[OT] I porti italiani


malpensante

Bannato
6 Novembre 2005
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bel paese là dove 'l sì suona
Nei porti italiani le navi non entrano più

Vecchi per le portacontainer. Traffico a rischio



Siamo un popolo di poeti, santi ed ex navigatori. Certo, siamo pieni di yacht di lusso, motoscafi e barchette cacciapesca. E c’è da credere a quanto ha raccontato pochi anni fa Silvio Berlusconi: «Dalla mia villa in Sardegna ho un gran bel panorama, davanti a Punta Lada noto anche quest’anno molte barche. Se sono barche da ricchi vuol dire che ne abbiamo proprio tanti. Gli stipendi crescono più dell’inflazione, la ricchezza delle nostre famiglie non ha eguali in Europa». Sarà... Ma sulle navi grosse, quelle che dominano i mari di oggi e del futuro, quelle che hanno in pugno la polpa del traffico mondiale delle merci, siamo quasi tagliati fuori.
Fino a una dozzina di anni fa i bastimenti più grandi portavano duemila container standard da 13 metri che in gergo internazionale sono chiamati Teu. Dal 2000 ne portano quattromila e poi è partita una gara mostruosa a chi fa le navi più immense. Un rapporto di Brs-Alphaliner, una società di monitoraggio che tiene d’occhio l’evoluzione della flotta commerciale planetaria, riferisce che il mondo è pieno di giganteschi cantieri dai quali entro il 2010 usciranno complessivamente 311 bestioni in grado di portare oltre 7.500 Teu e 95 in grado di portarne oltre 10.000. Bene: non una di queste navi smisurate, che «pescano» più di 15 metri e mezzo sotto il pelo dell’acqua, potrà mai entrare, salvo che a Trieste sul quale però pesano altri handicap, in un porto italiano. Oddio, al molo di Genova ha attraccato la danese Emma Maersk, che è lunga 397 metri cioè quanto quattro campi da calcio e porta 11.400 container con 13 (tredici!) uomini di equipaggio.
Ma era solo una simulazione al computer: i fondali del porto ligure, infatti, non sono abbastanza profondi per accogliere l’Emma né le sue dieci sorelle che la Maersk ha messo in cantiere con capacità perfino maggiori. Una volta, quando il mare era «nostrum», le facevamo noi le navi più grosse. I romani arrivarono a dominare il Mediterraneo con le muriophortoi, alla lettera «portatrici di diecimila anfore», bestioni da 500 tonnellate. Per non parlare di certe imbarcazioni eccezionali come quella fatta fare apposta da Caligola per portare a Roma l’obelisco che oggi svetta in piazza San Pietro. Quanto ai veneziani, l’Arsenale è stato a lungo il più importante stabilimento industriale del mondo.
Così grande da impressionare Dante Alighieri che nella Divina Commedia magnifica la catena di montaggio: «Chi fa suo legno novo e chi ristoppa / le coste a quel che più vïaggi fece; / chi ribatte da proda e chi da poppa; / altri fa remi e altri volge sarte». Nei momenti di punta ci lavoravano in diecimila a ritmi tali che nel solo maggio 1571, alla vigilia della battaglia di Lepanto, riuscirono a varare 25 navi. Quasi una al giorno. E da lì uscivano le «galee grosse da merchado» lunghe 50 metri, dotate di tre alberi per vele latine e spinte nei giorni senza vento da 150 vogatori disposti a terzine su banchi a spina di pesce. Eravamo forti, allora. Commercialmente e militarmente. E lo siamo rimasti, con le nostre flotte e i nostri porti, fino a non molti decenni fa. Il declino, però, è stato rapidissimo. Nel 1971, ha scritto Bruno Dardani, che prima sul Sole 24 Ore e poi su Libero Mercato cerca da anni di lanciare l’allarme, «i quattro porti di Genova, Marsiglia, La Spezia e Livorno coprivano il 20% del traffico europeo» e di questa quota Genova rappresentava quasi i due terzi facendo da sola il 13% del totale continentale.
