Contributi alle compagnie aeree e sviluppo del turismo: costi e benefici


Planner

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28 Settembre 2008
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Il tema dei contributi di co-marketing è stato più volte al centro di discussioni, purtroppo, però, spesso viziate da “localismi”. Credo sia comunque interessante parlarne, ma partendo da un’analisi quanto più oggettiva possibile.
Prendo come esempio il caso di Trapani, perché se ne è parlato a lungo e perché su Trapani ci sono (ma probabilmente ci saranno anche riguardo ad altri casi) dati numerici disponibili. Ci tengo a dire che questo non è e non vuole essere un post su TPS, ma un’analisi – attraverso un caso esemplare – di una strategia di sviluppo del turismo basata sulla concessione di contributi ad una compagnia aerea. Per questa ragione non ho voluto mettere nemmeno un riferimento specifico a TPS nel titolo del thread.
Mi piacerebbe che da qui nascesse una discussione sul metodo di analisi, prima, e sulle conclusioni dell’analisi stessa, quindi; non invece una discussione sull’utilità dell’aeroporto o sulle prese di posizione di questo o quell’amministratore locale: di questo si è già tanto scritto e non si può ignorare il fatto che quella discussione è stata chiusa per esaurimento di interesse.
Detto questo, comincio, scusandomi per la lunghezza del post.

Si è sempre detto – giustamente – che la concessione di contributi non deve essere giudicata in una prospettiva aziendalistica e che, se questa operazione determina benefici effettivi per la comunità locale, è del tutto ammissibile che sia realizzata in perdita.
Una decisione di spesa pubblica, però, se è pur vero che non richiede un ritorno finanziario, deve comunque comportare un beneficio netto positivo per la comunità.
Per verificare che vi siano effetti netti positivi è necessario procedere, quindi, ad un’analisi costi benefici; ed è ciò che voglio provare a fare qui, sebbene sia giusto dire che si tratta di un’analisi sommaria e non particolarmente approfondita; ma credo sia metodologicamente corretta e, pertanto, capace di dare una risposta già indicativa su se e in che misura questi contributi permettano di sostenere il turismo in un’area locale.

A vantaggio di chi voglia risparmiarsi tutta la descrizione del processo metodologico, salto direttamente alla conclusione: i contributi di co-marketing, nel caso di Trapani, hanno rappresentato un importante sostegno allo sviluppo dei flussi turistici sul territorio provinciale fra il 2007 e il 2016, ma gli indicatori del rapporto costi/benefici risultano negativi in misura rilevante.

I dettagli.
Negli anni considerati, il turismo in provincia di Trapani è cresciuto in media ogni anno del 4,3% in relazione agli arrivi e del 3,5% in relazione alla presenze (fonte ISTAT). Contemporaneamente, il turismo nell’intera regione ha fatto registrare tassi negativi: -0,3% (arrivi), -0,6% (presenze). Indubbiamente, il dato in controtendenza di Trapani si fa notare.

Però non basta.
Per valutare il rapporto costi benefici dobbiamo definire due scenari: uno è quello che si è effettivamente realizzato attraverso la presenza dell’aeroporto, l’altro è quello che si sarebbe realizzato se l’aeroporto e Ryanair (vettore quasi monopolista) non avessero operato.
Per stimare questo scenario, cioè per definire un trend di sviluppo a partire dall’anno base (il 2006, l’anno in cui Ryanair ha aperto i primi voli) consideriamo le due province turisticamente più importanti della regione che non hanno un aeroporto sul loro territorio, vale a dire Messina e Siracusa. Queste due province simulano lo scenario “senza”. Negli ultimi 10 anni, Messina e Siracusa hanno fatto segnare, rispettivamente, tassi medi annui delle presenze di -2,6% e -0,1%.
Assumiamo, quindi, che il trend per Trapani “senza aeroporto” possa essere pari alla media fra questi due valori (tale media ha un andamento abbastanza correlato a quella dell’intera regione, quindi può rappresentare un indicatore sufficientemente significativo).
Riassumendo, con l’aeroporto +3,5%, senza -1,35%. L’effetto della presenza dell’aeroporto, in termini di presenze turistiche, è dato quindi dalla differenza, anno per anno, fra i valori storici dei due scenari.
Per trasformare il dato fisico delle presenze in valore monetario consideriamo la spesa turistica pro capite, che secondo uno studio della stessa Regione Siciliana è stimato in 60 Euro giornaliere. Basta, quindi, moltiplicare il dato delle presenze per 60, ottenendo la spesa complessiva dei turisti arrivati “grazie all’aeroporto”.

