Fuksas vince il concorso per l'aeroporto cinese di Shenzhen
di Giorgio Santilli
Il Sole 24Ore
4 aprile 2008
Massimiliano Fuksas ha vinto il concorso internazionale per l'aeroporto cinese di Shenzhen: 400mila metri quadrati per il nuovo terminale, una previsione di 40 milioni di passeggeri a regime, che consentiranno allo scalo di diventare il quarto della Cina dopo Pechino, Shanghai e Guangzhou. L'investimento totale previsto per sviluppare l'area aeroportuale (di cui il terminale è una parte), sottraendola alla laguna, è di 1,5 miliardi di euro. Il Sole-24 Ore è in grado di mostrare in anteprima le foto</u> del progetto dello studio Fuksas che ha disegnato una struttura che richiama l'immagine di una grande razza a doppia pelle, che respira, si piega, si modifica, prende luce e la restituisce. Fuksas ha battuto nella fase finale altri cinque studi di fama mondiale: Foreign Office Architects (Gb), Foster and Partners (Gb), Gmp International (Germania), Kisho Kurokawa (Giappone) e Reiser+Umemoto (Usa). I lavori per il nuovo terminale dureranno tre anni. Nelle immagini, il terminale visto dall'esterno e le sezioni interne. Domani sul Sole 24 Ore l'intervista all'architetto Fuksas.
Fuksas: «Così ho vinto la partita di Shenzhen»
di Giorgio Santilli
Il Sole 24Ore
5 aprile 2008
«Lo immagino più come un pesce che come un uccello. Una manta, una razza che respira, cambia forma, ha una sua dolcezza, si piega, subisce variazioni, prende luce, rimanda luce, la fa filtrare dentro. Con una doppia pelle, quella esterna e quella che, all'interno, pure si modifica come una grande scultura. E in mezzo, fra le due pelli, tutto il sistema degli impianti, che punta a ridurre al minimo il consumo di energia e le emissioni». Massimiliano Fuksas, 64 anni, presenta in anteprima al Sole 24 Ore il progetto con cui ha vinto il concorso internazionale di architettura per il nuovo terminal dell'aeroporto cinese di Shenzhen, superando, nell'ultima fase altri big dell'architettura mondiale come i britannici Foster e Foreign Office Architects, i tedeschi di Gmp International, il giapponese Kisho Kurokawa, gli americani di Reiser+Umemoto. L'opera, che consentirà allo scalo di diventare il quarto della Cina e di arrivare a 40 milioni di passeggeri, comporterà un investimento totale di 1,5 miliardi per sottrarre un'area alla laguna e trasformarla in un landmark simbolo dell'impetuoso sviluppo cinese da 400mila metri quadrati.
Perché ha vinto questo progetto, architetto Fuksas?
Bisognerebbe chiederlo ai committenti. Certo non l'abbiamo vinto giocando al ribasso sulle parcelle, visto che la nostra offerta era il doppio di quella degli americani. Non siamo andati lì a fare un certo tipo di italiani. Semmai è l'idea del design italiano che è ancora vincente nel mondo. Tutti gli interlocutori con cui abbiamo parlato conoscevano l'Italia. Firenze, sicuro, ma anche Milano e Roma.
È stata una partita dura?
Il concorso è stato duro, siamo partiti in venti, è durato dieci mesi. Il nostro progetto è risultato il migliore. È stata significativa la trattativa finale sul prezzo, dodici ore di fila: colazione, pranzo e cena. Alla fine, però, non hanno voluto uno sconto sulla fee, che noi abbiamo rigorosamente voluto in euro e non in dollari, ma di progettare un altro edificio di 50mila metri quadrati da destinare a business center e uno più piccolo di tremila metri quadrati come «regalo al sindaco». Mentre noi discutevamo, loro stavano già lavorando, con la palificazione, per sottrarre la terra alla laguna.
C'è da credere che ora aprirete uno studio anche in Cina, per sbarcare in forze, come altri studi di architettura.
Lo studio è già aperto. Se mi arriva un altro bel progetto in Cina, lo prendo. Ma non mi interessa la conquista di mercati. A me interessano singoli progetti.
Non la imbarazza prendere un lavoro in Cina proprio ora, con quel che accade in Tibet?
Io sono sempre stato contro il boicottaggio e mi fa piacere che la pensi così anche il Dalai Lama. Per migliorare le cose è importante parlare e lavorare con gli altri. I boicottaggi portano a forme di autarchia, che non aiutano nessuno. Basti guardare Cuba, come poteva crescere e non è cresciuta. Quanto alla Cina, nessuno può giudicare, senza conoscerla a fondo: una civiltà che ha cinquemila anni di storia e governa 1,6 miliardi di esseri umani. Un Paese che sta ancora una volta dimostrando una grande modernità.