Tredici anni dopo, nel 1984, il traffico sotto la Lanterna era crollato al 4 e mezzo per cento. Scarso. Colpa dei costi: nel momento chiave in cui i porti dell’Europa del Nord si giocavano tutto per arginare l’irruzione della concorrenza orientale, a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, movimentare un container pieno costava a Rotterdam il 56% in meno di quanto costasse a Genova. Colpa degli spazi perché, fatta eccezione per Gioia Tauro, i nostri porti sono antichi e hanno le case che incombono sulle banchine. Colpa dei partiti, che hanno occupato anche questi territori se è vero che almeno 18 sulle 24 autorità portuali sono in mano a persone di origine diessina. E colpa della sordità della nostra classe dirigente, che non ha ancora capito come sulle rotte marittime transiti quasi il 95% del commercio estero del continente. Commercio dal quale, nonostante ci riempiano la testa di chiacchiere sull’«Italia piattaforma portuale d’Europa», stiamo finendo progressivamente ai margini. Basti dire che nel 2005, dopo qualche anno di «ripresina» seguita alla legge che nel ’94 liberalizzò un po’ di banchine, siamo stati l’unico Paese Ue a perdere quote nel traffico dei container, calato di oltre il 3% mentre cresceva del 10% in Spagna e del 14% a Rotterdam.
Le statistiche del centro studi del porto di Amburgo sono implacabili. E dicono che dei primi venti porti del mondo nel 2006 neppure uno era italiano. E che anche il successo abbastanza casuale di Gioia Tauro, che era nato come polo industriale e si era ritrovato a essere tra i primi porti europei per container grazie ai fondali e agli spazi nonostante le sgarrupate infrastrutture di collegamento con la disastrata Salerno-Reggio Calabria, appare compromesso. Era arrivato a essere nel 2004 il 23˚ scalo mondiale con 3 milioni e 261.000 container. Ma da allora non ha fatto che arretrare fino a scendere sotto i 3 milioni, per essere via via sorpassato nel 2006 da Giacarta, Algeciras, Yokohama, Felixstowe per non parlare della cinese Xianem che allora stava 400.000 container indietro e adesso sta un milione abbondante più avanti. Certo, nel 2007 c’è stata una ripresa. Però... Ed è idiota maledire il cielo e i limiti della Vecchia Europa: è tutta colpa nostra. Dal 2000 al 2006 a Genova il traffico di container è aumentato del 10%. E intanto cresceva a Rotterdam del 54%, a Brema e ad Algeciras del 61%, a Barcellona del 65%, ad Anversa del 71%, a Valencia del 99% e ad Amburgo del 108%.
Cosa c’entra l’invettiva contro la Vecchia Europa? Niente. Solo che gli altri, coscienti che sul container si gioca il futuro, ci investono. E noi no. Prendi la Spagna. Mentre noi tagliavamo, spiega Bruno Dardani, loro in soli due anni, 2007 e 2008, hanno deciso di investire sui porti quasi 3 miliardi di euro. Risultato: loro sono in vertiginosa ascesa, noi sommando tutti e sette i principali porti italiani catalogati dall’ufficio statistico di Amburgo (Gioia Tauro, Genova, La Spezia, Taranto, Livorno, Venezia e Trieste) arriviamo a movimentare 7.818.974 container. Cioè poco più della sola Anversa e 2 milioni in meno della sola Rotterdam. O se volete un terzo del solo porto di Singapore. A Barcellona, consapevoli di essere obbligati ad ampliare il porto per tenere il passo del mondo, hanno deviato la foce del fiume Llobregat, preservato un’oasi faunistica per far contenti gli ambientalisti e creato spazi per 30 chilometri di banchine.
A La Spezia la richiesta di dragare i fondali è stata tenuta ferma per anni finché è stata sbloccata nel 2007 solo a una condizione: tutti i fanghi rimossi, considerati da certi verdi integralisti tossici e pericolosissimi, devono essere messi in migliaia di costosi sacchi speciali con l’interno in pvc assorbente e portati da un’altra parte. Risultato: li spediamo, pagando, ai belgi. Che incassano 100 euro a tonnellata, prendono i nostri «spaventosi» fanghi tossici consegnati a domicilio e li usano per fare nuove banchine ad Anversa con le quali aumentare il loro vantaggio già abissale su La Spezia e gli altri porti nostrani. Ridono di noi, all’estero. Ridono e si portano l’indice alla tempia: italiani picchiatelli! E come potrebbero non ridere, davanti a certi sproloqui? Le «autostrade del mare »! Il primo a parlarne fu addirittura Costante Degan, un vecchio democristiano veneto piazzato alla Marina mercantile. Ministero, tra l’altro, non solo abolito a partire dal primo governo Berlusconi ma scomparso perfino come delega a qualche straccio di sottosegretario. Come se il mare che bagna 7.458 chilometri delle nostre coste esistesse solo per scaricare liquami o farsi una nuotata nei giorni di solleone… (2 - Continua)