Non basta ancora.
La spesa complessiva non è la misura del beneficio, perché questa esprime un dato di ricavo, mentre a noi serve il margine, cioè il fatturato meno i costi di produzione. In termini di bilancio aziendale, il beneficio è espresso dal margine lordo (EBITDA); in termini di contabilità pubblica, dal valore aggiunto. Le due grandezze non sono esattamente sovrapponibili, ma possono essere una buona approssimazione l’una dell’altra.
Questo è il passaggio più complicato, perché il dato che ci serve per scalare dal fatturato al margine lordo è di non facile determinazione in mancanza di dati ad hoc.
Da un’indagine del 2013 di Unioncamere Sicilia, sappiamo che l’EBIT medio delle aziende siciliane si attesta al 3% del fatturato. Questo è un riferimento da cui possiamo partire per fissare un EBITDA che, con un notevole eccesso di ottimismo, poniamo al 15%.
L’eccesso di ottimismo si giustifica parzialmente volendo considerare non solo i margini diretti delle attività turistiche, ma anche gli effetti di attivazione sul complesso dell’economia provinciale; in particolare, si può stimare che, con una percentuale del 15%, più o meno il 10% dipenda dalla redditività aziendale pura (a fronte, lo ricordo, di un EBIT medio del 3%), mentre il restante 5% circa può essere fatto risalire agli effetti diffusi di attivazione sugli altri settori.
Con pressoché qualsiasi tasso di attualizzazione, anche in presenza di un EBITDA ottimistico, il rapporto costi benefici resta però negativo, e nemmeno di poco: al tasso del 5%, il valore attuale netto dell’operazione è VAN = -10,14 milioni, mentre un tasso di rendimento interno (TIR) risulta non determinabile.
Per affacciarci sul versante positivo, dovremmo avere una percentuale di valore aggiunto del 22%, cioè con una produttività che nemmeno nel Giappone dei tempi d’oro, o quasi.
Ovvero, a parità di produttività, un altro dato che avrebbe fatto la differenza sarebbe stato il parametro della spesa giornaliera pro capite dei turisti che, in questo schema, sarebbe dovuto essere di almeno 90 € (contro i 60 effettivi stimati dalla Regione). Ma si capisce abbastanza facilmente che attirare in numero sufficiente turisti capaci di questa spesa media avrebbe richiesto ben altri investimenti in infrastrutture, servizi e qualità.

Lezioni dall’esempio.
1) Guardare solo alla dimensione fisica dei flussi turistici come metro di valutazione non è sufficiente ed è generalmente fuorviante
2) La complessità del quadro di riferimento richiede che quanto più un progetto è costoso, tanto più debbano essere svolte adeguate analisi preliminari
3) Una valutazione preliminare deve comportare il confronto con almeno una ipotesi alternativa di intervento (perché questa potrebbe: a) avere un VAN superiore, b) produrre effetti migliori (maggiore efficacia), c) dare risultati almeno analoghi ma a costi inferiori, cioè maggiore efficienza).
4) Il beneficiario di un progetto non può essere un settore o una particolare categoria economica o sociale, ma deve essere sempre il sistema (locale e non) nel suo complesso: se una categoria pure ci guadagna (qui, gli operatori turistici), ma la collettività ci perde (come attesta il VAN negativo), allora il progetto è da rigettare.
 
Ultima modifica:
Anzitutto, grazie per l'avvio di questo interessante thread: spero non vengano a mancare spunti e riflessioni di interesse generale.
Onde evitare fraintendimenti, mi permetto di quotare per bene le linee guida che hai definito, nella certezza che permetteranno di non scivolare facilmente e velocemente nell'OT, che sarà, nel caso, immediatamente gestito dalla moderazione:

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Mi piacerebbe che da qui nascesse una discussione sul metodo di analisi, prima, e sulle conclusioni dell’analisi stessa, quindi; non invece una discussione sull’utilità dell’aeroporto o sulle prese di posizione di questo o quell’amministratore locale: di questo si è già tanto scritto e non si può ignorare il fatto che quella discussione è stata chiusa per esaurimento di interesse.
...
 
