Fino al 2008 volare a 5 stelle era uno status symbol: ora pochi possono permetterselo
Un sedile di prima occupa lo spazio di 7 di economica. E costa migliaia di euro in più
La crisi arriva anche ad alta quota
la British dice addio alla First class
Troppi posti vuoti e la compagnia elimina quelli più cari
di ETTORE LIVINI
LA RECESSIONE, dopo aver fatto tanti danni a terra, inizia a mordere anche nei cieli. E fa la sua prima vittima ad alta quota: le lussuose poltrone di "First class" a bordo degli aerei mondiali. Fino a un annetto fa, trovare un posto nella parte più "nobile" (e costosa) dei velivoli in servizio attivo a 11mila metri di altitudine era un'impresa quasi impossibile: l'economia girava a mille.
I supermanager in nota spese, gli oligarchi russi e i nuovi ricchi del globo pagavano senza batter ciglio migliaia di dollari per il privilegio - e lo status symbol - di poche ore di volo a cinque stelle. Oggi i tempi sono cambiati: le borse sono andate a picco, le aziende hanno ridotto all'osso le trasferte, i Paperoni hanno il fiato corto. E le cabine di prima e business si sono svuotate. Le entrate garantite dai biglietti "premium", come li chiamano gli esperti del settore, sono crollate del 40% da inizio anno. E le compagnie, giocoforza, hanno iniziato ad adeguarsi.
La British Airways, fresca di un bilancio in rosso per 375 milioni di sterline, è stata la più drastica. L'a. d.. Wille Walsh ha preso nei giorni scorsi carta e penna e ha scritto ad Airbus e Boeing con una semplice richiesta: "Per piacere, negli aerei in consegna quest'anno, eliminate la prima classe". Una decisione difficile, visto che il 50% delle entrate della società arriva proprio dai posti più costosi. Ma inevitabile, visto la picchiata (-17%) delle vendite di questo tipo di sistemazioni da gennaio.
La Qantas, che come molti dei big asiatici aveva ben il 40% dei sedili a bordo riservati a First class e business, ha deciso di rimettere mano alla conformazione delle cabine, tagliando le sistemazioni premium e aumentando la disponibilità in economica. Lo stesso hanno fatto Lufthansa - che ha aggiunto 22 posti a basso costo ai suoi Boeing 747 - United e Delta mentre la Singapore - un'altra delle regine dei voli di lusso - ha più semplicemente deciso di mettere a terra il 10% della sua flotta pur di non abbassare gli standard di servizio.
L'austerity nei cieli ha ragioni economiche facili da capire: una poltrona di prima classe - larga, comoda e capace di trasformarsi in un letto da mille e una notte - occupa lo stesso spazio di sette dei sedili (spesso un po' da fachiro) dell'economica. Un vantaggio quando - com'è successo fino a metà 2008 - si riusciva a venderla a prezzi 10-15 volte superiori ai posti low cost. Uno spreco memorabile oggi che la prima è un deserto ( - 19% i passeggeri da inizio anno malgrado il taglio medio del 16% dei prezzi) mentre l'economy (-6%) tiene, si fa per dire, decisamente meglio.
Cosa cambierà per i passeggeri? Difficile che la prima e la business spariscano del tutto. Anche perché rifare radicalmente l'interno degli aerei già esistenti è un lavoro troppo costoso per un settore che quest'anno, malgrado il crollo del greggio, è avviato a perdere quasi 5 miliardi di dollari. Più facile che si lavori sulle tariffe. Magari vendendo più biglietti in economica rispetto ai posti disponibili per poi promuovere in business o in prima - nei posti rimasti vuoti - una parte dei viaggiatori.
L'altra arma di marketing utilizzata in questo periodo di crisi dai vettori è la "premium economy". Poltroncine che offrono più spazio rispetto alle sistemazioni meno costose, un maggior numero di miglia per i programmi frequent flyer e qualcuno degli optional (alcolici gratuiti, pasti più ricchi) delle classi superiori. A un prezzo che è una via di mezzo tra i sedili meno costosi e le tariffe di business.
Siamo però nel campo della finanza creativa e dei tentativi più o meno maldestri di far fronte a una crisi peggiore di quella seguita alle Torri Gemelle. Gli utili nei cieli (e la Prima classe) torneranno davvero di moda solo quando davanti al Pil mondiale rispunterà il segno più.
