuto che ostinarsi a iniettare capitali come ‘aiuti di Stato’ fosse inutile e ha passato la proprietà della compagnia di bandiera ai privati, liberi sì di investire come, quanto e dove lor pare. Purtroppo, i privati italiani non hanno sostenuto gli investimenti richiesti dal mercato e hanno invece continuato la sciagurata strategia del downsizing arrivando, nel 2014, prossimi al fallimento.

A quel punto il governo italiano ha ritenuto che forse era meglio passare la mano ad una grande compagnia straniera senza affanni finanziari, ma anche Etihad non ha investito il capitale nello sviluppo dell’offerta proseguendo nel famigerato downsizing. E il ridimensionamento ha generato ulteriore inefficienza, perdita di competitività e perdite finanziarie. Insomma, si potrebbe concludere che i 4,6 miliardi di Euro di capitale pubblico conferito dal 1998 in Alitalia, ai quali vanno aggiunti gli accolli di circa altri due miliardi di oneri sociali per licenziamenti e casse integrazioni speciali, sono stati in effetti il contributo dello Stato italiano allo sviluppo di ogni altra compagnia europea che, facendo strame della derelitta Alitalia, ha registrato incrementi e successi con il traffico di passeggeri e merci che l’Italia produce.

Se oggi Alitalia è certamente irrilevante per dimensioni raggiunte, tale non è il traffico prodotto dal nostro paese. Rassegnarsi all’idea che questa miniera debba essere ceduta definitivamente ad imprese e proprietari i provenienti da altrove equivale a rassegnarsi all’ineluttabilità del declino italiano. Piuttosto che flagellarsi nel denunciare la genetica incapacità nazionale a fare impresa, i tanti cervelli di questo paese potrebbero forse ingegnarsi a trovare soluzioni ai problemi.

Paolo Rubino ha lavorato in Alitalia occupandosi di marketing, operazioni, flotta e commerciale tra Roma, Milano e New York. Ha contribuito, nel periodo tra il 1995 e il 1998, alla fondazione e ai primi successi di Air One. Dal 2010 ha fondato la società di consulenza direzionale d&r advisors con la quale ha sviluppato progetti in particolare nei settori del petrolio e gas e delle public utilities. Attualmente è alla guida di tre società, di cui una negli Stati Uniti che opera nel settore petrolifero, due in Italia che operano rispettivamente nei settori delle ricerche di mercato e dell’ospitalità turistica.

https://www.startmag.it/smartcity/alitalia-stranieri/
Articolo perfettamente congruo ai tempi politici in cui viviamo. L'importante è esprimere un concetto: suggerire come realizzarlo, magari con qualche numerino, non è necessario. Anche perchè forse potrebbe emergere che non sta in piedi.
 
Articolo perfettamente congruo ai tempi politici in cui viviamo. L'importante è esprimere un concetto: suggerire come realizzarlo, magari con qualche numerino, non è necessario. Anche perchè forse potrebbe emergere che non sta in piedi.

Ma, a parte questo, articolo che “dimentica” di citare le perdite di AZ nei tempi e di precisare che gli aumenti di capitale nel tempo sono serviti solo a ripianare le suddette perdite
 
da Il Messaggero

Alitalia, duello tra Lufthansa-Delta per la salvezza: in settimana confronto con il governo e FS

Lunedì 22 Ottobre 2018
di Umberto Mancini

ROMA Ferrovie dello Stato stringe i tempi per far decollare il progetto di rilancio per Alitalia. La società ferroviaria, come anticipato dal Messaggero, acquisirà il 100% della compagnia tricolore. Lo farà con una offerta vincolante che arriverà, come chiesto da Palazzo Chigi, nei prossimi nove giorni, cioè entro il 31 ottobre. Poi, in un secondo tempo, provvederà a spacchettare la quota, distribuendola tra una delle compagnie estere in lizza per diventare il partner industriale nei cieli e, forse, una società pubblica come Cdp. Uno schema, quello delineato, messo a punto dai consulenti delle Ferrovie che dovrà avere la “bollinatura” del Mef. Al momento dal Tesoro non sono ancora arrivate indicazioni precise, così come dal Mise sono partiti solo inviti ad andare avanti alla massima velocità nella redazione del piano.

