Clark: “Emirates vola controvento niente alleanze ma crescita solitaria”
IL PRESIDENTE DELLA COMPAGNIA DI DUBAI INSISTE NELLA SUA TATTICA DI NON INSERIRSI IN ALCUNO DEI GRANDI NETWORK MONDIALI: “I FATTI CI DANNO RAGIONE, ABBIAMO GIÀ UNA FLOTTA DI 220 AEREI E RISULTATI POSITIVI”. ORA L’ATTACCO AL MERCATO AMERICANO
Ettore Livini
Nome: Tim Clark. Professione: presidente di Emirates Airlines. Hobby: volare controvento, rifiutando i dogmi del pensiero dominante dell’aviazione civile. Un atteggiamento al limite dello snobismo, scherzavano una ventina di anni fa i rivali europei e americani. Oggi si sono dovuti ricredere. Molti di loro navigano in cattive acque. Qualcuno è uscito di scena portando i libri in tribunale.
L’ex rugbista Clark invece ha spiazzato tutti: la ex-piccola compagnia del Dubai è diventata il quarto vettore del mondo. «Più grande di Air France, Lufthansa e Klm», sorride lui soddisfatto in un salotto di Casa Milano dopo aver firmato il rinnovo della sponsorizzazione con i rossoneri. I giganteschi Airbus A380 con la livrea emiratina sono diventati una presenza quotidiana in molti aeroporti europei (ultimo in ordine di tempo a Milano Malpensa). E conquistato il Vecchio continente, la Emirates si prepara alla madre di tutte le sfide: quella contro i colossi dei cieli a stelle e strisce, in palio la conquista del mercato americano. La storia parallela del manager ex- rugbista e della sua aerolinea inizia nel 1985. Lui, 35enne espatriato, figlio di un capitano di petroliera e appassionato di volo è reduce da dieci anni alla Gulf Air, in Bahrain.
«Lavorare allora per me era un hobby più che un mestiere» ricorda. Gli Al Makhtoum, famiglia regnante del Dubai, fiutano il suo talento. E assumono lui a altri otto dirigenti britannici consegnando loro un assegno da 10 milioni di dollari per far nascere la compagnia di bandiera dell’Emirato.
Il mantra del settore, allora come oggi, era solo uno: «In futuro sopravviveranno solo le aerolinee che si riuniranno in grandi consorzi mondiali», dicevano amministratori delegati, professori universitari ed esperti. Giganti come SkyTeam (guidata da Air France e Delta), Star Alliance (Lufthansa e United) e Oneworld (Ba e American) destinati a dominare dall’alto il trasporto aereo lasciando ai concorrenti le briciole, sostenevano tutti.
Clark, in tasca una laurea in economia all’Università di Londra, ha fatto i suoi calcoli e ha scelto un’altra strada. «Io lo sapevo e i fatti mi hanno dato ragione: le alleanze aeree sono come i matrimoni: ad alto tasso di infedeltà - ricorda oggi - noi abbiamo deciso di fare da soli. Ci hanno offerto tre volte, l’ultima nel 2010, di staccare un biglietto per entrare in uno dei tre consorzi. Ma noi siamo rimasti padroni del nostro destino».
I numeri sembrano dare ragione al suo ostinato volare controvento: i due mezzi con cui è partito il servizio della Emirates sono diventati una flotta di oltre 220 jet (tra cui 55 superaerei A380, uno in servizio quotidiano su Milano). La compagnia serve oggi oltre 140 destinazioni in tutto il mondo e ha ordinato velivoli per un valore di oltre 130 miliardi di dollari ad Airbus e Boeing. Gli sceicchi non hanno più messo mano al portafoglio e la creatura di Clark - che nel 2013-2014 ha fatturato 23 miliardi guadagnandone 1,1 - va avanti con le sue ali.
«Le cose stanno andando bene. Crescono i passeggeri, salgono i rendimenti di tutte le classi conferma il presidente - Cina e Vietnam stanno frenando un po’, ma in Europa, per dire, viaggiamo sempre con coefficienti di riempimento altissimi». Il modello Emirates - meglio single che sposati con troppi partner - funziona.
