Alitalia: si fa avanti l'ipotesi Atlantia


Stato
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Riguardo il 321 con 23 pax sulla FCO LIN, sarebbe interessante ed apporterebbe critiche fondate sapere che tratta abbia fatto dopo. Perché se fosse tornato a FCO con 40 pax si può fare una discussione, ma se fosse andato a CTA con 197, allora il discorso cambia. Gli aerei soprattutto tra le due basi girano con riempimenti variabili proprio per "spostarli"
 
Riguardo il 321 con 23 pax sulla FCO LIN, sarebbe interessante ed apporterebbe critiche fondate sapere che tratta abbia fatto dopo. Perché se fosse tornato a FCO con 40 pax si può fare una discussione, ma se fosse andato a CTA con 197, allora il discorso cambia. Gli aerei soprattutto tra le due basi girano con riempimenti variabili proprio per "spostarli"

Seguendo pero' questa logica allora quello che va messo in discussione e' la gestione degli aerei. Capisco una tratta in W, per esempio una ipotetica Venezia-Londra, allora in quel caso 'sposti' l'aereo. Ma fra due basi gli spostamenti dovrebbero essere ridotti al minimo.
 
Seguendo pero' questa logica allora quello che va messo in discussione e' la gestione degli aerei. Capisco una tratta in W, per esempio una ipotetica Venezia-Londra, allora in quel caso 'sposti' l'aereo. Ma fra due basi gli spostamenti dovrebbero essere ridotti al minimo.
A Milano effettivamente i 321 si vedono poco... non so come mai quella FCO/LIN lo avesse. Va detto che per il MR ci sono 5 diverse capacità (2 per gli EMB e 3 per i 32X), non credo sia facilissimo gestirli.
 
Riguardo il 321 con 23 pax sulla FCO LIN, sarebbe interessante ed apporterebbe critiche fondate sapere che tratta abbia fatto dopo. Perché se fosse tornato a FCO con 40 pax si può fare una discussione, ma se fosse andato a CTA con 197, allora il discorso cambia. Gli aerei soprattutto tra le due basi girano con riempimenti variabili proprio per "spostarli"
E' tornato a FCO con la tratta successiva. Probabilmente ha fatto la navetta FCO-LIN per coprire un buco nel giro macchina a metà giornata cercando di ottimizzare gli operativi per ridurre i tempi morti in cui le macchine rimangono ferme, che era (ed è) uno dei grandi problemi di AZ.
 
Roma, 6 giu. (AdnKronos) - Claudio Lotito pronto a scendere in campo anche sul dossier Alitalia. L'imprenditore romano e presidente della Ss Lazio, Claudio Lotito, infatti, secondo quanto apprende l'Adnkronos, guarderebbe con interesse al dossier Alitalia. Sono giorni decisivi su questo fronte dopo che il ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio ha autorizzato, a maggio, la proroga al 15 giugno per la presentazione di un'offerta definitiva da parte di Fs. Le interlocuzioni, infatti, sono in corso per cercare l'investitore mancante accanto a Fs, Delta e al Tesoro.

https://www.lasicilia.it/take/ultima-ora/250808/alitalia-lotito-guarda-con-interesse-a-dossier.html

La prossima proroga a quando? Direttamente a Settembre non sarebbe meglio?
 
LIN-FCO-LIN in giornata comprato il giorno prima. Tutti i voli ad orari simili mattina/pomeriggio avevano (giustamente, ci mancherebbe) prezzi identici.

il principio e' quello, il giorno prima anche Freccia e Italo azzerano tutte le promo; chiaro che non avranno pagato tutti la tua cifra, tuttavia mi chiedo quanto AZ possa pensare di competere con l'AV considerando che costa 3 volte tanto l'a/r dei treni al netto di offerte.
 
Ma da quando esiste un Linate-Malaga di Alitalia? Daily poi!
Oppure sono le solite pecionate alla dogdick di chi scrive su Ulisse?


Una delle tante m’inchiate su Ulisse di giugno. Questo mese l’elenco degli errori è davvero lungo. Una catastrofe sulla cartina europea poi...
 