GLI INCONTRI
Questa settimana sarà probabilmente decisiva per la scelta del vettore internazionale che dovrà affiancare Fs. Perché, anche se in forma non ufficiale, arriveranno a Roma per incontrare i vertici Fs ed esponenti del governo sia gli emissari di Lufthansa che quelli di Delta Airlines. Per la verità i tedeschi, che domani saranno nella Capitale, non avevano mai interrotto i rapporti durante questi lunghi mesi d’impasse, ribadendo al vice premier Luigi Di Maio in una lettera e in maniera non formale, la disponibilità ad essere azionisti di Alitalia con una quota ben inferiore al 50%, fermo restando la possibilità di avere voce capitolo nella gestione. Anche gli americani di Delta si accontenterebbero di una quota di minoranza. Non essendo un vettore europeo non potrebbero tra l’altro aspirare ad avere la maggioranza.

Si muove sotto traccia pure EasyJet. Nel piano della low cost inglese c’è un punto che piace molto alle Fs. La possibilità, in caso di alleanza, di far sviluppare Alitalia sulle tratte intercontinentali e di lungo raggio per sfruttare al meglio le sinergie sul medio e piccolo raggio che offre la compagnia britannica. Delta offre invece una partnership di livello internazionale e la garanzia di rimanere in Skyteam, mentre Lufthansa consentirebbe una integrazione a livello europeo molto forte.

L’OCCUPAZIONE
Di certo il piano che ha in mente Luigi Di Maio non prevede esuberi. L’obiettivo del governo è, almeno in teoria, quello di salvaguardare tutti i dipendenti, magari inserendo in Fs eventuali eccedenze. Una peculiarità che piace parecchio ai tre vettori esteri in lizza, meno al ministro dell’Economia Giovanni Tria che non ha fatto mistero dei suoi timori. C’è da risolvere in primis la questione del prestito ponte da 900 milioni da restituire allo Stato che è entrato nel mirino della Commissione europea. In queste ore Gianfranco Battisti, ad Fs, sta studiando i conti e si prepara al rush finale, garantendo così la soluzione «nazionale» tanto cara all’esecutivo. Probabile che l’esborso alla fine sia solo simbolico visti i debiti da coprire e, come detto, il nodo del prestito ponte da sciogliere. I tecnici, ma è solo una ipotesi, hanno anche pensato ad una conversione del prestito-ponte in capitale. Una soluzione tortuosa. Di certo invece Cdp sarà in campo per acquistare nuovi aerei e rafforzare la flotta. Sempre in settimana Battisti andrà al Mef e al Mise per definire nei dettagli l’operazione. Alitalia per decollare davvero, oltre ad un partner industriale, ha bisogno di almeno 1,5 miliardi di carburante finanziario.
https://www.ilmessaggero.it/economia/news/alitalia_lufthansa_delta-4054778.html
 
Ma quelli del Messaggero ci fanno o ci sono? Duello per decidere chi sarà il fortunato principe prescelto che salverà l'ambita principessa agonizzante. Comunque le nuove uniformi Ferretti sono già perfettamente abbinate a quelle di Trenitalia. Ora si spiega tutto.... "Biglietti?!? Biglietti?!?"
 
Ma quelli del Messaggero ci fanno o ci sono? Duello per decidere chi sarà il fortunato principe prescelto che salverà l'ambita principessa agonizzante. Comunque le nuove uniformi Ferretti sono già perfettamente abbinate a quelle di Trenitalia. Ora si spiega tutto.... "Biglietti?!? Biglietti?!?"

:D :D :D l'ho fatto anch'io quando l'ho indossata la prima volta. Ridiamoci su va.
 
Non vedo come CS possa pensare di aver voce in capitolo da socio di minoranza, tantopiù con questo governo. Il passato dovrebbe insegnare, un secondo dopo la firma diventerebbero dei cattivoni incapaci qualunque decisione non gradita...
 
Alitalia e quei 91 mila bagagli persi o in ritardo nei primi 9 mesi del 2018

L’analisi del Corriere sui dati presentati dai commissari straordinari della compagnia. In proporzione: 5,6 ogni mille, dato migliore della media europea, ma peggiore degli Usa

Sono circa 91 mila i bagagli «disguidati» — persi, danneggiati, consegnati in ritardo o rubati — nei primi nove mesi del 2018 nella rete di Alitalia. Fatte le proporzioni, 5,6 ogni mille depositati nelle stive degli aerei con la livrea tricolore, un dato nella media mondiale e migliore di quella continentale. È quanto emerge dall’elaborazione del Corriere della Sera sulla base delle cifre fornite dai documenti che i tre commissari straordinari della compagnia hanno consegnato ai deputati e ai senatori durante le ultime audizioni. Si tratta di una delle informazioni più sensibili per i vettori — spiegano gli addetti ai lavori — che difficilmente le rendono pubbliche di propria iniziativa. E infatti per arrivare a quelli di Alitalia bisogna fare i calcoli.