Ciao Planner,

Analisi davvero molto interessante e ricca di spunti.
Ti invito, se puoi, a condividere i dati grezzi.

Nel frattempo ti riporto le due cosa che non mi convincono, e secondo me distorcono l' analisi.

1) EBITDA-EBIT Margin come valore di riferimento per il calcolo del valore aggiunt nel sistema.

Stai implicitamente assumendo che i fattori della produzione (ovvero i costi che sottrai ai ricavi) provengano tutti al di fuori della Sicilia. In primis il costo del lavoro.

Per farla semplice: utilizzando l'EBITDA/EBIT non tieni conto
a)Dello stipendio che percepisce il cameriere/barista
b)Del ricavo del pescivendolo che fornisce il pesce al ristorante (su cui tu hai calcolato l'EBIT margin)

Tutte voci che nel tuo margine sono "costi" ma in realtà sono altri ricavi per il sistema territoriale.

Utilizzare una previsione ottimistica di margini (15%?)non mi sembra la soluzione migliore al problema di cui sopra. Perchè potrebbe risultare troppo riduttiva

2) Non tieni conto del potente effetto Moltiplicatore

Il proprietario del ristorante che guadagna di più, Il Barista che prima non lavorava, Il cameriere che fa più mance ecc spenderanno parte delle loro nuove entrate dal negoziante di scarpe che a sua volta farà lo stesso dal salumiere che a sua volta farà lo stesso dal ristoratore ecc ecc.

Cose che cubano tanto
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Sono col dubbio, però, di aver interpretato male quanto hai scritto qui.

Non basta ancora.
La spesa complessiva non è la misura del beneficio, perché questa esprime un dato di ricavo, mentre a noi serve il margine, cioè il fatturato meno i costi di produzione. In termini di bilancio aziendale, il beneficio è espresso dal margine lordo (EBITDA); in termini di contabilità pubblica, dal valore aggiunto. Le due grandezze non sono esattamente sovrapponibili, ma possono essere una buona approssimazione l’una dell’altra.
Questo è il passaggio più complicato, perché il dato che ci serve per scalare dal fatturato al margine lordo è di non facile determinazione in mancanza di dati ad hoc.
Da un’indagine del 2013 di Unioncamere Sicilia, sappiamo che l’EBIT medio delle aziende siciliane si attesta al 3% del fatturato. Questo è un riferimento da cui possiamo partire per fissare un EBITDA che, con un notevole eccesso di ottimismo, poniamo al 15%.
L’eccesso di ottimismo si giustifica parzialmente volendo considerare non solo i margini diretti delle attività turistiche, ma anche gli effetti di attivazione sul complesso dell’economia provinciale; in particolare, si può stimare che, con una percentuale del 15%, più o meno il 10% dipenda dalla redditività aziendale pura (a fronte, lo ricordo, di un EBIT medio del 3%), mentre il restante 5% circa può essere fatto risalire agli effetti diffusi di attivazione sugli altri settori.

Quindi correggimi pure se ho capito male

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Per inciso:

Un indagine dell' Univ di Bari calcolava (ottimisticamente, secondo me) in 31 il valore del moltiplicatore degli investimenti in sovvenzioni agli aeroporti pugliesi. Secondo la loro indagine per ogni euro speso in Comarketing risultavano 31 euro lordi spesi da non residenti in Puglia.
 
Un indagine dell' Univ di Bari calcolava (ottimisticamente, secondo me) in 31 il valore del moltiplicatore degli investimenti in sovvenzioni agli aeroporti pugliesi. Secondo la loro indagine per ogni euro speso in Comarketing risultavano 31 euro lordi spesi da non residenti in Puglia.

Come sono calcolati questi 31€?
Sta qui, a mio avviso, il nocciolo della questione.
 
Come sono calcolati questi 31€?
Sta qui, a mio avviso, il nocciolo della questione.

Sono approcci completamente diversi.

A Bari hanno calcolato il rapporto tra la spesa per il comarketing e la stima di spesa dei viaggiatori non residenti (calcolato come spese media gioranliera per periodo medio di permanenza- differenziando alta e bassa stagione)
 
Sono approcci completamente diversi.

