dal Sole24Ore
Senza sanzioni l'abuso della carta Millemiglia per i dipendenti Alitalia
di Simona Gatti
Il dipendente Alitalia che effettua acquisti sull'aeromobile utilizzando una tessera Mille Miglia di una persona non presente a bordo non può essere licenziato.
La giusta punizione è un'adeguata sanzione conservativa, una misura cioè che può spaziare dal richiamo scritto o verbale alla multa.
Così si è espressa la Cassazione, con la sentenza n. 516 depositata l'11 gennaio 2008, sul ricorso tra la compagnia di bandiera e un suo impiegato, espulso in tronco dalla società perché aveva pagato dei prodotti mostrando una carta promozionale non sua che consentiva di accumulare punti validi per futuri voli.
Secondo Alitalia l'illecito commesso dal lavoratore è grave e irresponsabile tanto da compromettere il rapporto di fiducia.
Il dipendente si è invece difeso sostenendo che gli acquisti erano stati fatti per conto del proprietario della carta, suo amico, dietro rimborso del prezzo, che in totale i prodotti comperati erano solo dieci e soprattutto di scarso valore.
Un comportamento che, benché rilevante dal punto di vista disciplinare, sfugge alle norme che regolano i rapporti di lavoro, e non può essere considerato tanto grave da far scattare la massima sanzione espulsiva. Questa, in sintesi, la decisione dei giudici della Suprema corte che pur avendo accertato la violazione commessa dal dipendente hanno considerato illegittimo il suo licenziamento.
È vero che sono state violate le disposizioni aziendali sull'utilizzo della Carta Mille Miglia, che viene rilasciata ai clienti a scopo promozionale e per uso personale, ma, in assenza di una specifica previsione sulla sanzione da applicare, il recesso dal posto di lavoro risulta una misura eccessiva.
Un "vuoto normativo", dunque, che, unito all'assenza di precedenti e alla mancata prova di una volontà fraudolenta del dipendente, dal momento che era stato dimostrato che aveva agito senza mettere in atto «artifizi e raggiri», ha portato i magistrati della Cassazione a escludere che si potesse parlare di reato di truffa, identificandolo solo come un abuso.
Senza sanzioni l'abuso della carta Millemiglia per i dipendenti Alitalia
di Simona Gatti
Il dipendente Alitalia che effettua acquisti sull'aeromobile utilizzando una tessera Mille Miglia di una persona non presente a bordo non può essere licenziato.
La giusta punizione è un'adeguata sanzione conservativa, una misura cioè che può spaziare dal richiamo scritto o verbale alla multa.
Così si è espressa la Cassazione, con la sentenza n. 516 depositata l'11 gennaio 2008, sul ricorso tra la compagnia di bandiera e un suo impiegato, espulso in tronco dalla società perché aveva pagato dei prodotti mostrando una carta promozionale non sua che consentiva di accumulare punti validi per futuri voli.
Secondo Alitalia l'illecito commesso dal lavoratore è grave e irresponsabile tanto da compromettere il rapporto di fiducia.
Il dipendente si è invece difeso sostenendo che gli acquisti erano stati fatti per conto del proprietario della carta, suo amico, dietro rimborso del prezzo, che in totale i prodotti comperati erano solo dieci e soprattutto di scarso valore.
Un comportamento che, benché rilevante dal punto di vista disciplinare, sfugge alle norme che regolano i rapporti di lavoro, e non può essere considerato tanto grave da far scattare la massima sanzione espulsiva. Questa, in sintesi, la decisione dei giudici della Suprema corte che pur avendo accertato la violazione commessa dal dipendente hanno considerato illegittimo il suo licenziamento.
È vero che sono state violate le disposizioni aziendali sull'utilizzo della Carta Mille Miglia, che viene rilasciata ai clienti a scopo promozionale e per uso personale, ma, in assenza di una specifica previsione sulla sanzione da applicare, il recesso dal posto di lavoro risulta una misura eccessiva.
Un "vuoto normativo", dunque, che, unito all'assenza di precedenti e alla mancata prova di una volontà fraudolenta del dipendente, dal momento che era stato dimostrato che aveva agito senza mettere in atto «artifizi e raggiri», ha portato i magistrati della Cassazione a escludere che si potesse parlare di reato di truffa, identificandolo solo come un abuso.