*** Alitalia: al referendum vince il NO ***


Stato
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aspetta a dirlo c'è ancora un 20% di possibilità di salvataggio in extremis

Il 20% forse no, ma se i soci sono uniti e convinti di avere in mano la mano migliore, un 10-15% di possibilità che riparta una compagnia completamente riformata esistono
 
Alitalia: cessione in 6 mesi con spezzatino (Mess)

ROMA (MF-DJ)--Spezzatino Alitalia Sai. Con l'arrivo di nuovi acquirenti verrebbe ceduto ciò che resta della ex compagnia di bandiera a prezzi di saldi: rotta, flotta, dipendenti compresi ovviamente. È questo, scrive Il Messaggero, lo scenario peggiore che si può immaginare dopo l'esito del referendum con la vittoria del no. Una prospettiva ben più drammatica di quella vissuta nel 2008 quando Cai, società guidata da Roberto Colaninno, insieme ad Air France, acquistò con uno spezzatino, l'Alitalia pubblica agonizzante, con un taglio di 2.500 dipendenti e con meno rotte e aerei.

Tra sei mesi, quindi, dopo l'arrivo del commissario, potrebbe esserci un nuovo break-up. A questo punto saranno le compagnie aeree interessate agli asset di Sai a scegliere: tratte, aeromobili e dipendenti ai quali applicare un nuovo contratto con stipendi decurtati.

Questo al termine di un percorso che prenderà il via stamattina, quando il cda straordinario di Sai prenderà atto della vittoria del no al referendum tra i dipendenti che fa venir meno una delle condizioni principali poste dalle banche per sostenere il piano di ristrutturazione basato su una manovra di 2 mld dei quali circa 900 mln a carico degli istituti.

Dopo il cda, prosegue il giornale, dovrebbe tenersi un vertice al Mise tra i ministri Carlo Calenda e Graziano Delrio, il presidente designato di Alitalia, Luigi Gubitosi, e il commissario di Ilva Enrico Laghi, per stringere le fila sull'istanza di ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria in continuità con la nomina di uno o più commissari. Il Governo avrebbe scelto ieri la soluzione tipo Ilva che consentirà ad Alitalia di continuare a volare. L'altra soluzione, più nefasta, quella dell'amministrazione straordinaria liquidatoria, sarebbe stata scartata per il costo sociale e di immagine molto più alto.

Tra i candidati a fare il commissario ci sarebbe proprio Gubitosi, ben visto da banche e Governo, ma il manager sembra sia molto freddo su questa ipotesi. Un altro possibile candidato sarebbe proprio Laghi. L'istanza, prosegue il giornale, dovrebbe essere depositata tra venerdì 28 aprile e martedì 2 maggio al Mise e al tribunale di Civitavecchia (competente per territorio) che dovrà certificare lo stato di insolvenza. Subito dopo ci sarebbe la nomina del commissario da parte di Calenda.

Queste sono le condizioni per far volare gli aerei fino alla vendita con spezzatino. Le banche non sono infatti disponibili a riaprire il rubinetto delle linee di credito per comprare il carburante e pagare gli stipendi. Dovrà intervenire lo Stato, come ha fatto con Ilva. Ecco perché in arrivo c'è un provvedimento che stanzia un finanziamento pubblico tra 350 e 500 mln. Attualmente la società avrebbe un'autonomia di cassa per 20 giorni circa; è chiaro che se da oggi il default dovesse inasprire le tensioni con i fornitori che si presentano a Fiumicino per battere cassa, l'autonomia di riduce a un paio di settimane.

vs

(END) Dow Jones Newswires
 
Sarebbe meglio che il governo incominciasse a pianificare il dopo, anzi sarebbe meglio che il piano avessero iniziato a farlo nelle scorse settimane o mesi, se non altro come contingency.

So che e' prematuro, ma e' essenziale che la ripartenza venga gestita bene per ricostruire il settore al meglio. E gli scenari possibili sono tanti, richiederebbero una guida lucida e lungimirante. Il personale viaggiante e i piloti serviranno anche in Italia, senza bisogno di farli emigrare in Cina e in Arabia, per portare in giro quella quota di mercato che aveva AZ. Chi li riassorbe, come, con che agevolazioni e da che aereoporti e' tutto da vedere.