A Bari hanno calcolato il rapporto tra la spesa per il comarketing e la stima di spesa dei viaggiatori non residenti (calcolato come spese media gioranliera per periodo medio di permanenza- differenziando alta e bassa stagione)

Sì, ma mentre la spesa per il comarketing è certa, benché non nota, la stima di spesa dei viaggiatori non residenti ha un valore infinito (in più o in meno) a seconda di come viene calcolata. E qui si apre un mondo, perché il dato è mobile. A seconda di ciò che si considera è possibile argomentare il tutto ed il suo contrario.

Per dire, io spendo mediamente X+Y rispetto ad un viaggiatore che spende X. Se vogliamo fare un discorso serio, bisogna entrare nel dettaglio e comprendere le logiche e le assunzioni di base dalle quali scaturiscono i 31€. Che passeggero tipo è stato preso, come è stato definito lo spending medio, che tipi di servizi sono rientrati in tale valore (sempre per dire, un conto è considerare un turista che mangia facendo la spesa al supermercato, altro uno che va in agriturismo, altro ancora uno che va in trattoria, altro ancora infine uno che va in ristorante). Stesso discorso vale per l'alloggio e le spese accessorie.

Capisco che sia faticoso e complicato, ma io diffido da qualunque analisi che non mi offra con trasparenza il dettaglio della metodologia applicata per fare i calcoli che portano, nel caso in discussione, ai 31€.
 
Ciao Planner,

Analisi davvero molto interessante e ricca di spunti.
Ti invito, se puoi, a condividere i dati grezzi.

Nel frattempo ti riporto le due cosa che non mi convincono, e secondo me distorcono l' analisi...

Grazie per le osservazioni.
È del tutto corretto che gli aspetti che tu citi facciano parte di un’analisi completa, ma mi viene da chiederti cosa vuoi dire quando affermi che – in assenza di questi elementi – l’analisi possa essere distorta. Immagino due possibili conseguenze: 1) il valore numerico del risultato (il VAN) non è corretto; 2) non è corretto il segno algebrico del risultato.
Dico subito che il primo caso è per me irrilevante, anche in considerazione del fatto che non sto facendo un confronto fra progetti differenti, per cui sceglierei quello che ha il VAN più alto, una situazione in cui, cioè, anche il valore numerico conterebbe. In altre parole, come analista mi interessa poco sapere se il valore attuale netto sia di -10 piuttosto che di -4 milioni; mi interessa sapere senz’altro se sia positivo e negativo, ovvero se sia – uso termini impropri – se sia “molto positivo/negativo” o “poco positivo/negativo”. Detto in altro modo, mi interessa determinare un ordine di grandezza credibile invece che una misura più o meno precisa.
Da qui passiamo al secondo aspetto: tu stai implicitamente dicendo che una misurazione esplicita degli effetti sul sistema locale potrebbe anche far risultare un VAN positivo. L’osservazione è assolutamente pertinente, ma permettimi alcune considerazioni in proposito.
La misurazione dei fenomeni di attivazione è cosa non facile, soprattutto su scala regionale, dove spesso non ci sono rilevazioni statistiche territorialmente centrate. E certamente non potevo farle io in questa situazione. Allora – ben conscio che gli aspetti che tu rilevi rappresentano un aspetto essenziale per un’analisi di questo tipo – ho aggirato il problema, cercando di determinare quello che prima ho chiamato un ordine di grandezza credibile, e in quest’ordine ho riscontrato che il VAN non solo era negativo, ma era molto negativo.
A questo punto, ho provato – passami l’espressione – a riempire lo spazio negativo con aumenti “artificiali” dell’EBITDA, ma ho visto che, per quanto lo gonfiassi, non riuscivo mai a determinare l’inversione del segno del VAN se non ipotizzando tassi di produttività francamente inverosimili.
Ne ho dovuto concludere che esiste una valida probabilità che, anche procedendo ad una misura puntuale degli effetti moltiplicativi sul sistema, il valore attuale netto resti effettivamente negativo.
Quindi, la previsione del margine del 15% non rappresenta di per sé la soluzione tecnica alla mancanza di una misurazione esplicita degli effetti indotti, ma è, più semplicemente (man non meno significativamente), un’approssimazione della dimensione dell’ordine di grandezza dell’indicatore di fattibilità sociale.
Da ultimo, vorrei anche osservare che, in un’analisi del genere, bisogna porre attenzione anche a non duplicare i flussi e gli effetti. Voglio dire che tu rilevi due punti (la natura locale o meno dei fattori della produzione e la mancanza di misurazione del moltiplicatore) che però si riferiscono ad un'unica questione, vale a dire la determinazione degli effetti di induzione sul sistema economico locale, che altro non è che l’incremento di quelli che sono noti come redditi fattoriali.
 
