operazione zero esuberi


airblue

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6 Novembre 2005
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Lombardia.
Credo che ormai sia evidente la poca serietà dell'offerta Areroflot (nel caso di conferma delle informazioni riportate dalla stampa).
 
non ho davvero parole...
vincesse Aeroflot, il governo si beccherebbe ALMENO il quadruplo dei soldi rispetto alle altre cordate e farebbe contenti gli amici sindacati, per avere ancora una compagnìa alla bimbumbam... poveri lavoratori seri, mi piange il cuore x loro :( Possibile che chi vuole lavorare seriamente in Italia debba sempre vedere il proprio impegno sputtanato da una manica di ebeti? [:305]
 
Mi sembrava si fosse detto che Aeroflot offriva 0.40 per azione, AirOne 0.10 e TPG ancora meno... o ne ho invertita qualcuna? [:0]
 
Be' il fatto che TPS abbia detto che non importa quanto viene offerte bensi' che stanno comprando un piano industriale.... fa sperare in qualcosa di buono... e cioe' che SU non sia proprio in pole....
 
Citazione:Messaggio inserito da b787liner

Be' il fatto che TPS abbia detto che non importa quanto viene offerte bensi' che stanno comprando un piano industriale.... fa sperare in qualcosa di buono... e cioe' che SU non sia proprio in pole....

approposito delle dichiarazioni del verginello TPS.

dichiara in commissione trasporti che per ciò che riguarda la gara alitalia il ministero sta mantenendo "una posizione di assoluta neutralità" negando pressioni, interferenze... salvo poco più avanti dire che se queste ci sono state "non ci sono sicuramente state da parte mia"... io sono vergine ci pensano i miei colleghi a sporcarsi le mani

sempre per la serie noi siamo vergini e non facciamo pressioni

dichiara che la gara "è assolutamente trasparente sul metodo" salvo poi dire che "mano a mano che la procedura avanza mi rendo conto di quanto sia difficile il rispetto dei requisiti" quindi manderemo una lettera ai concorrenti dove "si integreranno le condizioni di vendita... in maniere ineccepibile..." in modo che a nessuno salti in mente di ricorrere... io sono vergine però mi riservo di mettere dei nuovi paletti così da non avere rotture ma sopratutto per creare le condizioni che qualcuno si auto-elimini

sempre per la serie noi siamo vergini e non facciamo pressioni

per evitare rischi di contestabilità si procederà ad integrare il bando tenendo comunque presente che "... la griglia andrà gestita in modo trasparente per trovare l'acquirente migliore... per ridurre al minimo i rischi di contestabilità" rischi che "non vanno ridotti a zero ma di cui tenere conto".... io sono vergine e quindi metterò dei paletti belli robusti per giustificare chi si auto-eliminerà o verrà eliminato

sempre per la serie noi siamo vergini e non facciamo pressioni. qui si raggiunge, poi, l'apoteosi tipica anche del nostro fenomeno

"una gara aperta con più soggetti" ma attenzione "salvaguardando criteri ai quali NOI teniamo"... "alitalia deve "potersi sviluppare" ma "restando una compagnia di bandiera" staremo attenti che "il prezzo non prenda il sopravvento esclusivo su altri criteri"... tra paletti e palettoni faremo come più ci piace

e per chi non fosse soddisfatto

"alitalia "risulta chiaramente essere di dimensioni e peso modesto nel suo mercato"... quindi evviva il monopolio e chi senefrega dei clienti che pagheranno 1000 euro la fco lin


la coppietta TPS e il fenomeno a fine legislatura porteranno l'italia ad essere la superpotenza del terzo millenio. in un anno hanno risanato il bilancio, rilanciato l'economia e venduto alitalia! come dice AZ1774... son proprio dei fenomeni! mai visto una cosa del genere
 
Citazione:Messaggio inserito da concorde

Citazione:Messaggio inserito da I-ALEX

Grande analisi Concorde [:304], evviva i "verginelli"
grasssie ma ho tratto spunto dal mio giornalista economico preferito... oscar giannino
L'altro giorno leggevo le news su radiocore e seguivo l'andamento del titolo a Piazza Affari: mazza che popolo di boccaloni che siamo
 
un pò d'interessante analisi per tutti quelli che dicono che è non è colpa della produttività e discorsi annessi (esuberi ecc) ma solo e sempre colpa delle vendite...