Che genere di modernità?
Pechino è più moderna di New York, con gli studi d'arte, gli scrittori, gli intellettuali, il cinema. New York ormai è una città storica mentre la nuova frontiera della cultura è la Cina, dove c'è una forte immaginazione del futuro. Ma il punto forte della modernità cinese è un altro: è il governo dei grandi numeri. Riuscire a governare 1,6 miliardi di persone li rende più omogenei al mondo globalizzato di quanto lo sia la vecchia e stanca Europa.
Fatte le dovute proporzioni, anche un aeroporto è governo di grandi numeri.
Sì, certo. Progetti un'opera pensando che sarà per 40 milioni di passeggeri, ma devi farlo pensando che potrebbe diventare anche per sessanta.
Che pensa degli aeroporti italiani?
Dell'aeroporto di Roma penso che sia una baraccopoli, un caos che non è mai stato ripensato in termini unitari. È il più brutto aeroporto continentale, caotico, fatto di addizioni occasionali. Non è mai stato fatto un concorso internazionale, non si capisce perché continui a lavorarci uno studio di ingegneria interno.
Il problema è solo Fiumicino?
No, anche Malpensa è orribile, neanche Sottsass, che ha fatto gli interni, è riuscito a venirne a capo in modo dignitoso. A Milano l'aria è cambiata solo dopo, con la Fiera. Comunque non c'è stata una politica degli aeroporti in Italia, è chiaro. Molte strutture sono state fatte negli anni '80 che erano anni di malaffare, con gli appalti-concorso e l'impresa in cordata con un architetto sponsorizzato dalla politica. Mani pulite, insomma.
L'aeroporto è città?
Sì, l'aeroporto è la città di oggi. Quando ho fatto la Fiera, pensavo a un aeroporto, un lungo percorso di 1,6 chilometri su due livelli.
Anche la stazione è città.
La stazione è un posto diverso. L'aeroporto è ormai una struttura lineare, un lungo percorso, una passerella: è l'ultima generazione di aeroporti. La stazione ha una testata, un nucleo, un nocciolo dove le cose passano. La linearità di un aeroporto è data dai gates, decine e decine di gates. La gestione dei flussi. La sicurezza senza fare troppe barriere, anche una sfida tecnologica.
Che cosa non ha funzionato al Terminal 5 di Heathrow?
Anche quella è un'addizione. Quando fai un aeroporto oggi, devi buttare via tutto quello che c'era prima, ripensare completamente l'aeroporto, il suo sistema. Oggi i progetti devono essere macrostrutture che ridanno qualità alla vita della gente. I nostri committenti cinesi ci hanno detto: fate un aeroporto, fatelo pensando alla vita della gente che ci sta dentro. Un posto dove si possa stare bene anche se l'aereo è in ritardo.
È una metafora di quello che succede nelle nostre città ferme nel tempo?
Una volta la città si stratificava nei secoli. Quello che realizziamo oggi dobbiamo renderlo storico in venti minuti. Dobbiamo dare risposte in tempi rapidi a una quantità di richieste spaventose.
Quasi un'apologia della demolizione e ricostruzione. Farà inorridire quelli che difendono la conservazione storica.
Piangessero. Oggi la questione fondamentale è realizzare le infrastrutture. Non possiamo più pensare che la rete italiana Av non sia collegata alla rete europea perché c'è un numero limitato di persone che blocca tutto.
Si è allontanato da Bertinotti e si è avvicinato a Veltroni per questa ragione?
È certamente una delle due ragioni fondamentali. L'altra è che l'anticapitalismo è qualcosa di arcaico, ormai.
Che pensa di Alitalia?
Quante volte abbiamo detto, al personale Alitalia, in uno dei tanti momenti di disservizio «speriamo che un giorno questa vicenda finisca»? Ecco, ci siamo. È stata una gestione pessima, il segno di 25 anni di catastrofe del sistema dei trasporti in Italia.
Dopo l'altolà a Condotte, non teme che si fermi anche la Nuvola?