Per quanto riguarda la pubblicazione dei dati grezzi, lo farei volentieri se sapessi come inserire qui delle tabelle excel, visto che metterle in un post farebbe perdere tutta la tabulazione, creando una confusione indistinta di numeri.
Potrei anche mettere un allegato in pdf, ma anche per questo occorrerebbe che qualcuno mi dicesse come fare.
 
Credo ci siano anche altri fattori da considerare, fattori difficili da misurare. Per esempio (ho volutamente usato un aeroporto diverso da TPS)

1) C'e' l'aeroporto ma mancano voli diretti (per es. esiste solo un Comiso-Palermo quattro volte al giorno). Quale tipo di clientela affronterebbe il viaggio comunque? In altre parole, chi si farebbe un LGW-PMO-CIY rispetto a quelli che arriverebbero solo se ci fosse un STN-CIY? E come sarebbero EBITDA e EBIT del territorio nei due casi?

2) Esiste un fondo di verita' nel concetto che quelli che arriverebbero con un LGW-PMO-CIY userebbero attrezzature turistiche a costo (per il turista) maggiore di quelli che arrivano solo se c'e' il STN-CIY? In caso affermativo come si potrebbe stimare la differenza ?
 
Credo ci siano anche altri fattori da considerare, fattori difficili da misurare. Per esempio (ho volutamente usato un aeroporto diverso da TPS)

1) C'e' l'aeroporto ma mancano voli diretti (per es. esiste solo un Comiso-Palermo quattro volte al giorno). Quale tipo di clientela affronterebbe il viaggio comunque? In altre parole, chi si farebbe un LGW-PMO-CIY rispetto a quelli che arriverebbero solo se ci fosse un STN-CIY? E come sarebbero EBITDA e EBIT del territorio nei due casi?

2) Esiste un fondo di verita' nel concetto che quelli che arriverebbero con un LGW-PMO-CIY userebbero attrezzature turistiche a costo (per il turista) maggiore di quelli che arrivano solo se c'e' il STN-CIY? In caso affermativo come si potrebbe stimare la differenza ?


Un tema generale, che gira intorno ad analisi come questa, è che qualunque modello è sempre un’approssimazione della realtà, la quale, però, sarà sempre più complessa e variegata di qualunque modello che voglia approssimarla.
Nella maggioranza dei casi, tuttavia, lo sforzo (analiticamente notevole) di provare ad introdurre elementi sempre più precisi e specifici non trova un corrispondente aumento della significatività dei risultati.
In altre parole, una buona approssimazione, ovvero un certo livello di semplificazione del modello, è già in grado di produrre un risultato apprezzabile, rendendo poco conveniente l’inserimento all’interno dello schema di variabili, quali quelle da te menzionate, pure giuste, ma che verosimilmente non spostano di molto gli indicatori.
Faccio un esempio. Hai ragione a dire che la disponibilità di servizi (inclusi i voli) di un certo tipo modifica la composizione qualitativa dei turisti in arrivo. Questo, a sua volta, comporta una variazione della spesa turistica pro capite. Ma di quanto potrebbe crescere? Di un po’, probabilmente; meno probabilmente il valore della spesa turistica pro capite sarebbe stravolto.
Per vedere una variazione significativa del risultato, c’è invece bisogno che la spesa turistica sia effettivamente stravolta, crescendo – in media – di qualcosa come il 50%, cosa che è del tutto improbabile in tempi brevi o anche medi, soprattutto se mancano servizi adeguati sul territorio.
Insomma, si possono trovare tanti limiti e pecche in questa analisi, ma per quanto si possa procedere a raffinamenti, io resto convinto che il risultato non sia destinato a cambiare, almeno per ciò che riguarda il segno, che è la cosa che conta.
 
