C hi l’avrebbe mai detto. Resiste anche nei momenti di crisi acuta come questo il mito atavico del “posto in banca”. Cullati e coccolati soprattutto tra gli anni Sessanta e Novanta con stipendi più che generosi e con la garanzia di un impiego a vita, i dipendenti degli istituti di credito scoprono adesso, nel momento del bisogno – ovvero quando partirà l’esodo biblico di almeno 25 mila tra di loro considerati in eccesso – che con l’aiuto delle stesse banche e dello Stato non finiranno nel calderone della cassa integrazione e dei licenziamenti. Per tutti continuerà a esserci la garanzia di conservare, se non il posto, almeno l’80-85 per cento dell’ultimo stipendio. Condizioni munifiche, che qualsiasi lavoratore che sta per essere allontanato dall’azienda in cui lavora (benché volontariamente perché qui non ci sarà nessun obbligo) vorrebbe avere. Il conto, però, sarà salato. I calcoli sono semplici: gli esuberi sono, come ha quantificato la Fabi, la principale organizzazione dei bancari, 25 mila da qui al 2021. In media, nei precedenti prepensionamenti, ogni bancario ha avuto un contributo di circa 60 mila euro per 3,5 anni, sempre medi. Sono stati spesi finora, quindi (arrotondando per difetto e per comodità) non meno di 200 mila euro a persona per accompagnare ogni dipendente alla pensione anticipata. 200 mila x 25mila fa 5 miliardi. Una cifra non irrilevante. «Anche perché - come spiega Eliano
Omar Lodesani, presidente del Casl, il Comitato affari sindacali e del lavoro dell’Abi – gli istituti di credito, nel momento in cui sottoscrivono un accordo con i sindacati per gli esuberi devono immediatamente accantonare tutto il costo futuro. Così, infatti, prescrivono le severe regole Ias di contabilità internazionale delle banche». In altre parole: le banche sono in difficoltà e vogliono snellirsi risparmiando sul costo del lavoro. Ma per farlo devono sborsare anticipatamente quasi tutti i soldi. Per qualche istituto, questo potrebbe essere un circolo vizioso, e non è escluso che possa essere richiesto ancora un intervento dello Stato. Del resto, lo Stato è già intervenuto. Ha predisposto ben 658 milioni con la Legge di Stabilità. È la prima volta che lo Stato interviene per rimpinguare il Fondo esuberi, un meccanismo mutualistico creato nel 2000 dagli stessi istituti di credito, con il contributo dei lavoratori, per accompagnare alla pensione anticipata i dipendenti considerati ridondanti. «Negli ultimi dieci anni - ricorda Lando Sileoni, segretario generale della Fabi, il più forte sindacato di categoria con circa 100 mila iscritti su 300 mila bancari in tutto il Fondo ha accompagnato al prepensionamento ben 40 mila dipendenti. Le ristrutturazioni saranno così gestite in maniera morbida, senza scontri sociali». E così si continuerà anche nei prossimi anni, nonostante la grave crisi del sistema bancario in atto e il raddoppio di fatto dei dipendenti in uscita: i 25 mila bancari in esubero saranno concentrati soprattutto nel 2017 e 2018 e 2019, quindi circa 8 mila all’anno contro i 4 mila degli ultimi 10 anni. Lo Stato sarà chiamato a svolgere la sua parte non soltanto per aiutare il sistema a liberarsi del personale in eccesso, ma dovrà mettere mano al portafoglio in quanto azionista di maggioranza del Monte dei Paschi dopo il prossimo aumento di capitale e forse anche di altri istituti, come Bpvi e Veneto Banca, che potrebbero finire nell’orbita pubblica. Un bell’impegno economico, visto che la decisione di non effettuare licenziamenti è in qualche modo già stata presa. «Lo Stato – spiega Pier Paolo Baretta, sottosegretario al ministero dell’Economia – non può pensare di accrescere le tensioni sociali. Valuteremo caso per caso sulla base dei piani industriali, ma il principio di fondo, per noi, è che non ci possono essere licenziamenti. Certo, le banche devono provvedere prima di tutto con le proprie risorse, ma lo Stato farà la sua parte». L’aiuto dello Stato è stato ottenuto dalle banche perché hanno ricordato al governo che loro hanno versato nelle casse pubbliche circa 200 milioni all’anno per la cassa integrazione, di cui non hanno mai usufruito, anche nelle crisi peggiori. Già, perché nessuna banca ha mai osato dichiarare lo stato di crisi, un evento che avrebbe avuto immediati contraccolpi sulla propria credibilità. In conclusione: «Le banche – dice Lodesani - hanno dato al sistema pubblico degli ammortizzatori sociali cica 10 miliardi dagli anni 60 in poi e questa è la prima volta che lo Stato restituisce loro parte di quanto versato”. Ma, come si vede chiaramente, 658 milioni, insieme ai 160 che sono già in cassa del Fondo esuberi, sono ben lontani dai circa 5 miliardi necessari sulla carta. “E forse anche di più – sostiene Sileoni – perché le nostre stime dei 25 mila dipendenti in esubero riguardano soltanto i casi noti finora e non tengono conto di eventuali future fusioni. Per questo, e per il fatto che i soldi sono pochi rispetto alle necessità, credo che il governo debba considerare di mettere altri fondi per mettere al riparo il sistema bancario prima che Draghi termini il suo mandato alla Bce».
Debbo continuare?...