La Repubblica 24 maggio 2009
Un sedile di prima occupa lo spazio di 7 di economica. E costa migliaia di euro in più
La crisi arriva anche ad alta quota
la British dice addio alla First class
Troppi posti vuoti e la compagnia elimina quelli più cari
di ETTORE LIVINI
LA RECESSIONE, dopo aver fatto tanti danni a terra, inizia a mordere anche nei cieli. E fa la sua prima vittima ad alta quota: le lussuose poltrone di "First class" a bordo degli aerei mondiali. Fino a un annetto fa, trovare un posto nella parte più "nobile" (e costosa) dei velivoli in servizio attivo a 11mila metri di altitudine era un'impresa quasi impossibile: l'economia girava a mille.
I supermanager in nota spese, gli oligarchi russi e i nuovi ricchi del globo pagavano senza batter ciglio migliaia di dollari per il privilegio - e lo status symbol - di poche ore di volo a cinque stelle. Oggi i tempi sono cambiati: le borse sono andate a picco, le aziende hanno ridotto all'osso le trasferte, i Paperoni hanno il fiato corto. E le cabine di prima e business si sono svuotate. Le entrate garantite dai biglietti "premium", come li chiamano gli esperti del settore, sono crollate del 40% da inizio anno. E le compagnie, giocoforza, hanno iniziato ad adeguarsi.
La British Airways, fresca di un bilancio in rosso per 375 milioni di sterline, è stata la più drastica. L'a. d.. Wille Walsh ha preso nei giorni scorsi carta e penna e ha scritto ad Airbus e Boeing con una semplice richiesta: "Per piacere, negli aerei in consegna quest'anno, eliminate la prima classe". Una decisione difficile, visto che il 50% delle entrate della società arriva proprio dai posti più costosi. Ma inevitabile, visto la picchiata (-17%) delle vendite di questo tipo di sistemazioni da gennaio.
La Qantas, che come molti dei big asiatici aveva ben il 40% dei sedili a bordo riservati a First class e business, ha deciso di rimettere mano alla conformazione delle cabine, tagliando le sistemazioni premium e aumentando la disponibilità in economica. Lo stesso hanno fatto Lufthansa - che ha aggiunto 22 posti a basso costo ai suoi Boeing 747 - United e Delta mentre la Singapore - un'altra delle regine dei voli di lusso - ha più semplicemente deciso di mettere a terra il 10% della sua flotta pur di non abbassare gli standard di servizio.
L'austerity nei cieli ha ragioni economiche facili da capire: una poltrona di prima classe - larga, comoda e capace di trasformarsi in un letto da mille e una notte - occupa lo stesso spazio di sette dei sedili (spesso un po' da fachiro) dell'economica. Un vantaggio quando - com'è successo fino a metà 2008 - si riusciva a venderla a prezzi 10-15 volte superiori ai posti low cost. Uno spreco memorabile oggi che la prima è un deserto ( - 19% i passeggeri da inizio anno malgrado il taglio medio del 16% dei prezzi) mentre l'economy (-6%) tiene, si fa per dire, decisamente meglio.
Cosa cambierà per i passeggeri? Difficile che la prima e la business spariscano del tutto. Anche perché rifare radicalmente l'interno degli aerei già esistenti è un lavoro troppo costoso per un settore che quest'anno, malgrado il crollo del greggio, è avviato a perdere quasi 5 miliardi di dollari. Più facile che si lavori sulle tariffe. Magari vendendo più biglietti in economica rispetto ai posti disponibili per poi promuovere in business o in prima - nei posti rimasti vuoti - una parte dei viaggiatori.
L'altra arma di marketing utilizzata in questo periodo di crisi dai vettori è la "premium economy". Poltroncine che offrono più spazio rispetto alle sistemazioni meno costose, un maggior numero di miglia per i programmi frequent flyer e qualcuno degli optional (alcolici gratuiti, pasti più ricchi) delle classi superiori. A un prezzo che è una via di mezzo tra i sedili meno costosi e le tariffe di business.
Siamo però nel campo della finanza creativa e dei tentativi più o meno maldestri di far fronte a una crisi peggiore di quella seguita alle Torri Gemelle. Gli utili nei cieli (e la Prima classe) torneranno davvero di moda solo quando davanti al Pil mondiale rispunterà il segno più.
La Repubblica 24 maggio 2009