Ho scritto l'introduzione di questo TR.
Poi l'ho cancellata.
E ne ho scritto un'altra versione.
Dopodiché ho cancellato pure quella.
E ne ho scritta un'altra.
Febbraio è bassa stagione.
I prezzi per volare sono sempre stati parecchio bassi per andare negli USA. Se poi aggiungiamo anche il fatto che a una festa di compleanno a New York non si dice mai di no, ecco che in meno di cinque minuti mi ritrovo su matrix a cercare i voli.
Però:
- Devo essere a New York in serata. O meglio, potrei anche arrivare in giornata come faccio di solito, ma non avrebbe senso perché non saprei dove andare e soprattutto, non ho assolutamente voglia di alzarmi presto.
- I 744 stanno sparendo. Air France ne ha dato l'addio, Delta ne ha seccati un altro paio sui voli dagli USA all'Europa, con BA e LH ho un buon rapporto ma non mi fanno guadagnare le miglia che mi servono. Quindi KLM.
- Ovviamente, AZ ha i codeshare solo via CDG. E altrettanto ovviamente, facciamo fare un po' di revenue a DL.
- Il volo per JFK operato col 744 si sposa perfettamente con quello che voglio fare: forse sarà la volta buona che non morirò di fuso orario.
- Il ritorno non conta, in qualche modo dopo aver preso un treno da New York a Washington, in Italia ci si torna.
Ho in mano le ricevute dei biglietti quando il mio capo mi guarda storto. Ha già capito che sto per chiedergli una settimana di congedo.
Che gentilmente («Potresti portarmi qualcosa ogni tanto però!») mi ha concesso.
Ogni tanto i miei colleghi con cui viaggio quel giorno mi chiedono come io faccia ad andare negli USA così spesso, dove trovi i giorni di ferie (Ogni tanto me lo chiedo anche io), come faccio con la lingua (Stendiamo un velo pietoso), come faccia a non annoiarmi sull'aereo (Vero, mi stupisco di me stesso) e soprattutto, come faccio a spendere così poco (I prezzi non li decido io, è il mercato bellezza).
Insomma, mi sveglio una mattina, la valigia è già pronta, e salgo in macchina.
Il mio autista privato (mia sorella) mi aspetta.
Ho sempre avuto un ottimo rapporto con mia sorella.
Non ci siamo parlati per vent'anni nonostante vivessimo a una parete di distanza, fino a quando interrompendo il silenzio mi ha chiesto se potessi farle da testimone al suo matrimonio.
Le dissi di no.
E intanto già avevo tirato fuori giaccia, camicia e cravatta.
Il succo del discorso qual è? Che la macchina è la mia, ma sta guidando lei. Io voglio fare la circonvalla, e lei la tangenziale.
Non so come abbiamo fatto, ho chiuso gli occhi per un po' (Donna al volante, carrozziere esultante?) e in qualche modo mi ritrovo a Linate.
Agli arrivi.
«Ti sembro una persona che sta partendo o una persona che sta arrivando?» le chiedo.
«A me basta che te ne vai e mi porti quello che ti ho chiesto» mi disse.
Linate fa schifo.
Innanzitutto non vedi gli aerei, e già questo in un aeroporto non ha senso.
Poi vedi questo mix di businessman che corrono a destra e sinistra come se fossero sempre di fretta (e se lo fossero veramente?) e viaggiatori vacanzieri che approfittando di U2 riescono ad andare a farsi un giro in Europa (ma chi cazz ci va in ferie a Febbraio? Ah già, io sono in ferie adesso).
Vado a mollare il bagaglio.
Arrivo davanti a una gentile signorina (lo era davvero gentile, non è una battuta) quando mi rendo conto che un cinese in coda al banco accanto al mio mi sta guardando con uno sguardo assassino.
Ne ignoro tutt'oggi il motivo, ma penso avesse a che fare con lo SkyPriority. Nel dubbio, constato che la mia valigia se ne è andata (12kg di roba per una settimana, ed è inverno, probabilmente in estate scenderò sotto i 7kg) e che ho due carte di imbarco in mano.
Finalmente posso partire.
Sono quasi le 12 e sto morendo di fame.
Le due brioches della sera prima sono solo un ricordo, e la colazione è un'eterea visione mistica.
Decido di andare in Lounge, ho bisogno di un caffè italiano prima di realizzare che per una settimana non potrò averne diritto.