Pero' e' prematuro, vediamo se non salta fuori un altro cono dal cilindro.

PS: Al giornalista di Repubblica suggerirei che gli aerei non vanno a gasolio, ma magari e' un'espressione figurata, come dire "hanno finito la benzina".
 
A questo punto oserei dire che un buon indizio riguardo il reale abbandono di ogni ipotesi di salvataggio in extremis lo avremo quando le low-cost inizieranno ad aprire rotte su nazionale e internazionale dall'Italia.
Mi ricordo che, con Malev, FR aveva subito annunciato decine di nuovi voli: vedremo se anche questa volta sarà così.
 
secondo me è meglio il concordato preventivo adesso

In effetti la palla è sempre nelle mani dei soci. Personalmente non vedo alcuna ragione giuridica o di opportunità per cui i soci dovrebbero preferire l'amministrazione straordinaria al concordato preventivo in continuità.
Oltretutto mi sembra incredibile che il Corriere della Sera, la voce del (quasi ex) padrone faccia i nomi di Gubitosi o laghi quali commissari straordinari. Avendo avuto incarichi nella società in bonis sono infatti incompatibili.
 
L'unica domanda da porsi ora è: cosa conviene più ai soci?




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Da punto di vista dei soci, la differenza sostanziale tra l'amministrazione straordinaria e il concordato preventivo e' che nel primo caso la presisposizione del piano o di risanamento spetta a un commissario nominato dal ministero. Nel caso di concordato preventivo il piano è invece redatto da cda che è espressione dei soci.
Nel primo caso il commissario straordinario che risponde alla politica è prevedibile che privilegerà il consenso politico cioè i dipendenti rispetto ai creditori. Nel secondo caso il piano predisposto nell'interesse degli azionisti che sono anche i principali creditori doverebbe andare nella direzione opposta.
Per me i soci non molleranno il pallino.
 
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25 aprile 2017

San Marco, evangelista


Alitalia. Partiamo da un come eravamo:

Mario Sechi. List.

Questo è un manifesto pubblicitario del 1948, opera di Marcello Dudovich, un grande artista dal tocco futurista, fu con Depero uno dei re della pubblicità d’autore, il suo tratto era perfetto per Alitalia: la velocità, il dinamismo, il movimento, l’uomo e la sua creazione, la macchina volante. Il titolare di List invita i lettori a concentrarsi sul pay off, la frase che accompagna il marchio: “Servizi aerei per tutto il mondo”. Semplice, efficace, chiarissimo, era lo scopo della compagnia aerea, trasportare persone e merci in “tutto il mondo”. Il crollo di Alitalia è tutto nel tradimento di quella frase, nella deviazione via via sempre più veloce della sua missione. Fino agli anni Ottanta – nonostante il declino fosse già scritto nel suo dna ormai tutto politico – la compagnia pensava ancora in termini globali. Ecco un altro manifesto che ne coglie lo spirito:


Poi sono cambiati per sempre anche gli italiani. Sempre meno attenti al futuro. Così nella sua storia Alitalia è passata dall’essere una delle prime compagnie aeree a reazione del mondo, a azienda brucia-cassa che perde oltre un milione di euro al giorno.

Il No al referendum è il canto del cigno che ha perso le ali, un finale tragico dove è facile dire che la colpa è tutta dei lavoratori che ciecamente hanno rifiutato l’accordo. Troppo facile. Alitalia aveva il serbatoio del carburante (il denaro) bucato da diverso tempo. L’archivio di List parla chiaro, il 21 dicembre scorso il titolare metteva nero su bianco questo passaggio sul suo taccuino:

Allacciate le cinture e preparatevi al decollo: Alitalia è tornata al suo destino di compagnia aerea decotta. Chi lo dice? Le fonti del titolare di List, una lettura attenta della stampa economica internazionale e quella cosa che in Italia si scopre sempre all’ultimo momento, la realtà. “Lo scenario volge al peggio” raccontano fonti che hanno conoscenza del dossier della nostra fu compagnia di bandiera. Pessimismo? No, basta seguire con attenzione l’impaginato globale. Gli emiri stanno per licenziare James Hogan, numero uno di Etihad Airways, azionista al 49% di Alitalia. Lo scrive il giornale economico tedesco Handelsblatt e la cronaca è quella di un film di Dario Argento, Profondo Rosso:

Etihad nel 2011 ha comprato il 29% di Air Berlin, la compagnia aerea perde 447 milioni di euro ed è sull’orlo della bancarotta;
Alitalia perderà 400 milioni di euro quest’anno ed è proiettata per un rosso di mezzo miliardo nel 2017;
Gli investimenti di Etihad in Europa registrano una perdita di 2.5 miliardi di euro.


