Roberto Colaninno al Ft: fortunato con le imprese audaci, ma con le avventure industriali ho chiuso
di Elysa Fazzino
8 novembre 2010
Ama le imprese industriali «audaci» e la sorte lo ha aiutato. Roberto Colaninno «è il primo ad ammettere di essere stato fortunato», scrive il Financial Times in un lungo ritratto-intervista di Paul Betts al presidente della Piaggio e di Alitalia.
Il colpo di fortuna più eclatante avvenne quando il manager firmò la cessione di Telecom Italia al gruppo Pirelli: «Il giorno dopo la vendita alla Pirelli, il mondo e i mercati finanziari piombarono nella crisi. Era l'11 settembre 2001».
Il manager mantovano era arrivato al controllo di Telecom Italia nel 1999, quando, come amministratore delegato di Olivetti, insieme a un gruppo di investitori lanciò quella che era all'epoca «la più grande scalata ostile del mondo». Un takeover che gli diede fama e denaro. Due anni dopo, i soci lo «obbligarono» a vendere il controllo della società di telecomunicazioni alla Pirelli, preferendo incassare piuttosto che proseguire l'avventura Telecom Italia. «Avrei voluto continuare a guidare la compagnia, ma non avevo alternativa che cedere la mia quota, quando i miei partner decisero di uscire». Ma – aggiunge Betts – mostra pochi rimpianti.
Divenne così un uomo «molto ricco» e avrebbe potuto ritirarsi nella sua Mantova, lontano dai riflettori. D'altra parte, il Ft lo descrive come un uomo che detesta farsi fotografare e che evita le feste, gli yacht e i lussi amati da tanti dell'élite industriale italiana. Oltre che fare affari, gli piace andare a caccia e una volta all'anno fa una settimana di caccia in Patagonia. «Ma non è il tipo che va in pensione». Colaninno ammette di amare il rischio e le imprese industriali ambiziose che a taluni possono sembrare «folli». Dice di non avere bisogno di lavorare per i soldi, ma per mettersi alla prova.
Poco dopo avere lasciato Telecom Italia, era pronto per un altro progetto «pazzo». Puntò gli occhi sulla Fiat, che allora era alle corde: «Proposi loro il takeover del gruppo» , conferma. Ma la famiglia Agnelli rifiutò.
Allora si lanciò in un'impresa «ancora più pazza»: nel 2002 acquisì il controllo della Piaggio, il produttore di motociclette che era sull'orlo della bancarotta. Il lavoro era particolarmente difficile, poiché i sindacati della Piaggio erano «tra i più intransigenti d'Italia». «Ma Colaninno ha sempre avuto destrezza nel trattare relazioni sindacali complicate», scrive il Ft.
La strategia della Piaggio è stata di espandersi in Asia, specialmente in India, Cina e Vietnam. «L'Asia oggi è più importante dell'Italia per Piaggio. È lì che sta il futuro delle nostre vendite», dice Colaninno, citando le cifre: «La domanda globale è di 44 milioni. L'Europa rappresenta 1,7 milioni: gli Stati Uniti circa 700mila; il Sudamerica altri 3,5 milioni e tutto il resto in Asia. Quindi il futuro è chiaramente l'Asia».
Riportata la Piaggio al profitto, Colaninno ha deciso di investire in un altro progetto «da pazzi»: ha messo insieme un gruppo di investitori per il takeover di Alitalia e di Air One e per creare una nuova compagnia di bandiera con il marchio Alitalia. «Salvare Alitalia gli garantisce di continuare ad avere un posto al principale tavolo degli industriali italiani» e a Colaninno, nonostante voglia fare il modesto, piace stare a quel tavolo, afferma Betts.
Ancora una volta «ha mostrato la sua abilità nei negoziati sindacali» e ancora una volta è stato fortunato. Il mercato aereo è in ripresa e Alitalia dovrebbe raggiungere il break even l'anno prossimo. «Anche i sindacati sembrano fare la loro parte», nota il Ft. Dal gennaio 2009 «abbiamo avuto solo otto ore di sciopero». Dice Colaninno. «È molto meglio del nostro grande partner industriale Air France-Klm (che ha il 25% della compagnia italiana) e di British Airways. Solo nel 2007, Alitalia ha avuto 132 ore di sciopero».
