R2: "Aiuto, non c'è più spazio nei cieli"


goafan

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Troppi passeggeri e troppi voli stanno mandando in tilt gli aeroporti. Così aumentano i ritardi: il sistema rischia il collasso

ETTORE LIVINI

Troppi passeggeri e troppi voli da una parte, aeroporti troppo piccoli e troppo vecchi dall´altra. I cieli del mondo sono sempre più stretti. E rischiano di andare incontro nei prossimi anni a un ingorgo colossale. Il motivo è semplice: il traffico cresce a ritmi inattesi (+8% quello internazionale nel 2007), le compagnie potenziano l´offerta. Ma le infrastrutture a terra – messe alle corde anche dal giro di vite sulla sicurezza – faticano a tenere il passo con il boom.
In qualche caso, come a Londra, mancano le piste e gli "slot" per atterraggi e decolli. Altrove – come a Fiumicino – è al limite (o oltre) il sistema di gestione bagagli. Problemi diversi, ma un unico risultato: il graduale peggioramento dei servizi a livello globale. Aumentano i ritardi (negli Usa il 26,8% dei voli parte almeno 15 minuti dopo l´orario previsto, un record negativo), cresce il numero delle valigie smarrite (+22% in Europa nel primo semestre 2007). E il peggio, dicono gli esperti, deve ancora arrivare: nel 2010 – secondo l´allarme lanciato dal Parlamento europeo – sei dei maggiori scali del Vecchio continente (tra cui Londra, Francoforte ed Amsterdam) saranno "saturi", mentre altri 20 saranno vicini al punto di crisi. E se il traffico continuerà a crescere ai tassi attuali (si arriverà a un +250% in 20 anni), nel 2025 ci saranno 20 aeroporti Ue costretti ad appendere il cartello "tutto esaurito" e 60 che faticheranno a tenere il passo con la domanda.
Tanto che Bruxelles ha deciso di elaborare entro il 2009 un "Master plan" di interventi urgenti per disinnescare il rischio di una paralisi.
I costi economici, sociali e ambientali di questa emergenza sono però già oggi elevatissimi. Le compagnie europee, secondo le stime della Iata, perdono due miliardi l´anno proprio per gli inconvenienti legati all´intasamento degli aeroporti. Un aereo fermo in pista in attesa del decollo per più di una ventina di minuti («al Jfk di New York mi è capitato di stare in coda come al casello di un´autostrada per quasi due ore», racconta un pilota Alitalia) consuma 200 kg. di kerosene in più.
L´ormai rituale cerimonia dell´"holding pattern" sopra i cieli di Heathrow («spesso voliamo in circolo fino a 40 minuti prima di avere l´ok all´atterraggio a Londra») brucia una dose extra di quasi mille litri di carburante. L´effetto-ingorgo è pesante anche per gli Usa dove sotto Natale si sono moltiplicati gli allarmi per le collisioni sfiorate: la Federal Aviation Administration, l´organo di controllo dei cieli a stelle e strisce, stima un buco di 22 miliardi di dollari l´anno per l´economia del paese innescato da questi disservizi.
«La congestione è un problema serio che rischia solo di peggiorare – conferma Giovanni Bisignani, numero uno della Iata, l´associazione delle compagnie mondiali –. Gli aeroporti europei nel 2011 avranno 150 milioni di passeggeri in più. Ma i governi stanno rinviando decisioni vitali per potenziarli. Bisogna invece agire subito e coinvolgere nel processo anche i vettori internazionali». Anche perché il boom dei nuovi mercati come Cina e India sta moltiplicando i pretendenti a un posto nei cieli. «All´Europa servono almeno 25 nuovi scali entro il 2025 – dice Eurocontrol, il "grande vecchio" che gestisce il traffico aereo continentale – dieci grandi hub e 15 aeroporti medio piccoli. Solo così si riuscirà a evitare il collasso del sistema».