Grazie per le osservazioni.
È del tutto corretto che gli aspetti che tu citi facciano parte di un’analisi completa, ma mi viene da chiederti cosa vuoi dire quando affermi che – in assenza di questi elementi – l’analisi possa essere distorta. Immagino due possibili conseguenze: 1) il valore numerico del risultato (il VAN) non è corretto; 2) non è corretto il segno algebrico del risultato.
Dico subito che il primo caso è per me irrilevante, anche in considerazione del fatto che non sto facendo un confronto fra progetti differenti, per cui sceglierei quello che ha il VAN più alto, una situazione in cui, cioè, anche il valore numerico conterebbe. In altre parole, come analista mi interessa poco sapere se il valore attuale netto sia di -10 piuttosto che di -4 milioni; mi interessa sapere senz’altro se sia positivo e negativo, ovvero se sia – uso termini impropri – se sia “molto positivo/negativo” o “poco positivo/negativo”. Detto in altro modo, mi interessa determinare un ordine di grandezza credibile invece che una misura più o meno precisa.
Da qui passiamo al secondo aspetto: tu stai implicitamente dicendo che una misurazione esplicita degli effetti sul sistema locale potrebbe anche far risultare un VAN positivo. L’osservazione è assolutamente pertinente, ma permettimi alcune considerazioni in proposito.
La misurazione dei fenomeni di attivazione è cosa non facile, soprattutto su scala regionale, dove spesso non ci sono rilevazioni statistiche territorialmente centrate. E certamente non potevo farle io in questa situazione. Allora – ben conscio che gli aspetti che tu rilevi rappresentano un aspetto essenziale per un’analisi di questo tipo – ho aggirato il problema, cercando di determinare quello che prima ho chiamato un ordine di grandezza credibile, e in quest’ordine ho riscontrato che il VAN non solo era negativo, ma era molto negativo.
A questo punto, ho provato – passami l’espressione – a riempire lo spazio negativo con aumenti “artificiali” dell’EBITDA, ma ho visto che, per quanto lo gonfiassi, non riuscivo mai a determinare l’inversione del segno del VAN se non ipotizzando tassi di produttività francamente inverosimili.
Ne ho dovuto concludere che esiste una valida probabilità che, anche procedendo ad una misura puntuale degli effetti moltiplicativi sul sistema, il valore attuale netto resti effettivamente negativo.
Quindi, la previsione del margine del 15% non rappresenta di per sé la soluzione tecnica alla mancanza di una misurazione esplicita degli effetti indotti, ma è, più semplicemente (man non meno significativamente), un’approssimazione della dimensione dell’ordine di grandezza dell’indicatore di fattibilità sociale.
Da ultimo, vorrei anche osservare che, in un’analisi del genere, bisogna porre attenzione anche a non duplicare i flussi e gli effetti. Voglio dire che tu rilevi due punti (la natura locale o meno dei fattori della produzione e la mancanza di misurazione del moltiplicatore) che però si riferiscono ad un'unica questione, vale a dire la determinazione degli effetti di induzione sul sistema economico locale, che altro non è che l’incremento di quelli che sono noti come redditi fattoriali.

Beh il VAN dipende dai flussi che gli ficchi dentro (oltre che dal tasso di sconto che usi).

Usare un 15% di EBITDA margin come indicatore di valore rilasciato al territorio è, secondo me, ampiamente distorsivo.
Se prendiamo una qualsiasi azienda è molto difficile che il costo del personale vada sotto al 15-20% del fatturato. E quel 15-20% è tutto valore che tramite L'ebitda/ebit non prendi.
Nel settore della ristorazione, ad esempio, il costo del personale tende ad incidere sul fatturato anche di più (30%, o più).

Eliminando dal conteggio il solo costo del personale (conserativamente 20% fatturato) avremmo gia un ebitda margin in una forchetta tra il 25% (con un EBITDA MARGIN ordianrio del 5%) e 35% (con EBITDA MARGIN DEL 15%).
Ci sarebbero poi da togliere altri ""costi"" (la lavanderia che lava le lenzuola all' albergo, il pescivendolo che vende il pesce al ristorante ecc) identificabili come valore apportato alla sicilia ecc ecc. Ma sono difficilmente quantificabili. 5%? 10? Boh diciamo zero.

Indotto aeroportuale?

E non stiamo scomodando nemmeno l'effetto moltiplicatore (molto difficile da computare).