Sono sconcertato. Questo è un Paese assurdo, in cui un giorno apri il giornale e trovi il ministro Di Pietro che dice «togliete tutti i lavori a Condotte». Un'impresa che sta lavorando in modo serio con noi al cantiere della Nuvola. Spero proprio che si vada avanti. Penso che i problemi della mafia non li posso gestire io, io architetto, io impresa, ma deve risolverli lo Stato. Altrimenti le imprese serie non andranno più a lavorare nel Sud e lo abbandoneranno al proprio destino.
di Giorgio Santilli
Il Sole 24Ore
4 aprile 2008
Massimiliano Fuksas ha vinto il concorso internazionale per l'aeroporto cinese di Shenzhen: 400mila metri quadrati per il nuovo terminale, una previsione di 40 milioni di passeggeri a regime, che consentiranno allo scalo di diventare il quarto della Cina dopo Pechino, Shanghai e Guangzhou. L'investimento totale previsto per sviluppare l'area aeroportuale (di cui il terminale è una parte), sottraendola alla laguna, è di 1,5 miliardi di euro. Il Sole-24 Ore è in grado di mostrare in anteprima le foto</u> del progetto dello studio Fuksas che ha disegnato una struttura che richiama l'immagine di una grande razza a doppia pelle, che respira, si piega, si modifica, prende luce e la restituisce. Fuksas ha battuto nella fase finale altri cinque studi di fama mondiale: Foreign Office Architects (Gb), Foster and Partners (Gb), Gmp International (Germania), Kisho Kurokawa (Giappone) e Reiser+Umemoto (Usa). I lavori per il nuovo terminale dureranno tre anni. Nelle immagini, il terminale visto dall'esterno e le sezioni interne. Domani sul Sole 24 Ore l'intervista all'architetto Fuksas.
Fuksas: «Così ho vinto la partita di Shenzhen»
di Giorgio Santilli
Il Sole 24Ore
5 aprile 2008
«Lo immagino più come un pesce che come un uccello. Una manta, una razza che respira, cambia forma, ha una sua dolcezza, si piega, subisce variazioni, prende luce, rimanda luce, la fa filtrare dentro. Con una doppia pelle, quella esterna e quella che, all'interno, pure si modifica come una grande scultura. E in mezzo, fra le due pelli, tutto il sistema degli impianti, che punta a ridurre al minimo il consumo di energia e le emissioni». Massimiliano Fuksas, 64 anni, presenta in anteprima al Sole 24 Ore il progetto con cui ha vinto il concorso internazionale di architettura per il nuovo terminal dell'aeroporto cinese di Shenzhen, superando, nell'ultima fase altri big dell'architettura mondiale come i britannici Foster e Foreign Office Architects, i tedeschi di Gmp International, il giapponese Kisho Kurokawa, gli americani di Reiser+Umemoto. L'opera, che consentirà allo scalo di diventare il quarto della Cina e di arrivare a 40 milioni di passeggeri, comporterà un investimento totale di 1,5 miliardi per sottrarre un'area alla laguna e trasformarla in un landmark simbolo dell'impetuoso sviluppo cinese da 400mila metri quadrati.
Perché ha vinto questo progetto, architetto Fuksas?
Bisognerebbe chiederlo ai committenti. Certo non l'abbiamo vinto giocando al ribasso sulle parcelle, visto che la nostra offerta era il doppio di quella degli americani. Non siamo andati lì a fare un certo tipo di italiani. Semmai è l'idea del design italiano che è ancora vincente nel mondo. Tutti gli interlocutori con cui abbiamo parlato conoscevano l'Italia. Firenze, sicuro, ma anche Milano e Roma.
È stata una partita dura?
Il concorso è stato duro, siamo partiti in venti, è durato dieci mesi. Il nostro progetto è risultato il migliore. È stata significativa la trattativa finale sul prezzo, dodici ore di fila: colazione, pranzo e cena. Alla fine, però, non hanno voluto uno sconto sulla fee, che noi abbiamo rigorosamente voluto in euro e non in dollari, ma di progettare un altro edificio di 50mila metri quadrati da destinare a business center e uno più piccolo di tremila metri quadrati come «regalo al sindaco». Mentre noi discutevamo, loro stavano già lavorando, con la palificazione, per sottrarre la terra alla laguna.
C'è da credere che ora aprirete uno studio anche in Cina, per sbarcare in forze, come altri studi di architettura.
Lo studio è già aperto. Se mi arriva un altro bel progetto in Cina, lo prendo. Ma non mi interessa la conquista di mercati. A me interessano singoli progetti.
Non la imbarazza prendere un lavoro in Cina proprio ora, con quel che accade in Tibet?
Io sono sempre stato contro il boicottaggio e mi fa piacere che la pensi così anche il Dalai Lama. Per migliorare le cose è importante parlare e lavorare con gli altri. I boicottaggi portano a forme di autarchia, che non aiutano nessuno. Basti guardare Cuba, come poteva crescere e non è cresciuta. Quanto alla Cina, nessuno può giudicare, senza conoscerla a fondo: una civiltà che ha cinquemila anni di storia e governa 1,6 miliardi di esseri umani. Un Paese che sta ancora una volta dimostrando una grande modernità.