In gennaio la compagnia aerea del governo di Abu Dhabi premerà il tasto reset sull’intera strategia europea, il destino di Alitalia appare segnato: il governo deve trovare un compratore. La compagnia perde non 500 mila euro al giorno come dichiarato da alcuni suoi esponenti (Montezemolo) ma il doppio, un milione. E i patrioti? Muti sono. Siamo di fronte a un complotto ordito dalla Germania di cui Handelsblatt è lo strumento di propaganda? Ok, cospirazionisti, allora passiamo al Wall Street Journal, sintesi:

La compagnia doveva comprare nuovi aerei dalla Boeing ma ha deciso di rinviare l’acquisto alla luce delle prospettive del mercato;
Il profitto netto a metà del 2016 è crollato del 75%;


La strategia di spremere ricavi dall’hub di Abu Dhabi ha il fiato corto, la tecnologia sta rendendo gli aerei sempre più efficienti e le compagnie aeree sui voli di lungo raggio stanno cominciando a saltare lo stop negli Emirati: Qantas ha annunciato un collegamento diretto tra Perth, Australia, e Londra, senza scalo. Bye bye, desert sands.
Un urlo sale dalla trincea. Patrioti, dove siete?



Era il 21 dicembre. Alitalia dava da tempo segni di cedimento strutturale. Bruciava cassa. Non era una questione di restilyng del marchio, delle poltroncine degli aerei, delle divise cool (maddeché) di hostess e steward e di qualità del servizio a bordo. Era il piano industriale che era fuori tempo massimo. In ritardo sulla storia dell’aviazione e sulla biografia del paese, l’Italia. Quattro mesi dopo, quella domanda è rimasta sul taccuino e la risposta è stata un piano di tagli – l’ennesimo – messo in piedi dall’azienda con le alchimie finanziarie dell’ultimo arrivato, Luigi Gubitosi “mani di forbice”, passato dalle antenne della Rai al check in. A Gubitosi non può essere certo imputato il bilancio della compagnia, ma piaccia o meno anch’egli è tra i protagonisti di una storia che ha condotto a uno dei più clamorosi casi di fallimento delle relazioni industriali. Il piano è stato presentato con il vincolo di un sì dei lavoratori da esprimere in un referendum. La bocciatura ciclopica giunta come un fulmine ieri sera (6.816 No contro 3.206 Sì) dice che gli azionisti (Etihad), i manager, i sindacati e il governo Gentiloni avevano il radar spento mentre nello spazio aereo di Fiumicino era in arrivo il cacciabombardiere che nella stiva trasportava le schede con la scritta No. I sindacati hanno firmato un accordo che non erano in grado di mantenere perché è saltata la rappresentanza e perché le perplessità sul piano industriale venivano prima di tutto dalle stesse banche finanziatrici. Il caso Alitalia passerà alla storia (anche) per questo: il corto-circuito tra management e lavoratori, la totale incomprensione tra le parti, la sicurezza di portare a casa un Sì perché tanto non c’è altra via d’uscita e i dipendenti si piegheranno alla realtà. Questo è l’errore compiuto dall’azionista Etihad, da Montezemolo (ieri) e da Gubitosi (oggi), non vedere the dark side of the moon, la faccia nascosta del pianeta Alitalia. Quale? Questa, è la frase finale dello studio pubblicato da Mediobanca sui bilanci storici della compagnia di bandiera, tenetevi forte:



“Tra il 1974 ed il 2007 Alitalia ha cumulato perdite pari a 6,1 mld. di euro in moneta del 2014. La gestione di Alitalia, a far data dal 1974 e fino al 2007 relativamente alla gestione in bonis (3,3 mld. a valori 2014) e successivamente fino al giugno 2014 sotto la gestione commissariale (4,1 mld.), ha prodotto in via indicativa e approssimata un onere complessivo a carico del settore pubblico e della collettività stimabile in circa 7,4 mld. di euro”.