Insomma ci sono molte cose che cubano. Se i dati non sono ampi posta un immagine del file excel e delle ipotesi sul calcolo del van. La cosa è interessante ;)
 
Il rischio che si corre è di sopravvalutare, se non di duplicare, gli effetti. Ad esempio, il moltiplicatore (che non è esattamente complementare all’analisi costi benefici) comprende in primis effetti diretti, che però sono di fatto già misurati nell’ACB dai flussi di spesa turistica. Quindi, il dato del moltiplicatore andrebbe “ripulito” isolando solo gli effetti indiretti e indotti.
Ma, per quanto riguarda questi, non possiamo sapere se è vero (come mi sembra tu implicitamente assuma) che ad una variazione di spesa si abbia un’analoga e proporzionale variazione nell’intensità d’uso dei fattori. Mi spiego: immaginiamo di avere un costo del lavoro (ovvero redditi da lavoro) di 20 a fronte di un fatturato di 100. Se il fatturato cresce del 10%, non possiamo dare per scontato che il costo del lavoro (e quindi i redditi dei lavoratori) crescano anch’essi della medesima percentuale. Una parte di questa crescita, infatti, può risolversi in un aumento della produttività e non dei redditi; in parole povere, lavorano di più gli addetti già assunti e meno probabilmente si procede a nuove assunzioni.
Più in generale, il lavoro può crescere, ma non è detto che lo faccia; e come analista io preferisco sempre un approccio più prudente, anche alla luce di quanto scrive la stessa Regione Siciliana:
“Le più importanti conclusioni cui giunge l’analisi, discusse più in dettaglio nei capitoli di questa sezione, sono due:
1. In primo luogo, il sistema economico connesso al turismo, nonostante le potenzialità e l’incremento significativo dei flussi turistici stenta a creare ricchezza;
2. In secondo luogo, le imprese turistiche e, nella fattispecie, quelle operanti nell’ospitalità, sono poco competitive perché caratterizzate da una bassa produttività del lavoro. I due fenomeni (scarsa capacità di creare valore aggiunto e bassa produttività) sono evidentemente collegati.” (Analisi di contesto. Documento propedeutico alla stesura del Piano Regionale di sviluppo turistico, novembre 2012)
 
Ultima modifica:
Questo discorso sulla scarsa efficienza del settore turistico locale ci porta ad un altro tema, più interessante rispetto alla questione della valenza strategica dei contributi di co-marketing e che riprende quanto già accennato da Londonfog sulla composizione qualitativa del turismo. Se si scelgono questi contributi come strumento strategico, quasi inevitabilmente si attira un certo tipo di clientela, con una sua capacità di spesa e di impatto.
Per modificare la qualità, occorre un approccio alternativo, che deve consistere nell’agire sulle strutture (in primis quelle della mobilità interna, che tutte le analisi concordano nell’identificare come un fattore negativo, e quelle ricettive), il che darebbe verosimilmente esiti diversi per valore e durata.

Se è vero, infine, che il settore è sostanzialmente inefficiente, e se quindi è vero che gli aumenti quantitativi dei flussi turistici producono effetti contenuti, una strategia più valida dovrebbe essere orientata ad eliminare, o almeno a ridurre, le cause dell'inefficienza.
Credo che questa sia la conclusione più importante.
 
Ultima modifica:
Il rischio che si corre è di sopravvalutare, se non di duplicare, gli effetti. Ad esempio, il moltiplicatore (che non è esattamente complementare all’analisi costi benefici) comprende in primis effetti diretti, che però sono di fatto già misurati nell’ACB dai flussi di spesa turistica. Quindi, il dato del moltiplicatore andrebbe “ripulito” isolando solo gli effetti diretti e indotti.
Ma, per quanto riguarda questi, non possiamo sapere se è vero (come mi sembra tu implicitamente assuma) che ad una variazione di spesa si abbia un’analoga e proporzionale variazione nell’intensità d’uso dei fattori. Mi spiego: immaginiamo di avere un costo del lavoro (ovvero redditi da lavoro) di 20 a fronte di un fatturato di 100. Se il fatturato cresce del 10%, non possiamo dare per scontato che il costo del lavoro (e quindi i redditi dei lavoratori) crescano anch’essi della medesima percentuale. Una parte di questa crescita, infatti, può risolversi in un aumento della produttività e non dei redditi; in parole povere, lavorano di più gli addetti già assunti e meno probabilmente si procede a nuove assunzioni.
Più in generale, il lavoro può crescere, ma non è detto che lo faccia; e come analista io preferisco sempre un approccio più prudente, anche alla luce di quanto scrive la stessa Regione Siciliana:
“Le più importanti conclusioni cui giunge l’analisi, discusse più in dettaglio nei capitoli di questa sezione, sono due:
1. In primo luogo, il sistema economico connesso al turismo, nonostante le potenzialità e l’incremento significativo dei flussi turistici stenta a creare ricchezza;
2. In secondo luogo, le imprese turistiche e, nella fattispecie, quelle operanti nell’ospitalità, sono poco competitive perché caratterizzate da una bassa produttività del lavoro. I due fenomeni (scarsa capacità di creare valore aggiunto e bassa produttività) sono evidentemente collegati.” (Analisi di contesto. Documento propedeutico alla stesura del Piano Regionale di sviluppo turistico, novembre 2012)