Dario BAlotta su Il Fatto Quotidiano del 08-06-2019

https://www.ilfattoquotidiano.it/20...ni-resta-lultima-mossa-un-referendum/5238454/

Alitalia, svanite tutte le soluzioni, resta l’ultima mossa: un referendum

In una situazione di stallo che si protrae da ormai troppo tempo, l’unico mezzo per sbloccare la vicenda Alitalia sembra essere l’appello diretto ai cittadini: decidano loro, con un referendum, se continuare o no a tenere in vita con i soldi pubblici una compagnia in amministrazione straordinaria dal 2017. Non sembra esserci altro mezzo per sapere se l’accanimento terapeutico di tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi vent’anni – e che è costato fin qui 8,6 miliardi di euro – sia apprezzato dai contribuenti. Che potrebbero pure aumentare: l’allungamento dei tempi della cessione fa crescere infatti le preoccupazioni che il danaro per pagare i fornitori, gli stipendi, il carburante, i leasing degli aerei e i servizi aeroportuali finiscano prima che arrivi una nuova proprietà.

L’ultimo “aggiornamento” di questa terapia fatta di aiuti di Stato mascherati da salvataggi definitivi, prestiti ponte, fondi per continuità territoriale con la Sardegna, compensi non pagati agli scali italiani, cassa integrazione d’oro (che dura senza interruzioni dal 2008), è stato l’aumento della tassa d’imbarco – istituita nel 2008 – che l’ultima legge di Bilancio ha portato da 3 a 5 euro per passeggero. Ma Alitalia ha ancora bisogno di risorse: l’accordo con un partner industriale per la soluzione alla crisi (in ballo sembravano esserci Delta, EasyJet o Lufthansa) resta infatti lontano, e i bilanci della società continuano a registrare un profondo rosso, con il consuntivo del 2018 che ha registrato perdite nette per oltre 500 milioni: 1 milione 150 mila euro al giorno.

L’ottimismo del ministro Luigi Di Maio e le ripetute promesse (sue e di Matteo Salvini) di una soluzione in tempi brevi sono svaniti come neve al sole. E allo stesso modo sembrano essere sparite dall’orizzonte le ipotesi di una nuova compagine azionaria in cui far rientrare pezzi di imprese in cui lo Stato è il maggiore azionista, da Ferrovie dello Stato a Poste Italiane, o addirittura lo stesso ministero delle Finanze, in quella che sarebbe stata una vera e propria neo-nazionalizzazione, per quanto surrettizia. Così il governo, per evitare un default in rapido avvicinamento, ha pensato bene di avviare dei contatti – finora senza esito – con i concessionari autostradali dei gruppi Atlantia-Benetton e Toto, tutti e due con un contenzioso aperto con lo Stato italiano: al primo l’esecutivo aveva minacciato di revocare la concessione autostradale in seguito al crollo del ponte Morandi di Genova, mentre il secondo ha un debito nei confronti di Anas.

E nel frattempo, per dare ancora ossigeno a una compagnia ormai moribonda, è arrivata la proposta contenuta nel ddl Crescita: utilizzare gli accantonamenti delle bollette di luce e gas degli italiani per trasferire ad Alitalia altri 650 milioni di euro. In altri paesi, le aziende di trasporto decotte – anche se pubbliche – se sono fuori mercato e hanno quote di passeggeri trasportati risibili vengono messe in liquidazione. Le poche compagnie aeree nel mondo che si sono risollevate da gravi crisi ce l’hanno fatta quasi subito, senza inutili accanimenti condotti con il denaro pubblico: tutte le altre sono svanite, ed è questa la fine che farà Alitalia, trascinandosi dietro tutto il paese in una saga scandalosa che dura da troppo tempo e in cui a prevalere è solo l’inerzia corporativa.

Forse sarebbe ora di dire basta. E un referendum sarebbe il modo migliore, visto che nessun partito se la sente di staccare la spina a una società decotta. Forse lo farebbero gli italiani, prendendosi quella responsabilità che fino a questo momento nessuno ha mostrato di avere.
 
Il referendum è il mezzo dei senzapalle. Il governo è eletto - e pagato - per decidere: che decida.
 