Sette miliardi e mezzo di euro a carico del contribuente. Chi ha votato No spera – come l’azionista – che ci sia ancora una quota di fessi tra i contribuenti italiani disposta a sostenere i costi del salvataggio. Alitalia è un caso da guiness dei fiaschi industriali perché l’aviazione civile nel 2016 ha macinato record di utili. List del 16 marzo scorso:

il mercato globale delle compagnie aeree ha registrato nel 2016 profitti netti aggregati pari a 35,6 miliardi di dollari e invece Alitalia sta(va) per fallire? Alitalia non riesce a volare ad alta quota in un mercato che in questo momento ha numeri più che positivi. Ultimo rapporto IATA:



In gennaio i ricavi per passeggero sono aumentati a livello globale del 9,6 per cento, il massimo dal 2001 e la partenza dell’anno migliore dal 2005;
Le prospettive sono buone anche nel 2017, al netto delle incertezze sul prezzo del carburante, gli aggiustamenti dei tassi di interesse e gli shock geopolitici (il terrorismo è un fattore decisivo per il traffico su alcune rotte);

Questi due grafici sono eloquenti:

Le condizioni continuano ad essere buone anche nel 2017, nonostante un calo dei profitti, e la realtà è che il piano industriale di Alitalia si confronta con un mercato fatto per Tirannosaurus Rex o Velociraptor: o hai una incomparabile forza d’urto (ecco la ragione delle aggregazioni tra vettori e costruttori) o sei agile, veloce, letale e spietato. Non c’è spazio per predatori di dimensioni medie con uno stomaco da gigante come Alitalia. Il piano è inesorabilmente too small, too late, troppo piccolo e troppo tardi. Guardate questo grafico pubblicato dal Wall Street Journal:

Ryanair ha letteralmente mangiato il mercato che era di Alitalia. E ha potuto farlo per l’inettitudine dei vari soggetti che hanno operato sul dossier dell’azienda. Il resto lo ha fatto il consumatore: viaggia con chi assicura il miglior servizio, prezzo e puntualità. La bocciatura dei dipendenti tiene conto (anche) di questo, sanno benissimo che non c’è spazio per un carrozzone volante, ma chiedono l’impossibile (il mantenimento dei posti – e dei costi - attraverso la trasformazione di Alitalia in un titano dei cieli) e l’esito è drammatico perché l’azionista non vuole mettere più soldi (sa chi li brucerebbe) e lo Stato si trova nel cul de sac delle norme europee (niente aiuti) e della doppia impopolarità: un salvataggio mascherato diventa insostenibile di fronte ai contribuenti; un fallimento e una liquidazione equivalgono a sganciare una bomba all’idrogeno su Roma. Il punto chiave di questa storia – ormai tutta politica – è riassunto in una frase pronunciata qualche giorno fa da una delle fonti del titolare di List, uno che conosce bene questi problemi: “Alitalia è una bomba sociale concentrata su Roma, non la faranno mai fallire”. Avrà ragione lui? I segni di una disperata manovra last minute ci sono tutti, il governo ha davanti un jumbo carico di problemi, le pressioni politiche sono enormi – il Movimento 5 Stelle chiede la nazionalizzazione – lo tsunami demagogico è già in corso e i sindacati non sono in grado di assicurare che non scatti lo sciopero selvaggio. Il titolare di List ha una nota a margine sul taccuino: siamo in pieno ciclo elettorale, si vota. Allacciate le cinture.


25 aprile. John Jay Hopkins fonda la General Dynamics Corporation. È l’azienda proprietaria di una leggenda dell’aviazione, il Gulfstream.
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La nazionalizzazione sarebbe una scelta pessima, pericolosa, e sostanzialmente sbagliata sotto un profilo tanto materiale che morale.


Sono dunque ormai certo che avverrà a brevissimo, probabilmente già in settimana. Ha vinto il marcio, di nuovo. Prima ce ne facciamo una ragione e meglio è.

Effettivamente qualche spiragliuzzo.....qualche vocina a supporto.....inizia a manifestarsi. Speriamo di no....
 
Con il commissario debiti «congelati»

Il “no” dei dipendenti Alitalia al referendum sul piano di crisi apre la strada all’amministrazione straordinaria della compagnia aerea. Si tratta della procedura speciale ricavata dal decreto Marzano del 2003 - che servì a “gestire” il crac Parmalat - e rivista esattamente 9 anni fa proprio per salvare la compagnia di bandiera all’epoca dei “capitani coraggiosi”.