Nel primo trimestre 2007, il tasso di crescita del Pil dell’economia italiana (+0,2 per cento) ha subito un rallentamento rispetto al boom registrato nel trimestre precedente (+1,1 per cento) che aveva, invece, entusiasmato gli osservatori. L’Italia ha fatto peggio dell’area euro (+0,6 per cento) e di tutti gli altri grandi paesi europei. Ha fatto peggio anche della Germania, nella quale la domanda interna ha subito un temporaneo rallentamento a causa dell’aumento dell’Iva introdotto dalla signora Merkel per far quadrare il vincolo di bilancio pubblico. Ma in Germania l’export vola; non a caso, dall’anno scorso l’economia tedesca è diventata il primo paese esportatore al mondo. È l’Italia che continua a essere un po’ indietro rispetto agli altri, il che ha indotto il ministro Padoa-Schioppa a concludere prudentemente che c’è ancora molta strada da fare.
Che sia presto per brindare è diventato sempre più chiaro con il passare del tempo. Non tanto per le oscillazioni trimestrali della crescita del Pil - un dato ineliminabile nei dati a frequenza trimestrale – ma piuttosto per l’andamento della produttività del lavoro del 2006.
L’Istat ha recentemente reso disponibili dati dettagliati sul valore aggiunto e sulle unità di lavoro totali, relativi a cinquanta settori dell’economia italiana. Questi dati rappresentano gli ingredienti necessari per calcolare misure della produttività a livello dei settori e dell’intera economia. (1) L’evidenza empirica indica che la crescita del Pil dell’Italia nel 2006 (+1,7 per cento per il Pil misurato al costo dei fattori della produzione) è quasi interamente spiegata dall’aumento delle unità di lavoro (+1,6 per cento). La produttività del lavoro (misurata in termini di Pil per unità di lavoro totali) invece è rimasta quasi ferma. Dunque l’economia ha ripreso ad andare decentemente, ma la caratteristica negativa degli ultimi anni – la deludente crescita della produttività nell’economia italiana – è confermata anche in un anno di ripresa.
Come indicato nella tabella 1, si tratta tra l’altro di un dato in contrasto con i dati disponibili per le recessioni precedenti. Nel 1976 e nel 1994, gli anni immediatamente successivi alle recessioni del 1975 e del 1993, la produttività era migliorata - nettamente negli anni Settanta e marginalmente negli anni Novanta. La spiegazione è semplice ed è il risultato di ciò che in gergo si chiama "labor hoarding". Nelle recessioni, le imprese, vincolate dalle leggi di protezione dell’impiego ma anche dall’esigenza di non rinunciare al proprio capitale umano, mantengono un po’ di lavoro inutilizzato aspettando la ripresa. Quando la ripresa arriva, il fatturato aumenta mentre i posti di lavoro almeno inizialmente rimangono costanti. Per questo si dice che solitamente la produttività del lavoro ha un andamento pro-ciclico. Non è stato così in Italia nel 2006: sulla base dei dati Istat, la crescita della produttività è addirittura leggermente diminuita rispetto all’anno precedente. Vuol dire che le leggi Treu e Biagi agevolano le scelte aziendali di assumere. Ma rivela anche una persistente incapacità dell’economia italiana di far crescere insieme produttività e occupazione.
La stagnazione aggregata della produttività è la combinazione di dati molto differenziati tra l’industria e i servizi (privati; per quelli pubblici calcolare la produttività aggregata è più complicato). Al contrario dei dieci anni precedenti, nell’industria, le cose sono andate decisamente meglio. Il Pil dell’industria è cresciuto del 3,3 per cento grazie a un aumento della produttività dell’1,9 per cento e a un aumento delle unità di lavoro di 1,4 punti percentuali – una felice e rara combinazione di crescita dei posti di lavoro e di una – moderata ma non disprezzabile - crescita della produttività del lavoro. Nel settori che producono beni durevoli (particolarmente nel settore meccanico e nella produzione di mezzi di trasporto), le cose sono andate anche meglio: +4,7 per cento la produttività del lavoro, +2,4 per cento le unità di lavoro. Più in difficoltà, invece, i settori che producono beni non durevoli.
Ma l’Italia non è più quella di una volta: non basta più che la Fiat vada bene perché vada bene tutta l’economia. Il settore industriale nel suo complesso oramai conta per meno di un quinto del Pil complessivo. Il buon andamento della produttività industriale è infatti compensato dalla sostanziale stagnazione della produttività nel settore dei servizi privati (-0,2 per cento).
Il Pil dei servizi è infatti aumentato dell’1,8 per cento, ma solo grazie a un aumento di due punti percentuali delle unità di lavoro. Dalla tabella 2, si vede che la produttività è andata male nel settore immobiliare e dove i vincoli infrastrutturali e di mancanza di concorrenza pesano di più: nel commercio all’ingrosso (-3,5 per cento), nel settore assicurativo (-4 per cento), dell’intermediazione finanziaria (-3 per cento), nei servizi alle imprese (-1 per cento) e nel settore del trasporto marittimo e aereo (-1 per cento). La produttività è invece andata bene in alcuni settori tradizionali (turismo: +2,5 per cento) e dove c’è più fermento verso la modernizzazione: banche (+2 per cento), commercio al dettaglio (+5 per cento), telecomunicazioni (+2,5 per cento, incluse le poste).
Un governo alla ricerca di un’agenda per il suo secondo anno di attività potrebbe facilmente trovarla all’interno di questa lista di successi e fallimenti
 
altro intervento per quelli che sostengono che ci spacchiamo la schiena, che lavoriamo troppo...