Capisco quello che dici. Ma matematicamente non (mi) torna.

Posto che, in media, dei 10 eur che il turista inglese spende al ristorante 2-3 eur vanno a cuoco e camerieri, e 0,5-1,5 al ristoratore.....se anche il maggior afflusso si traducesse in una maggiore efficienza del lavoro avresti che a parità di costo del lavoro verrebbe fuori un maggior fatturato e quindi un maggior ebitda margin.

Se ciò che dici (aumento dei volumi porta aumento dell' efficienza ovvero aumento dell' ebitda margin) è molto sensato, è altrettanto scontato che un aumento del fatturato, in media nel sistema locale, porti ad un aumento del costo del lavoro (anche se meno che proporzionale).

Oltretutto, ribadisco, se usi L'ebitda margin tieni fuori anche i "costi" dell' erogazione del serviio/prodotto che restano sul terriotorio. Più spaghetti allo scoglio vogliono dire più costi del pesce per il ristoratore. Più letti occupati vogliono dire più costi di lavanderia. Più colazioni vogliono dire più costi per le brioches del fornaio.
Con l'ebitda Margin togli anche questa fetta (ampia) di valore aggiunto.

il tuo 15% di valore aggiunto è, secondo me, nella peggiore delle ipotesi 30-35% (5-10% da ebit margin puro, 20% da lavoro, 5% da materia prima/servizi del territorio...)

Lasciamo da parte il moltiplicatore per il momento (che moltiplica appunto, ma è troppo difficile dire quanto) e focalizziamoci su un buon indicatore di valore aggiunto.

Riusciresti a lasciare qualche riferimento su dove prendere i dati di regione/provincia su presenze turistiche spesa media ecc?
 
I dati sulle presenze turistiche sono tutti sul sito dell'Istat. Per quanto riguarda la spesa, le fonti sono diverse ma molto discordi. Io ho preso il valore dallo studio della Regione che ho citato precedentemente: lo trovi in rete.
 
Ho letto con interesse le 20 pagine dello studio redatto da ricercatori e pubblicato da B.I.
Come al solito, solo in Italia, invece di fare studi su base scientifica mediante controllo e monitoraggi in un arco di tempo definito estraendo i risultati omogenei, si è preferito come riportato dai ricercatori di ricorrere al cosiddetto metodo "empirico"! Prendendo a riferimento dati ISTAT di anni passati di tutte le province del Mezzogiorno prive di aeroporto e con una serie di formule,di verifiche e arrivare a queste conclusioni:
Analizzando l’impatto dell’apertura dell’aeroporto di Comiso, nel sud-est della Sicilia, sulle presenze turistiche internazionali nell’area di riferimento (provincia di Ragusa), siamo in grado di quantificare il numero di presenze mensili addizionali (circa 5.100, pari a un incremento del 19,1 per cento) e di stimare la spesa generata (434 mila euro al mese).
La stima è costruita attraverso il metodo del controllo sintetico, che confronta Ragusa con un controfattuale composto a partire dalle province del Mezzogiorno che non sono servite da un aeroporto, che somigliano a Ragusa in molte caratteristiche “predittive” dei flussi turistici e che hanno un andamento delle presenze internazionali molto simile a Ragusa prima dell’apertura di Comiso.

Quindi viene usato un metodo empirico con controllo sintetico e un raffronto di province che somigliano a Ragusa e con caratteristiche predittive!
Ma uno studio serio e scientificamente inoppugnabile (che non sia di supporto a scelte politiche per ottenere finanziamenti per aprire aeroporti) si potrà mai avere?