In sostanza al Cda di Alitalia, preso atto della impossibilità di continuare la gestione corrente, spetterebbe ora l’iniziativa di chiedere l’ammissione alla procedura, a cui risponderà a strettissimo giro di posta il Presidente del consiglio dei ministri con un proprio decreto di nomina del commissario. Da quel momento l’azienda entra nell’amministrazione straordinaria, che permette di garantire la continuità aziendale in attesa del risanamento in bonis o comunque di un riequilibrio finanziario - che alla luce dei fatti sembra però davvero difficile ipotizzare. L’alternativa al risanamento, raggiungibile anche ovviamente attraverso la cessione sul mercato degli asset appetibili - la legge consente infatti di spezzettare entro certi limiti le attività e il patrimonio - sarebbe nella malaugurata ipotesi la dichiarazione di insolvenza e subito dopo quella del fallimento.

L’ingresso nell’amministrazione straordinaria ha un effetto protettivo immediato: il commissario può infatti sterilizzare tutti i pagamenti non strettamente necessari all’operatività dell’azienda (questo perchè si tratta di un’attività di interesse nazionale) e concentrarsi sulle spese “inevitabili”, dal carburante alle spese aeroportuali agli stipendi dei dipendenti. Unica eccezione ai debiti “congelati” per legge sono i canoni di leasing sugli aerei - affittati dalla società - che devono essere onorati.

Il riequilibrio di cassa, in questo quadro di tutele e deroghe, diventa un obiettivo più facilmente raggiungibile e anche a brevissimo termine, considerato che larga parte del debito pregresso - e non “funzionale” - può essere lasciato al suo destino (che significa gestito con le normali regole del fallimento e delle altre procedure concorsuali, cioè con un riparto “a scalare” sui crediti aperti).

Una volta riportati i conti in equilibrio - per quanto “drogato” dalla sterilizzazione dei crediti - il commissario in un arco temporale «non eccessivamente lungo» dovrà disegnare due possibile scenari. Il primo, se la ristrutturazione finanziaria funziona, è di procedere al concordato con i vecchi creditori e poi ripartire con rinnovato (quanto improbabile) slancio. Il secondo, più verosimile, è di riportare la gestione in equilibrio per provare a mettere sul mercato - ancora una volta - la società vendendo in sostanza un’azienda “ripulita” o alleggerita dal debito storico, che finirebbe di fatto sul binario agonico della procedura concorsuale.

Il terzo scenario, quello a cui nessuno oggi vorrebbe pensare per evidenti motivi, è il fallimento tout court della società, qualora il commissario si renda conto che l’azienda non è risanabile, non è vendibile e non può più far fronte alle obbligazioni, cioè è insolvente.

Tra i salvataggi, o presunti tali, del passato, si possono trarre alcune indicazioni più o meno utili. Nel crac Parmalat, per esempio, che aveva natura esclusivamente finanziaria, il commissario riuscì a ottenere un margine operativo lordo positivo (la differenza tra costi e ricavi nudi). Nel caso di Alitalia/Cai 2008, invece, la crisi, come probabilmente anche oggi, ha salde radici industriali, e pertanto difficili da miracolare con un semplice intervento di contabilità.

http://www.ilsole24ore.com/art/noti...o-debiti-congelati-231048.shtml?uuid=AE4L6pAB
 

Il terzo scenario, quello a cui nessuno oggi vorrebbe pensare per evidenti motivi, è il fallimento tout court della società, qualora il commissario si renda conto che l’azienda non è risanabile, non è vendibile e non può più far fronte alle obbligazioni, cioè è insolvente.


nessuno? proprio nessuno? io lo vorrei. anzi: lo pretendo, da contribuente incazzato.
 
Forse sarebbe meglio 7 anni di cassa integrazione e di ammortizzatori per tutti a carico dei contribuenti ma che poi sia finita una volta per tutte...
 
Alitalia: M5s, ora commissario super partes a tutela dell’azienda e non delle banche

«Quello che si è consumato ieri è il referendum della liberazione. I dipendenti di Alitalia con un coraggio unico hanno dimostrato che la dignità vale più di ogni
ricatto occupazionale». E' questo il commento dei parlamentari M5S delle commissioni Trasporti e Lavoro di Camera e Senato.