Sergio Rizzo
Gian Antonio Sella

29 aprile 2008
Il Corriere della Sera


OT, ma non troppo. Dimostra che porti o aeroporti non cambia, la mentalità del Paese è sbagliata.
 
C'era un articolo interessante sul SecoloXIX domenica scorsa: a Genova non riusciranno e neanche è in pianificazione raggiungere e passare la soglia del milione di container.
Certo c'è da dire che poi smuovere tutti quei container via camion sulle A7, A10, A12, A26 è cosa ancor più ardua...
 
La lettura è davvero mortificante, segnalo che sul corriere nella paginata soprariportata c'è anche un articolo sull'alta velocità in italia, francia e spagna, anche questo davvero eloquente e con cifre che si commentano da sole.
 
Questo articolo e' molto interessante anche perche' rispecchia molto sulla realta' che abbiamo noi a cagliari.
Cagliari si trova al centro del mediterraneo, in mezzo alle principali rotte mediterranee e quindi con un po di iniziativa si potrebbe creare un porto canale che potrebbe attirare tantissimi investimenti, solo che per motivi politici nazionali, si e' preferito dare aiuti a Gioia Tauro e ora abbiamo un porto canale vuoto e inutilizzato, uno spazio immenso ma inutilizzato. Per non parlare del traffico passeggero dove abbiamo la convenzione, NON voluta dalla regione Sardegna per la tirrenia, per cui le maggiori compagnie avversarie si rifiutano di attivare rotte da/per cagliari proprio per questo motivo. Tra l'altro mamma tirrenia a cagliari manda le navi piu' lente e piu' vecchie della sua flotta. Naturalmente sono tutte scelte di politica nazionale.
 
è ormai dimostrato storicamente che le infrastrutture in Italia si migliorano solo su istanza e coinvolgimento di qualche privato ammanicato e/o sbarbino: non dimenticate mai infatti che il criterio è "spese pubbliche, guadagno privato"

ecco quindi l'alta velocità arrivata per l'interessamento delle grosse imprese di costruzione, le autostrade che stanno migliorando grazie ai Benetton costretti ahimé sul patibolo "o investite o vi revochiamo la licenza", ed ecco gli aeroporti su cui si sono concentrati gli occhi e l'abilità delle low cost estere, che hanno fatto intravvedere alle società aeroportuali della provincia la possibilità di far girare qualche soldino; per fortuna però per gli aeroporti specie al Sud è arrivata anche l'UE

e i porti? beh se conoscete qualche privato sbarbino potete informarlo, chissà che non scappi qualcosa, naturalmente i guadagni e i benefici saranno solo per lui
 
L'avevo letto stamattina.
Mortificante.

Assieme a quello che si è visto nella puntata di Report di domenica scorsa, ed assieme a quello che chiunque dotato di vista può constatare da sè, sottolinea lo stato di miseria (intellettuale più che economica) in cui versa il sistema (e parlando di sistema parlo di un complesso di organi che creano un unus) dei trasporti nel nostro paese.

my two cents
 
Questo articolo e' molto interessante anche perche' rispecchia molto sulla realta' che abbiamo noi a cagliari.
Cagliari si trova al centro del mediterraneo, in mezzo alle principali rotte mediterranee e quindi con un po di iniziativa si potrebbe creare un porto canale che potrebbe attirare tantissimi investimenti, solo che per motivi politici nazionali, si e' preferito dare aiuti a Gioia Tauro e ora abbiamo un porto canale vuoto e inutilizzato, uno spazio immenso ma inutilizzato. Per non parlare del traffico passeggero dove abbiamo la convenzione, NON voluta dalla regione Sardegna per la tirrenia, per cui le maggiori compagnie avversarie si rifiutano di attivare rotte da/per cagliari proprio per questo motivo. Tra l'altro mamma tirrenia a cagliari manda le navi piu' lente e piu' vecchie della sua flotta. Naturalmente sono tutte scelte di politica nazionale.