Al centro della ragnatela c’è l’aeroporto di Dubai, avveniristico scalo costruito con 32 miliardi di dollari figli del boom del petrolio: un superhub strategico da cui l’80% della popolazione mondiale dista meno di 8 ore di volo. Attorno a questo avveniristico gioiello c’è una rete di collegamenti fittissima e capillare che arriva in decine di città minori non servite se non sporadicamente dai grandi rivali dei consorzi.
Risultato: dai check in dell’emirato sono passati quest’anno 71 milioni di passeggeri e l’anno prossimo l’aeroporto sorpasserà Heathrow diventando il più grande del mondo. Non solo: cercando sui motori di ricerca, spesso le rotte del vettore di Clark risultano più dirette e meno care di quelle dei rivali. «Le faccio un esempio: in Silicon Valley ci chiamano l’Hyderabad express - racconta perché siamo il collegamento più rapido ed economico dalla California al distretto hi-tech indiano ».
Volare controvento, naturalmente, non è una strada sempre in discesa. Clark e la Emirates ne sanno qualcosa visto le mille peripezie legali e giudiziarie (ancora non chiuse) che hanno passato per ottenere la Quinta libertà, cioè l’ok a proseguire il volo da Dubai a Milano verso New York. Provvedimento contro cui si sono schierati a Bruxelles, in un rarissimo esempio di concordia, i big dei cieli europei.
«La compagnia di Dubai è sostenuta dai soldi dello Stato», accusano. Colpi di fioretto cui Clark risponde sempre ricordando che non prende soldi dai soci da anni, anzi ha distribuito fior di dividendi. L’esempio virtuoso del vettore emiratino, come capita spesso, ha fatto scuola. A due passi da casa. E a fianco di Dubai sono nate negli ultimi anni Etihad e Qatar, le altre punte del tridente del Golfo che stanno facendo tremare il resto del trasporto aereo mondiale.
Il pensiero dominante, anche qui, distribuisce scetticismo: troppi galli in un pollaio. il numero uno di Emirates, tanto per non smentirsi, rifiuta la logica del gregge. «Non è vero. La competizione tra di noi finora è stata salo salutare - spiega - Di sicuro ha fatto bene ai consumatori. E, forse, ha fatto male ai nostri concorrenti». Galateo da buon vicinato, confermato dal giudizio su Alitalia-Etihad: «È una buona operazione. Altrimenti Alitalia sarebbe fallita. Invece ora arrivano i soldi e ha un’ottima chance - dice -Non l’ultima ma sicuramente la migliore e certo meglio di un asse con Air France».
Emirates invece all’orizzonte ha due sfide: quella per la conquista del mercato americano e la potenziale incursione delle compagnie low-cost anche sul lungo raggio. La campagna Usa è partita con lo stesso copione di quella andata in onda in Europa. L’attacco di Clark e la difesa in trincea, appigliandosi alla legge, dei bei nomi del cielo stelle e strisce, che chiedono alla Federal Aviation Authority di stoppare l’arrembante crescita del rivale del Golfo.
«Conosco lo schema, è lo stesso visto in Europa. E me lo aspettavo - dice Clark - Ma sono sicuro che ce la faremo e intanto grazie all’asse con Jet Blue siamo già passati da 10 a 38 aeroporti in un paese, gli Usa, che non sono adeguatamente serviti dal trasporto aereo».
L’ex rugbista non ha invece alcun dubbio sull’arrivo prossimo venturo dei voli a basso costo anche sugli intercontinentali. «Non è una questione di “se” ma di “quando” arriveranno - sostiene - Io penso sarà presto. Preoccupato? No, faranno bene al settore allargando di molto la platea di chi viaggia in aereo, come è successo sulle tratte più brevi.
A preoccuparsi dovrebbero essere i nostri rivali che hanno strutture di costi e di network più vulnerabili». Il futuro comunque, per lui resta rosa. «Vedo una crescita del settore del 7% annuo, nel 2020 i passeggeri raddoppieranno a 7 miliardi l’anno ». E l’uomo che vola controvento, è la sua ambizione nemmeno troppo nascosta, potrebbe essere allora il numero uno della più grande compagnia aerea del mondo. Il presidente di Emirates Airlines, Tim Clark, visto da Dariush Radpour.
Repubblica.it