Capitolo V. Snæfellsnes e Reykjavík.
Ci eravamo lasciati sulla strada per Grundarfjörður.
C’è ancora un pezzo di sterrato, tra il bivio tra la route 60 e la cittadina di Stykkishólmur, ed è anche dove – come è inevitabile, almeno per me, in Islanda – rischio di fare un incidente. La dinamica non mi è esattamente chiara ed, essendo da solo, non ho nessuno a cui chiedere. In soldoni sto andando sullo sterrato, in rettilineo, e… mi parte il culo (dell’auto, eh). Praticamente mi sento come il mio cane quando scodinzolava con così tanta energia che le partiva il retrotreno. Vado un po’ avanti in diagonale, poi mi correggo, controsterzo e in qualche modo ritorno ad andare in rettilineo. Smetto di scorrere il calendario dei santi, mi fermo e vado a vedere che era successo sulla strada. Niente. Mi stringo delle spalle, dico ciò che va detto (“boh”) e vado avanti.
Poco dopo, però, m’imbatto in questa vista, probabilmente la migliore lungo la via. In quel momento sto ascoltando un po’ di elettronica “dolce”, un set di Christian Löffler, che si adatta tantissimo al contesto.
E poi, all’improvviso, davanti a me passano di corsa questi cavalli. Meraviglia. Diciotto mesi senza viaggiare e mi ricordo perché spendo i soldi in questa maniera, perché preferisco comprare un biglietto d’aereo piuttosto che una camicia o un paio di pantaloni (anche se magari, forse, ogni tanto dovrei).
Poco dopo passo il bivio per Stykkishólmur, la strada torna ad essere asfaltata e torno a viaggiare su strade già conosciute. Manca solo quel mezzo metro di neve, ma non è meno drammatica. Arrivo a Grundarfjörður cavalcando un’onda di euforia. Mi piace, mi piace
veramente, questo posto.
Arrivo in città e scopro che il campeggio è già chiuso per l’autunno. Mmmh. Mentre sto lì, impalato a contemplare la situazione e a dirmi che, sostanzialmente, mi piacerebbe farmi una doccia quest’oggi una signora passa e mi consiglia di andare all’ultima guesthouse sul lungomare dove, stando a quanto dice lei, dovrebbero avere “sleeping bag rooms”. Vado, trovo il posto e interrompo il guardiano dominicano nell’atto di chiudere il sedicesimo cannone della giornata. Mi guarda e propone o una stanza in cui srotolare il sacco a pelo per 30 euro o una vera stanza per 50. Vada per quella vera, e accetta pure Apple Pay.
Il posto è di sicuro quello giusto, perché fuori, nel parcheggio, c’è LEI.
Una volta ricostituita una parvenza di civiltà è il momento di uscire. Kirkjufell, la splendida montagna che fa da cornice alla cittadina, incombe. Lungo la strada mi imbatto nel cavallo più tranquillo di sempre, così tranquillo che, decido, si chiamerà Cilum.
Ma bando alle ciance, eccoci a Kirkjufell e alla di lei cascata. Dal 2019 ad oggi hanno creato anche un parcheggio, praticamente di fianco al posto, giacché ai tempi la gente si fermava ovunque e penso che almeno un paio siano stati stirati come pizze. Io, per non saper né leggere né scrivere, son venuto a piedi.
E qui sotto una versione della stessa lochescion ma in inverno. Giusto perché è gratis.
E con la foto di due pennuti che credevo esser cigni ma che, in realtà, si rivelarono essere due anatre enormi chiudo qui la parentesi di Grundarfjörður. Torno in guesthouse, mi ri-lavo, cucino una cena veloce, parlo con AAmilan che mi telefona nei momenti meno opportuni e me ne vado a dormire. Domani inizia la parentesi del rientro.
Il mattino dopo mi infilo sulla via per la capitale, stavolta guidato dal GPS del telefono, per arrivare all’appuntamento col centro di testing per il Coviddi. Incredibilmente rimango imbottigliato nel traffico dell’ora di punta. Chi lo sapeva che c’era tutta sta gente in Islanda?
Il test è questione di un attimo, se non fosse che la vichinga che fa gli onori si presenta con non uno, ma
due cotton fioc taglia gigante. Doppio cotton fioc che mi scaraventa su per il naso fino a fare una bella raschiata di encefalo, poi sotto con l’altra narice, grazie ed arrivederci. Sarà il settantesimo test che faccio ma è il primo che mi sento come se fossi un cavallo. L’americano dietro di me mi guarda con occhi che grondano lacrime amarissime e fa “l’avrei sentito di meno se avesse usato uno spazzolino da denti”.
Il dolore è presto dimenticato perché subito ritrovo la gioia. Cesarone nostro s’è trasferito a Reykjavík:
E poi mi faccio un paio di caffè, fermandomi da Kaktus per un ottimo americano e dal mio vecchio amore Reykjavík Roasters per un filter coffee che era epico. Così come le barbe degli hipster all’interno e i tatuaggi delle bariste.
Mentre mi faccio il secondo refill arriva la mail del centro di testing. Poco più di un’ora e prezzo uguale ai centri-rapina inglesi malgrado tutto, qui, costi il 30% in più. This is how serious countries do it. Rinnovo un kitammuort a Grant Shapps, a Priti, a Boris e anche a Gavin Williamson perché sono di buon’umore e lascio Reykjavík, direzione Grindavík. Qui ho preso alloggio per l’ultima notte, perché lì vicino c’è l’ultimo posto che voglio vedere.