Scusami tanto, un porto attrezzato per servire la regione Sardegna è un conto, ma a cosa servirebbe un porto come Gioia Tauro a Cagliari? Le merci che fai le smisti a Cagliari e le reimbarchi per l'Italia?
Non mi sembra molto conveniente.
 
Quadro desolante, come era desolante nella trasmissione Report dell'altra sera vedere il parallelo tra le due mentalità in ambito trasportistico Spagna vs. Italia... bastava vedere l'atteggiamento dei due ministri in carica.

Ci consoliamo con gli scambi 'culturali'... :)

PORTI: GENOVA; MERLO, AVVIATA COLLABORAZIONE CON ROTTERDAM
(ANSA) - GENOVA - ''I porti del Nord non vedono i porti del Mediterraneo come loro competitor ma come possibili alleati rispetto alle nuove modalita' di circolazione e di traffico delle merci'': lo ha dichiarato il presidente dell'autorita' portuale di Genova, Luigi Merlo, annunciando l'avvio di una collaborazione tra lo scalo genovese e quello di Rotterdam. ''Nei giorni scorsi - ha precisato Merlo - ho avuto un confronto con i vertici del porto di Rotterdam. Abbiamo avviato una collaborazione che dovrebbe concretizzarsi a giugno con alcuni atti formali''. In particolare, Merlo ha parlato di ''scambi di esperienze per i lavoratori, di formazione e di accelerazione per quanto l'intermodalita' e l'inland terminal''.(ANSA). RC
 
Scusami tanto, un porto attrezzato per servire la regione Sardegna è un conto, ma a cosa servirebbe un porto come Gioia Tauro a Cagliari? Le merci che fai le smisti a Cagliari e le reimbarchi per l'Italia?
Non mi sembra molto conveniente.


Ma difatti non sarebbe ne un porto per gestire i traffici della sardegna ne per smistare per gioia tauro..
 
Queen Mary 2

La Queen Mary 2(che mi risulta essere la nave più grande al mondo) ha attraccato l'anno scorso a Napoli...ma forse queste di cui si parla nell'articolo sono ancora più grandi(?)
 
C'era un articolo interessante sul SecoloXIX domenica scorsa: a Genova non riusciranno e neanche è in pianificazione raggiungere e passare la soglia del milione di container.
Certo c'è da dire che poi smuovere tutti quei container via camion sulle A7, A10, A12, A26 è cosa ancor più ardua...

L'articolo che citi si riferiva al solo terminal di Genova-Voltri, non certo all'intero porto di Genova.

Tornando all'articolo non mi risulta affatto che, quanto meno a Genova, non vi siano i fondali per ospitare le portacontenitori di ultima generazione.

Mi pare che l'articolo del Corsera dica cose sacrosante, ma facendo molto colore e senza il minimo studio della materia (ad esempio gli articolisti conosceranno la differenza fra porti di destinazione finale e porti di transhipment? La cosa incide anche sul numero dei containers movimentati, che nel secondo caso vengono contati due volte)
 
15 metri di pescaggio è una cosa mostruosa

Le navi di ultima generazione (da 5.000 a 8.000 TEU) hanno bisogno di canali di accesso e di banchine in porto con fondali di almeno un metro e mezzo oltre il pescaggio della nave a pieno carico. Cioè almeno 16-17 metri.

Mi risulta che questo sia già possibile a Genova Voltri, mentre sarà possibile anche a Calata Bettolo (terminal di Genova-Sampierdarena) ad ultimazione dei lavori di realizzazione del nuovo terminal.