Questo significa che Colaninno è pronto a un'altra «pazza» sfida? domanda il Financial Times. «Non penso», risponde il manager, riconoscendo che forse sta diventando un po' vecchio (ha 67 anni). E comunque, dice che non avrebbe tempo da dedicare a un'altra avventura industriale.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
IlSole24Ore
Articolo Originale
http://www.ft.com/cms/s/0/812b9d98-e92f-11df-aec0-00144feab49a.html#axzz14i3mxByQ
di Elysa Fazzino
8 novembre 2010
Ama le imprese industriali «audaci» e la sorte lo ha aiutato. Roberto Colaninno «è il primo ad ammettere di essere stato fortunato», scrive il Financial Times in un lungo ritratto-intervista di Paul Betts al presidente della Piaggio e di Alitalia.
Il colpo di fortuna più eclatante avvenne quando il manager firmò la cessione di Telecom Italia al gruppo Pirelli: «Il giorno dopo la vendita alla Pirelli, il mondo e i mercati finanziari piombarono nella crisi. Era l'11 settembre 2001».
Il manager mantovano era arrivato al controllo di Telecom Italia nel 1999, quando, come amministratore delegato di Olivetti, insieme a un gruppo di investitori lanciò quella che era all'epoca «la più grande scalata ostile del mondo». Un takeover che gli diede fama e denaro. Due anni dopo, i soci lo «obbligarono» a vendere il controllo della società di telecomunicazioni alla Pirelli, preferendo incassare piuttosto che proseguire l'avventura Telecom Italia. «Avrei voluto continuare a guidare la compagnia, ma non avevo alternativa che cedere la mia quota, quando i miei partner decisero di uscire». Ma – aggiunge Betts – mostra pochi rimpianti.
Divenne così un uomo «molto ricco» e avrebbe potuto ritirarsi nella sua Mantova, lontano dai riflettori. D'altra parte, il Ft lo descrive come un uomo che detesta farsi fotografare e che evita le feste, gli yacht e i lussi amati da tanti dell'élite industriale italiana. Oltre che fare affari, gli piace andare a caccia e una volta all'anno fa una settimana di caccia in Patagonia. «Ma non è il tipo che va in pensione». Colaninno ammette di amare il rischio e le imprese industriali ambiziose che a taluni possono sembrare «folli». Dice di non avere bisogno di lavorare per i soldi, ma per mettersi alla prova.
Poco dopo avere lasciato Telecom Italia, era pronto per un altro progetto «pazzo». Puntò gli occhi sulla Fiat, che allora era alle corde: «Proposi loro il takeover del gruppo» , conferma. Ma la famiglia Agnelli rifiutò.
Allora si lanciò in un'impresa «ancora più pazza»: nel 2002 acquisì il controllo della Piaggio, il produttore di motociclette che era sull'orlo della bancarotta. Il lavoro era particolarmente difficile, poiché i sindacati della Piaggio erano «tra i più intransigenti d'Italia». «Ma Colaninno ha sempre avuto destrezza nel trattare relazioni sindacali complicate», scrive il Ft.
La strategia della Piaggio è stata di espandersi in Asia, specialmente in India, Cina e Vietnam. «L'Asia oggi è più importante dell'Italia per Piaggio. È lì che sta il futuro delle nostre vendite», dice Colaninno, citando le cifre: «La domanda globale è di 44 milioni. L'Europa rappresenta 1,7 milioni: gli Stati Uniti circa 700mila; il Sudamerica altri 3,5 milioni e tutto il resto in Asia. Quindi il futuro è chiaramente l'Asia».
Riportata la Piaggio al profitto, Colaninno ha deciso di investire in un altro progetto «da pazzi»: ha messo insieme un gruppo di investitori per il takeover di Alitalia e di Air One e per creare una nuova compagnia di bandiera con il marchio Alitalia. «Salvare Alitalia gli garantisce di continuare ad avere un posto al principale tavolo degli industriali italiani» e a Colaninno, nonostante voglia fare il modesto, piace stare a quel tavolo, afferma Betts.
Ancora una volta «ha mostrato la sua abilità nei negoziati sindacali» e ancora una volta è stato fortunato. Il mercato aereo è in ripresa e Alitalia dovrebbe raggiungere il break even l'anno prossimo. «Anche i sindacati sembrano fare la loro parte», nota il Ft. Dal gennaio 2009 «abbiamo avuto solo otto ore di sciopero». Dice Colaninno. «È molto meglio del nostro grande partner industriale Air France-Klm (che ha il 25% della compagnia italiana) e di British Airways. Solo nel 2007, Alitalia ha avuto 132 ore di sciopero».
Questo significa che Colaninno è pronto a un'altra «pazza» sfida? domanda il Financial Times. «Non penso», risponde il manager, riconoscendo che forse sta diventando un po' vecchio (ha 67 anni). E comunque, dice che non avrebbe tempo da dedicare a un'altra avventura industriale.
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