Il problema, tecnicamente parlando, è semplice. Aumentare l´offerta di posti sugli aerei è relativamente semplice. L´unico limite è la disponibilità di mezzi (oggi tra l´altro piuttosto scarsa). Potenziare le infrastrutture di terra, invece, è molto più complicato. Per costruire un aeroporto servono molti soldi e molto tempo, dai 10 ai 20 anni. E i padroni di questi beni – spesso enti pubblici alle prese con problemi di bilancio – tendono a privilegiare la parsimonia alla lungimiranza. Così oggi in Europa i progetti di potenziamento sono pochi e si contano sulle dita delle mani. Heathrow, lo scalo più "intasato" del continente, è stato costretto a mettersi al lavoro. Disegnato per 45 milioni di passeggeri, ne gestisce oggi 68 milioni e ha il poco onorevole record europeo dei bagagli smarriti (la British Airways viaggia sui 30 per mille passeggeri, quasi il doppio della media) e dei ritardi. Situazione che potrebbe cambiare da marzo quando il varo del Terminal 5 (6 miliardi di euro d´investimento) consentirà di smaltire 30 milioni di passeggeri in più.
Le alternative alla costruzione di nuovi aeroporti e nuove piste sono solo due: il potenziamento degli scali regionali (fattore che rilancia le quotazioni di Malpensa) e una regolamentazione più rigida dello status quo. George Bush ha scelto questa strada. I ritardi nei cieli americani sono ormai un problema cronico. Tanto che in piena bufera subprime – con Wall Street e l´economia a stelle e strisce sotto pressione – la Casa Bianca ha trovato il tempo per una riunione d´emergenza destinata al riordino degli aeroporti Usa.
In particolare sono stati fissati "tetti" al numero di atterraggi e decolli in quelli più congestionati: New York Jfk, Newark, Los Angeles e Chicago. In alcuni casi (come in agosto al Kennedy) si era arrivati al paradosso di prevedere nelle ore di punta del primo mattino più partenze (67 all´ora) rispetto al limite di 44 imposto dalle autorità.
L´Europa sta lavorando invece a una semplificazione dei suoi sistemi di controllo, che faticano ancora a parlarsi tra di loro, aggiungendo caos al caos. «Risolvere questo problema creando davvero un unico spazio aereo continentale sarebbe fondamentale», dice Francesco D´Arrigo, analista del Ceas e comandante Alitalia anche perché – come spiega Bisignani – «solo con questo provvedimento si taglierebbe di 12 milioni di tonnellate l´emissione di CO2 nei cieli europei».
E l´Italia? Il problema dalle nostre parti si chiama Fiumicino. Il nodo non sono gli spazi aerei e le piste. In questo senso lo scalo romano – come la Malpensa – ha ancora tanto spazio per crescere e ha qualche difficoltà solo negli orari di punta (alle 9 di mattino e alla stessa ora di sera) quando gli aerei in avvicinamento, per evitare un eccesso di traffico, rallentano a 230 nodi la loro velocità già all´altezza di Pisa. Il collo di bottiglia sono invece i servizi a terra. In particolare quello di smistamento bagagli che ha trasformato la scorsa estate le vacanze di migliaia di italiani in un calvario. «Alitalia si scusa con i passeggeri per i disagi dovuti alla congestione dell´operatività che da tempo sta caratterizzando l´Aeroporto Leonardo da Vinci», recita un esplicito comunicato stampa della compagnia di bandiera del 3 luglio 2007.
La colpa è di una privatizzazione pagata dagli acquirenti (Romiti-Falck-Sensi) con i soldi delle banche e finanziata scaricando i debiti sulle spalle di Adr. Gli investimenti promessi sono così rimasti al palo e adesso Fiumicino – che ha cambiato proprietario – sconta questa pesantissima eredità, con una situazione che rischia di aggravarsi con il trasferimento dei voli intercontinentali Alitalia da Roma alla capitale in occasione della vendita ad Air France. «Proprio oggi avrò una riunione con le compagnie e Adr per affrontare la situazione – dice Vito Riggio, presidente dell´Enac – Noi abbiamo fattto le nostre proposte per risolvere il problema in attesa nel nuovo sistema per lo smistamento bagagli che arriverà solo tra due anni. Ora chiederò impegni precisi. E se non mi convincono siamo pronti a tagliare la capacità per evitare disagi ai viaggiatori».