La relazione

«Nel corso del 2018 le prestazioni relative alla gestione delle valigie hanno registrato un ulteriore miglioramento rispetto alle performance già positive del 2017», sostengono i tre commissari di Alitalia Luigi Gubitosi, Enrico Laghi e Stefano Paleari nella relazione depositata in Parlamento. «Nel periodo gennaio-settembre 2018 il numero di bagagli disguidati si è ridotto del 30% rispetto alle performance dello stesso periodo del 2017. Nei primi 9 mesi di quest’anno sono stati disguidati in valore assoluto circa 39.000 in meno». Tradotto in valori integrali: 130 mila valigie «problematiche» nel periodo gennaio-settembre 2017, 91 mila nella stessa finestra temporale del 2018. Si tratta di numeri che dal quartier generale di Alitalia preferiscono non confermare, ma sottolineano che «il nostro è il risultato migliore del continente».

Il bilancio

Nell’analisi degli elementi forniti dai commissari straordinari viene fuori anche che nei primi nove mesi sono stati «gestiti» 16,25 milioni di effetti personali su un totale di 16,4 milioni di passeggeri trasportati dal 1° gennaio al 30 settembre scorso. «In termini assoluti Alitalia disguida 5,6 bagagli ogni 1.000 sul totale network che rappresenta un livello di eccellenza verso le performance di industry», continuano i commissari. Che aggiungono: «Sull’hub di Fiumicino si evidenzia nel periodo gennaio-settembre un miglioramento del processo di transito dei bagagli nel corso del 2018 con il 98,61% gestito correttamente». Questa è una voce di costo che può essere rilevante per le casse delle società: Sita, colosso che fornisce servizi di comunicazione e soluzioni tecnologiche al settore, stima che ogni valigia problematica comporti un costo medio per la compagnia di 101 dollari.

Il confronto

Ma com’è messa Alitalia nel trasporto aereo? Il vettore fa meglio della media europea, peggio di quella dell’Asia-Pacifico e risulta in linea con quella globale se si prendono i documenti disponibili. Stando all’ultimo «Baggage Report» di Sita nel 2017 a livello globale i bagagli persi, danneggiati, consegnati in ritardo sono stati 5,57 ogni mille. Dieci anni prima erano 18,88. Ma le differenze geografiche non mancano. Perché se la macro-area più virtuosa è quella dell’Asia-Pacifico (con 1,92 ogni mille), al secondo posto c’è il Nord America (con 2,4 ogni mille). La peggiore è l’Europa con 6,94, quindi un dato più alto di quello di Alitalia. La compagnia italiana fa meno bene rispetto ai vettori statunitensi, gli unici di cui si hanno dei dati complessivi. Per dire: nel 2017 — calcola l’Ufficio statistico dei Trasporti — la low cost Spirit Airlines ne ha «disguidati» 1,61 ogni mille, jetBlue 1,65, Virgin America 1,78, Alaska Airlines 1,81, Delta Air Lines 1,82, United 2,38, American Airlines 2,84. Nei voli tra Italia e Usa Alitalia ha ricevuto in totale 13 lamentele nei primi sette mesi di quest’anno.

https://www.corriere.it/cronache/18...si-ff68d970-d4a7-11e8-ba10-7fdf35550b0a.shtml
 
Domanda: parlano di bagagli per mille passeggeri, giusto? Perche' i dati IATA sono calcolati cosi'...
 
Secondo me gli esempi che Alitalia dovrebbe seguire sono diversi. Il corto raggio potrebbe seguire un modello Iberia (perfettamente rilanciata) o Aer Lingus (efficiente per il tipo di mercato a cui è rivolto). La domanda è capire la fine di cityliner in questo contesto. Sul lungo rqggio, con 2 miliardi non si potrà fare un enorme rilancio della flotta. Una cosa sensata a mio avviso potrebbe essere prendere 5/6 b777/300er da aumentare la capienza, e il denaro rimanente, essere utilizzato per migliorare il prodotto esistente. Sbaglio o alcuni 777 non hanno ancora un ife datato anni 2010? In due o tre anni poi pensare ad avviare la sostituzione degli aerei più vecchi. Oppure passare direttamente a un ordine di nuove macchine (una decina come minimo) lasciando a terra le più vecchie. Vi sembra sensato?
 
Stato
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