Dario BAlotta su Il Fatto Quotidiano del 08-06-2019

https://www.ilfattoquotidiano.it/20...ni-resta-lultima-mossa-un-referendum/5238454/

Alitalia, svanite tutte le soluzioni, resta l’ultima mossa: un referendum

In una situazione di stallo che si protrae da ormai troppo tempo, l’unico mezzo per sbloccare la vicenda Alitalia sembra essere l’appello diretto ai cittadini: decidano loro, con un referendum, se continuare o no a tenere in vita con i soldi pubblici una compagnia in amministrazione straordinaria dal 2017. Non sembra esserci altro mezzo per sapere se l’accanimento terapeutico di tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi vent’anni – e che è costato fin qui 8,6 miliardi di euro – sia apprezzato dai contribuenti. Che potrebbero pure aumentare: l’allungamento dei tempi della cessione fa crescere infatti le preoccupazioni che il danaro per pagare i fornitori, gli stipendi, il carburante, i leasing degli aerei e i servizi aeroportuali finiscano prima che arrivi una nuova proprietà.

L’ultimo “aggiornamento” di questa terapia fatta di aiuti di Stato mascherati da salvataggi definitivi, prestiti ponte, fondi per continuità territoriale con la Sardegna, compensi non pagati agli scali italiani, cassa integrazione d’oro (che dura senza interruzioni dal 2008), è stato l’aumento della tassa d’imbarco – istituita nel 2008 – che l’ultima legge di Bilancio ha portato da 3 a 5 euro per passeggero. Ma Alitalia ha ancora bisogno di risorse: l’accordo con un partner industriale per la soluzione alla crisi (in ballo sembravano esserci Delta, EasyJet o Lufthansa) resta infatti lontano, e i bilanci della società continuano a registrare un profondo rosso, con il consuntivo del 2018 che ha registrato perdite nette per oltre 500 milioni: 1 milione 150 mila euro al giorno.

L’ottimismo del ministro Luigi Di Maio e le ripetute promesse (sue e di Matteo Salvini) di una soluzione in tempi brevi sono svaniti come neve al sole. E allo stesso modo sembrano essere sparite dall’orizzonte le ipotesi di una nuova compagine azionaria in cui far rientrare pezzi di imprese in cui lo Stato è il maggiore azionista, da Ferrovie dello Stato a Poste Italiane, o addirittura lo stesso ministero delle Finanze, in quella che sarebbe stata una vera e propria neo-nazionalizzazione, per quanto surrettizia. Così il governo, per evitare un default in rapido avvicinamento, ha pensato bene di avviare dei contatti – finora senza esito – con i concessionari autostradali dei gruppi Atlantia-Benetton e Toto, tutti e due con un contenzioso aperto con lo Stato italiano: al primo l’esecutivo aveva minacciato di revocare la concessione autostradale in seguito al crollo del ponte Morandi di Genova, mentre il secondo ha un debito nei confronti di Anas.

E nel frattempo, per dare ancora ossigeno a una compagnia ormai moribonda, è arrivata la proposta contenuta nel ddl Crescita: utilizzare gli accantonamenti delle bollette di luce e gas degli italiani per trasferire ad Alitalia altri 650 milioni di euro. In altri paesi, le aziende di trasporto decotte – anche se pubbliche – se sono fuori mercato e hanno quote di passeggeri trasportati risibili vengono messe in liquidazione. Le poche compagnie aeree nel mondo che si sono risollevate da gravi crisi ce l’hanno fatta quasi subito, senza inutili accanimenti condotti con il denaro pubblico: tutte le altre sono svanite, ed è questa la fine che farà Alitalia, trascinandosi dietro tutto il paese in una saga scandalosa che dura da troppo tempo e in cui a prevalere è solo l’inerzia corporativa.

Forse sarebbe ora di dire basta. E un referendum sarebbe il modo migliore, visto che nessun partito se la sente di staccare la spina a una società decotta. Forse lo farebbero gli italiani, prendendosi quella responsabilità che fino a questo momento nessuno ha mostrato di avere.

A questo qui scoreggia il cervello, scusate la finezza. Primo esempio di democrazia diretta? Per una s.p.a.? E facciamo pure il refendum sulla fornitura di carta igienica alle scuole materne.

Quanto vorrei che Delta mandasse tutti a quel paese
 
A questo qui scoreggia il cervello, scusate la finezza. Primo esempio di democrazia diretta? Per una s.p.a.? E facciamo pure il refendum sulla fornitura di carta igienica alle scuole materne.

Quanto vorrei che Delta mandasse tutti a quel paese
Hai letto la testata su cui è scritto? Deve inventarsi qualcosa per certificare che non è colpa dei loro beniamini a 5s che sono obbiettivamente impresentabili.
 
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