Che genere di modernità?
Pechino è più moderna di New York, con gli studi d'arte, gli scrittori, gli intellettuali, il cinema. New York ormai è una città storica mentre la nuova frontiera della cultura è la Cina, dove c'è una forte immaginazione del futuro. Ma il punto forte della modernità cinese è un altro: è il governo dei grandi numeri. Riuscire a governare 1,6 miliardi di persone li rende più omogenei al mondo globalizzato di quanto lo sia la vecchia e stanca Europa.
Fatte le dovute proporzioni, anche un aeroporto è governo di grandi numeri.
Sì, certo. Progetti un'opera pensando che sarà per 40 milioni di passeggeri, ma devi farlo pensando che potrebbe diventare anche per sessanta.
Che pensa degli aeroporti italiani?
Dell'aeroporto di Roma penso che sia una baraccopoli, un caos che non è mai stato ripensato in termini unitari. È il più brutto aeroporto continentale, caotico, fatto di addizioni occasionali. Non è mai stato fatto un concorso internazionale, non si capisce perché continui a lavorarci uno studio di ingegneria interno.
Il problema è solo Fiumicino?
No, anche Malpensa è orribile, neanche Sottsass, che ha fatto gli interni, è riuscito a venirne a capo in modo dignitoso. A Milano l'aria è cambiata solo dopo, con la Fiera. Comunque non c'è stata una politica degli aeroporti in Italia, è chiaro. Molte strutture sono state fatte negli anni '80 che erano anni di malaffare, con gli appalti-concorso e l'impresa in cordata con un architetto sponsorizzato dalla politica. Mani pulite, insomma.
L'aeroporto è città?
Sì, l'aeroporto è la città di oggi. Quando ho fatto la Fiera, pensavo a un aeroporto, un lungo percorso di 1,6 chilometri su due livelli.
Anche la stazione è città.
La stazione è un posto diverso. L'aeroporto è ormai una struttura lineare, un lungo percorso, una passerella: è l'ultima generazione di aeroporti. La stazione ha una testata, un nucleo, un nocciolo dove le cose passano. La linearità di un aeroporto è data dai gates, decine e decine di gates. La gestione dei flussi. La sicurezza senza fare troppe barriere, anche una sfida tecnologica.
Che cosa non ha funzionato al Terminal 5 di Heathrow?
Anche quella è un'addizione. Quando fai un aeroporto oggi, devi buttare via tutto quello che c'era prima, ripensare completamente l'aeroporto, il suo sistema. Oggi i progetti devono essere macrostrutture che ridanno qualità alla vita della gente. I nostri committenti cinesi ci hanno detto: fate un aeroporto, fatelo pensando alla vita della gente che ci sta dentro. Un posto dove si possa stare bene anche se l'aereo è in ritardo.
È una metafora di quello che succede nelle nostre città ferme nel tempo?
Una volta la città si stratificava nei secoli. Quello che realizziamo oggi dobbiamo renderlo storico in venti minuti. Dobbiamo dare risposte in tempi rapidi a una quantità di richieste spaventose.
Quasi un'apologia della demolizione e ricostruzione. Farà inorridire quelli che difendono la conservazione storica.
Piangessero. Oggi la questione fondamentale è realizzare le infrastrutture. Non possiamo più pensare che la rete italiana Av non sia collegata alla rete europea perché c'è un numero limitato di persone che blocca tutto.
Si è allontanato da Bertinotti e si è avvicinato a Veltroni per questa ragione?
È certamente una delle due ragioni fondamentali. L'altra è che l'anticapitalismo è qualcosa di arcaico, ormai.
Che pensa di Alitalia?
Quante volte abbiamo detto, al personale Alitalia, in uno dei tanti momenti di disservizio «speriamo che un giorno questa vicenda finisca»? Ecco, ci siamo. È stata una gestione pessima, il segno di 25 anni di catastrofe del sistema dei trasporti in Italia.
Dopo l'altolà a Condotte, non teme che si fermi anche la Nuvola?
Sono sconcertato. Questo è un Paese assurdo, in cui un giorno apri il giornale e trovi il ministro Di Pietro che dice «togliete tutti i lavori a Condotte». Un'impresa che sta lavorando in modo serio con noi al cantiere della Nuvola. Spero proprio che si vada avanti. Penso che i problemi della mafia non li posso gestire io, io architetto, io impresa, ma deve risolverli lo Stato. Altrimenti le imprese serie non andranno più a lavorare nel Sud e lo abbandoneranno al proprio destino.