Grazie a Dagospia, posso postare questo interessante articolo...
LA BANDA DEL BUCO DI ALITALIA – DA KINNOCK A PRODI, DA ALBERTINI A VELTRONI, TUTTA LA STORIA DI UN KO – BERLUSCONI DA PREMIER CEDETTE SU TUTTO (SCIOPERO HOSTESS COMPRESO) E OGGI GRIDA ALLO SCANDALO…
Franco Bechis per “Italia Oggi”
L'anno chiave è stato il 1997. Presidente del consiglio Romano Prodi, ministro dei trasporti Claudio Burlando. Amministratore delegato di Alitalia, Domenico Cempella. Ministro dei trasporti dell'Unione europea, Neil Kinnock. Fu allora che si fece il primo passo che porterà nei prossimi giorni a vendere per un tozzo di pane la compagnia di bandiera italiana ad Air France o dal prossimo 1° aprile ad aprire l'amministrazione controllata con l'applicazione della legge Marzano. Quell'anno Kinnock bocciò ingiustamente l'aumento di capitale Alitalia. Prodi accettò. La compagnia italiana iniziò a scivolare fuori dal mercato. Il calcio definitivo lo diedero i sindaci di Milano e Roma uniti contro Malpensa.
L'Unione europea, utilizzando un parere degli advisor dell'epoca (Ernst & Young) stabilì che l'aumento di capitale proposto dal governo italiano per Alitalia non fosse di mercato, e lo bollò come aiuto di stato incompatibile. Per la compagnia aerea italiana significò l'impossibilità di utilizzare in modo concorrenziale le tariffe, di acquisire nuovi aeromobili, e una perdita sostanziale di traffico internazionale. Il danno subito da quella decisione fu valutato da advisor indipendenti chiamati da Alitalia in circa 1.500 miliardi di lire dell'epoca. Tre anni dopo, con Giuliano Amato presidente del Consiglio e Pierluigi Bersani ministro dei Trasporti, la Corte di giustizia Ue stabilì che avevano ragione l'Italia e la sua compagnia di bandiera: la decisione comunitaria del 1997 fu illegittima.
Ci sarebbero stati tutti i presupposti per una richiesta di risarcimento danni. Il governo italiano dell'epoca preferì glissare, e il dossier non fu ripreso in mano dal successivo esecutivo di Silvio Berlusconi. Nonostante l'ostacolo non irrilevante, Cempella riuscì ad elaborare in quei tre anni un piano industriale che avrebbe portato all'acquisizione di Klm da parte di Alitalia (quel che poi fece Air France). Il piano fallì anche perché venne meno una delle condizioni basilari: il pieno utilizzo come hub dell'aeroporto di Malpensa che aveva aperto i battenti nell'ottobre 1998. Non fu così. Non sarebbe mai stato così. Perchè la bozza di decreto elaborata dal governo dell'allora presidente del Consiglio, Massimo D'Alema, che trasferiva in un solo giorno il 50 per cento dei voli da Linate a Malpensa non vide mai la luce.
Nella notte quel testo fu violentato. Vinse la sua battaglia personale, certo gradita a molti suoi elettori, il sindaco dell'epoca di Milano, Gabriele Albertini, di Forza Italia. Fu un secondo colpo di grazia alla compagnia di bandiera italiana. I successivi sarebbero arrivati da lì a poco con la protesta degli amministratori locali laziali ogni qual volta si è tentato di portare fino in fondo il progetto di Malpensa come hub. In testa due sindaci di Roma: prima Francesco Rutelli, poi Walter Veltroni, che oggi è candidato premier alla guida del partito democratico. Uno dopo l'altro hanno messo in ginocchio la compagnia di bandiera.
E con loro i presidenti del Consiglio e i ministri dei Trasporti che non hanno saputo scegliere e dire di no alle proteste di piazza. Oggi si può anche puntare il dito contro la procedura scelta dal ministro dell'Economia, Tommaso Padoa Schioppa, che ha le sue ultime responsabilità (un anno fa i concorrenti in campo erano tanti e l'offerta assai più alta). Ma è un po' curioso che si chieda ad Air France o a cavalieri bianchi di cavare dal fuoco quelle castagne che irresponsabilmente tutti o quasi gli attuali protagonisti della vita politica hanno messo nel braciere.
Berlusconi che non fermò la protesta di Albertini, che cedette da premier al pressing di Veltroni, che subì perfino senza batter ciglio lo scandaloso sciopero bianco delle hostess per giorni e giorni in malattia di comodo, oggi grida allo scandalo e lancia una cordata tutta italiana per issare ancora la bandiera di una compagnia aerea nazionale. Lo ha fatto tardi, forse troppo tardi per i destini di Alitalia. Con una situazione che sembra compromessa, se proprio non ci si vuole arrendere ai francesi, forse l'unica strada sarebbe convogliare uomini e capitali per rifondare una nuova compagnia nazionale. Senza bisogno di partire da zero: c'è pur sempre Air One, l'asse possibile con i tedeschi di Lufthansa. E forse gli asset di Alitalia...