«Hanno rispedito a mittente una proposta vergognosa che altro non rappresentava che l'ennesimo piano di ridimensionamento di Alitalia, causa dei suoi mali, che non avrebbe fatto altro che rinviare i problemi» aggiungono.

«L'appello del governo è stato un boomerang, ancora una volta la richiesta di usare un supposto senso di responsabilità gli si è rivoltata contro come uno schiaffo in faccia. Ora per Alitalia serve un commissario con un profilo super partes» chiedono i grillini .

«Sentiamo nominare persone come il re delle poltrone Enrico Laghi - aggiungono - ancora una volta a tutela degli interessi delle banche e non di quelli aziendali. Dell'azienda che dovrebbe essere la nostra compagnia di bandiera. Le banche devono prestare soldi non fare gli azionisti. I risultati fallimentari delle loro logiche sono sotto gli occhi di tutti. E, purtroppo - concludono i parlamentari - pesano sul destino di 12mila lavoratori e delle loro famiglie».

M5s, shock governo, non può scaricare su cittadini

Nel piano bocciato dai dipendenti Alitalia «di un rilancio effettivo dell'azienda nei mercati che contano (cargo e lungo raggio) non c'era nemmeno l'ombra. I dipendenti Alitalia hanno avuto il coraggio di non farsi ingannare per l'ennesima volta ed è comprensibile lo shock del Governo: adesso come potranno accollare alla collettività con le garanzie pubbliche gli investimenti effettuati dalle banche azioniste e scaricare l'Azienda al nuovo Governo: ossia a noi?».

http://www.ilsole24ore.com/art/noti...ienda-e-non-banche-124949.shtml?uuid=AEZyO3AB
 
Alitalia: M5s, ora commissario super partes a tutela dell’azienda e non delle banche

«Quello che si è consumato ieri è il referendum della liberazione. I dipendenti di Alitalia con un coraggio unico hanno dimostrato che la dignità vale più di ogni
ricatto occupazionale». E' questo il commento dei parlamentari M5S delle commissioni Trasporti e Lavoro di Camera e Senato.

«Hanno rispedito a mittente una proposta vergognosa che altro non rappresentava che l'ennesimo piano di ridimensionamento di Alitalia, causa dei suoi mali, che non avrebbe fatto altro che rinviare i problemi» aggiungono.

«L'appello del governo è stato un boomerang, ancora una volta la richiesta di usare un supposto senso di responsabilità gli si è rivoltata contro come uno schiaffo in faccia. Ora per Alitalia serve un commissario con un profilo super partes» chiedono i grillini .

«Sentiamo nominare persone come il re delle poltrone Enrico Laghi - aggiungono - ancora una volta a tutela degli interessi delle banche e non di quelli aziendali. Dell'azienda che dovrebbe essere la nostra compagnia di bandiera. Le banche devono prestare soldi non fare gli azionisti. I risultati fallimentari delle loro logiche sono sotto gli occhi di tutti. E, purtroppo - concludono i parlamentari - pesano sul destino di 12mila lavoratori e delle loro famiglie».

M5s, shock governo, non può scaricare su cittadini

Nel piano bocciato dai dipendenti Alitalia «di un rilancio effettivo dell'azienda nei mercati che contano (cargo e lungo raggio) non c'era nemmeno l'ombra. I dipendenti Alitalia hanno avuto il coraggio di non farsi ingannare per l'ennesima volta ed è comprensibile lo shock del Governo: adesso come potranno accollare alla collettività con le garanzie pubbliche gli investimenti effettuati dalle banche azioniste e scaricare l'Azienda al nuovo Governo: ossia a noi?».

http://www.ilsole24ore.com/art/noti...ienda-e-non-banche-124949.shtml?uuid=AEZyO3AB

E' lo stesso linguaggio, la stessa narrativa che abbiamo visto ripetere da qualche demente anche qui su AC e più in generale nei più sfigati angoli del web.
 
+++ #Alitalia Cda: salta ricapitalizzazione, assemblea il 27 per avviare procedure di legge

Marco Di Fonzo su Twitter.

Qualcuno mi può spiegare quindi che succede?
 
Stato
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