L´intervista

Parla Patrick Smith, comandante su aerei di linea negli Stati Uniti e autore di bestseller

La ricetta del pilota-scrittore "Meno voli regionali nelle ore di punta"

RICCARDO STAGLIANO

Troppi aerei piccoli ingolfano il sistema. Servono dei limiti draconiani altrimenti l´esperienza paradossale di ritardi da un´ora a bordo su tratte di poco più lunghe rischia di diventare routine. Parola di pilota. Dell´americano Patrick Smith, autore del bestseller "Chiedilo al pilota. Tutto quello che avete sempre voluto sapere sui voli aerei". Che tra un arrivo e una partenza trova il tempo per rispondere alle domande di Repubblica.
La congestione degli aeroporti è un problema sempre più grosso. Come se ne esce?
«Mi sembra che tra le tante idee circolate quella di ridurre i voli in certe fasce orarie sia l´unica opzione praticabile per tagliare i ritardi. Perché non si tratta di un problema di controllo del traffico aereo quanto di programmazione degli orari delle aerolinee, di scheduling».
Ci spieghi meglio...
«Le aerolinee hanno strutturato la loro attività intorno alla convinzione autopunitiva che la frequenza dei voli sia la chiave del successo. Vola un numero sempre maggiore di gente che in passato ma in aerei più piccoli, provocando così sempre più decolli e atterraggi. Il risultato di questa strategia, il ricorso sproporzionato a jet regionali in particolare, ha portato aeroporti come i newyorchesi JFK o La Guardia vicini al punto di paralisi».
Quanti sono questi aerei regionali?
«Al La Guardia, per esempio, costituiscono circa la metà di tutti i voli che vi transitano. Vuol dire metà del traffico per trasportare un quarto o poco più dei passeggeri totali: un utilizzo molto inefficiente dell´aerospazio e di quello a terra. Al JFK le aerolinee dovrebbero considerare l´eliminazione dei voli dei jet regionali tra le 4 di pomeriggio e le 10 di sera, quando la maggior parte dei voli internazionali partono. E lo stesso ragionamento si applica ai grandi scali europei. Intasano le piste, impediscono le manovre».
C´è chi dice di costruire più piste oppure punta il dito contro il proliferare dei jet privati...
«Allargare gli aeroporti è sempre difficilissimo. I cittadini non vogliono, servono un sacco di soldi. In quello della mia città, il Logan, ci sono voluti 30 anni per ampliarlo. A Denver l´apertura di una corsia supplementare è costata 165 milioni di dollari. Per quanto riguarda i jet privati, d´accordo, ma non dimentichiamo che costituiscono sì e no il 5% delle operazioni di un qualsiasi grande aeroporto. L´unica speranza è in regolamenti rigidissimi: velivoli con meno di 100 posti non dovranno muoversi da terra nelle ore di punta».

(La Repubblica)

CIAO
_goa
 
Be. In America e gia un casino.
Anche se vivo in Canada,sento una radio americana che si chiama NPR
che ha la base di fronte a casa mia oltre lo stretto Juan de Fuca
Pochi gioni fa facevano un report da un po di aeroporti.
Non partiva nessun aereo in tempo per causa di congestione aerea.
E poi anche per personale esperienza e cio che succede al meno qua su.Noi per andare
da qualsiasi parte voliamo via USA per il costo.
E sempre un attesa per traffico pesante
 
In USA quasi non esistono gli SCR, non esistono slot ATC, di che si lamentano? Si regolassero no? ;o)