LA BANDA DEL BUCO DI ALITALIA – DA KINNOCK A PRODI, DA ALBERTINI A VELTRONI, TUTTA LA STORIA DI UN KO – BERLUSCONI DA PREMIER CEDETTE SU TUTTO (SCIOPERO HOSTESS COMPRESO) E OGGI GRIDA ALLO SCANDALO…
Franco Bechis per “Italia Oggi”
L'anno chiave è stato il 1997. Presidente del consiglio Romano Prodi, ministro dei trasporti Claudio Burlando. Amministratore delegato di Alitalia, Domenico Cempella. Ministro dei trasporti dell'Unione europea, Neil Kinnock. Fu allora che si fece il primo passo che porterà nei prossimi giorni a vendere per un tozzo di pane la compagnia di bandiera italiana ad Air France o dal prossimo 1° aprile ad aprire l'amministrazione controllata con l'applicazione della legge Marzano. Quell'anno Kinnock bocciò ingiustamente l'aumento di capitale Alitalia. Prodi accettò. La compagnia italiana iniziò a scivolare fuori dal mercato. Il calcio definitivo lo diedero i sindaci di Milano e Roma uniti contro Malpensa.
L'Unione europea, utilizzando un parere degli advisor dell'epoca (Ernst & Young) stabilì che l'aumento di capitale proposto dal governo italiano per Alitalia non fosse di mercato, e lo bollò come aiuto di stato incompatibile. Per la compagnia aerea italiana significò l'impossibilità di utilizzare in modo concorrenziale le tariffe, di acquisire nuovi aeromobili, e una perdita sostanziale di traffico internazionale. Il danno subito da quella decisione fu valutato da advisor indipendenti chiamati da Alitalia in circa 1.500 miliardi di lire dell'epoca. Tre anni dopo, con Giuliano Amato presidente del Consiglio e Pierluigi Bersani ministro dei Trasporti, la Corte di giustizia Ue stabilì che avevano ragione l'Italia e la sua compagnia di bandiera: la decisione comunitaria del 1997 fu illegittima.
Ci sarebbero stati tutti i presupposti per una richiesta di risarcimento danni. Il governo italiano dell'epoca preferì glissare, e il dossier non fu ripreso in mano dal successivo esecutivo di Silvio Berlusconi. Nonostante l'ostacolo non irrilevante, Cempella riuscì ad elaborare in quei tre anni un piano industriale che avrebbe portato all'acquisizione di Klm da parte di Alitalia (quel che poi fece Air France). Il piano fallì anche perché venne meno una delle condizioni basilari: il pieno utilizzo come hub dell'aeroporto di Malpensa che aveva aperto i battenti nell'ottobre 1998. Non fu così. Non sarebbe mai stato così. Perchè la bozza di decreto elaborata dal governo dell'allora presidente del Consiglio, Massimo D'Alema, che trasferiva in un solo giorno il 50 per cento dei voli da Linate a Malpensa non vide mai la luce.
Nella notte quel testo fu violentato. Vinse la sua battaglia personale, certo gradita a molti suoi elettori, il sindaco dell'epoca di Milano, Gabriele Albertini, di Forza Italia. Fu un secondo colpo di grazia alla compagnia di bandiera italiana. I successivi sarebbero arrivati da lì a poco con la protesta degli amministratori locali laziali ogni qual volta si è tentato di portare fino in fondo il progetto di Malpensa come hub. In testa due sindaci di Roma: prima Francesco Rutelli, poi Walter Veltroni, che oggi è candidato premier alla guida del partito democratico. Uno dopo l'altro hanno messo in ginocchio la compagnia di bandiera.
E con loro i presidenti del Consiglio e i ministri dei Trasporti che non hanno saputo scegliere e dire di no alle proteste di piazza. Oggi si può anche puntare il dito contro la procedura scelta dal ministro dell'Economia, Tommaso Padoa Schioppa, che ha le sue ultime responsabilità (un anno fa i concorrenti in campo erano tanti e l'offerta assai più alta). Ma è un po' curioso che si chieda ad Air France o a cavalieri bianchi di cavare dal fuoco quelle castagne che irresponsabilmente tutti o quasi gli attuali protagonisti della vita politica hanno messo nel braciere.
Berlusconi che non fermò la protesta di Albertini, che cedette da premier al pressing di Veltroni, che subì perfino senza batter ciglio lo scandaloso sciopero bianco delle hostess per giorni e giorni in malattia di comodo, oggi grida allo scandalo e lancia una cordata tutta italiana per issare ancora la bandiera di una compagnia aerea nazionale. Lo ha fatto tardi, forse troppo tardi per i destini di Alitalia. Con una situazione che sembra compromessa, se proprio non ci si vuole arrendere ai francesi, forse l'unica strada sarebbe convogliare uomini e capitali per rifondare una nuova compagnia nazionale. Senza bisogno di partire da zero: c'è pur sempre Air One, l'asse possibile con i tedeschi di Lufthansa. E forse gli asset di Alitalia...