E se fosse (anche) l’aumento delle ore di lavoro il sistema per rendere più produttiva l’industria italiana? In tutta Europa, sembra che il mito del “lavorare meno, lavorare tutti” sia ormai al tramonto. Il più fragoroso segnale in tal senso è arrivato dalla Francia, dove Nicholas Sarkozy ha liquidato come ‘catastrofica’ l’esperienza delle 35 ore voluta dalla socialista Martine Aubry soltanto 7 anni fa. Il nuovo inquilino dell’Eliseo ha già deciso un aumento retributivo del 25% degli straordinari, che servirà a mettere in linea le piccole e medie imprese – dove le ore extra adesso vengono pagate il 10% del normale – con quanto già avviene nelle aziende più grandi. Ma non meno significativo, anzi, è il segnale che ci manda l’Austria, dove dal 2008 regole più flessibili consentiranno di
lavorare fino a 60 ore la settimana (e 12 al giorno) per otto settimane consecutive, grazie a un disegno di legge presentato dalla Grande Coalizione che vede alleati i socialdemocratici del cancelliere Alfred Gusenbauer e i popolari. La Germania, invece, già da tempo ha messo in pratica aumenti del numero di ore lavorate, facendo passare il working time dalle 35 alle 39-40 a seconda dei casi, ma solo per grandi aziende come Siemens, Wolkswagen, Daimler-Chrysler.
E che quello dell’aumento delle ore di lavoro sia un “cambio di direzione” sempre più necessario, lo si capisce dal gap che separa l’Europa dagli Stati Uniti. Il differenziale di orario tra le due aree è cresciuto dalle 300 ore del 2000 alle 533 del 2006, a causa delle norme contrattuali, del tasso di assenteismo e dello straordinario, che in Europa varia tra l’1% e il 4% delle ore lavorative, mentre nei mercati anglosassoni arriva al 10%: uno svantaggio competitivo che si è tradotto in tre mesi di lavoro in meno di differenza solamente l’anno in corso, e in ben 365 giorni – un anno intero! – nell’ultimo lustro.
Dunque, proprio per evitare di farci sommergere da questo scarto, il cambio di direzione dovremmo pensare di metterlo in cantiere anche noi: un po’ perché la media di ore lavorate in Italia si attesta sulle 1505, al di sotto delle 1630 medie della Ue-25, un po’ perché l’assenteismo nell’industria metalmeccanica rasenta il 10,4%, un risultato che ci vede penultimi in Europa, prima soltanto del Belgio. Certo, oggi l’economia globalizzata assegna all’Occidente un modello di business meno labour e più capital e technology intensive, nel quale gli investimenti significativi sono quelli fatti nella conoscenza e nell’innovazione. E anche il nostro Paese, seppur (troppo) faticosamente, sta prendendo la via dell’economia “digitale” al posto di quella “analogica”, come testimonia, tra l’altro, il dato sull’anagrafe delle imprese, che nel primo trimestre 2007 sono calate, al netto delle nuove nate, di 14mila unità – la diminuzione più elevata del decennio – segno, questo, che la schumpeteriana “distruzione creatrice” sta operando la giusta selezione. Ma nella competizione globale è il caso di rendersi conto che, se altrove si sta virando verso il modello “lavorare di più”, noi non possiamo che fare altrettanto. Non si tratta di tornare al vecchio schema di competizione sui costi, specie su quello del lavoro, perchè comunque siamo perdenti rispetto agli asiatici. Ma recuperare quote di produttività, anche lavorando di più, è un obbligo a cui non possiamo sottrarci.
 
Xmq anche il Corriere conferma quanto detto, cioè zero esubero con Aeroflot, e maggior offerta ad azione!
Ma Aeroflot ha un mega limite, cioè che perdendo l'Italianità della compgnia farebbe perdere un bel po di rotte importanti! Così adesso sembra che TPG stia prendendo accordi con AP, in più anche il C.O. di LH conferma che Toto da solo non riuscirebbe ad amministrare AZ... Quidni io deduco che le voci di un probabile accorza TPG e AP sia probabilissimo