Voi americani avrete molti pregi, ma sul cibo non ci siamo proprio.
Ah si, la lounge.
Il buffet è desolatamente deserto. Di cibo più complesso neanche a parlarne, mi nutro di pizzette e tartine (Forse dovrei fare bella figura) alla 'If there was no tomorrow' e disquisisco con la gentile signora (anche questa gentile per davvero) al bancone sul fatto se sia più opportuno, all'alba delle 12:30 dire 'Buongiorno' o 'Buonasera'.
Io nel dubbio dico sempre buongiorno, se poi dal lavoro mi chiamano alle 23 chiedendomi dove diavolo sia perché «C'è da fare un treno, dove *** sei?» io rispondo sempre con buongiorno.
Ah, l'aereo.
Ho provato a imbarcarmi tra i primi, e ovviamente sono arrivato tra gli ultimi.
Il problema è che ho il posto finestrino, e la signora al posto corridoio sta russando.
Una ragazzina, minuta, bionda, con due occhi azzurri KLM (questo l'avrei scoperto successivamente, ma vabbè) sta russando.
Come fa una corpo così piccolo a emettere tutto quel rumore? («chiediti come fa il tuo gatto a fare così tanta cacca, e avrai la risposta» disse la mia coscienza).
Insomma, in qualche modo scavalco la malcapitata, riesco a contorcermi e a sedermi, e a realizzare che il libro che volevo leggere è nello zaino.
Lo zaino è nella cappelliera.
Porc...
Ci pushano in netto anticipo, e pascoliamo.
Linate fa sempre più schifo, però guardare i bambini accompagnati dai nonni che ti salutano dalla rete (no, in realtà non stanno salutando me, però mi piace pensarlo) hanno sempre il loro fascino.
Guardo il cimitero di Canzo e mi chiedo se ai morti venga voglia di farsi un viaggio ogni tanto, o se siano semplicemente infastiditi dal rumore degli aerei che passano.
Ci allineiamo sulla solita 36, e mi rendo conto che sto cercando inconsciamente delle monetine in tasca.
Stacchiamo e guardo Milano.
Guardo in basso, e vedo passare un treno che pigramente affronta le turbodeviate di Bivio Lambro. Controllo l'ora.
Era il mio treno.
Guardo Milano Centrale, e dietro i grattacieli di Garibaldi.
Mi chiedo ogni tanto quale sia l'identità di Milano, il problema è che probabilmente è coperta da una cappa di smog e non riesco a vederla. Sia la città che l'identità, naturalmente.
Passiamo sopra Expo, e puntiamo alle Alpi.
Finalmente (Ancora?!) cibo.
Dopo le Alpi passiamo su quello che penso sia un pezzo di Francia.
Non è che i francesi mi stiano antipatici, ma è una sorta di odio viscerale come tra Milan e Inter, come i newyorkesi vedono chi abita nel New Jersey, e cose del genere insomma.
Dalla fila dietro sento provenire lodi sperticate sulla Francia e sui suoi fantastici paesaggi.
Penso che oltre a un vino con le bolle e quattro formaggi, ora potranno anche ritrovarsi un viaggiatore del cielo spantegato su uno di quei paesaggi dopo aver rievocato in chiave moderna la Defenestrazione di Praga.
Atterriamo in una Amsterdam nebulosa e piovosa, ovviamente a casa di Dio.
Nel buon quarto d'ora di taxi, si nota che al pseudo 747 per le esercitazioni c'è una bella fiammata. La bionda russante (che non ha smesso di russare se non quando abbiamo centrato la pista) si sveglia e lo nota.
Vaglielo a spiegare in olandese che è tutto calcolato.
Ci fermiamo, e le hostess ci ricordano che non è ancora il caso di alzarsi.
Uno si alza e apre una cappelliera. Uno zaino parte in quarta e gli cade in testa.
È il karma ragazzo mio, solo e semplice karma.
Di Amsterdam mi ricordo che si cammina un sacco.
Non so se più o meno rispetto ad altri aeroporti, ma forse è una sensazione.
La legge dei grandi numeri è dalla mia, e ovviamente ci mollano al gate più lontano possibile.
Cerco di capire dove sia il mio aereo, e mi imbatto nelle macchinette self service.
KLM mi propone un upgrade in business a 700€.
Ci accordiamo e decido di dargliene 80€, però per la Premium Economy.
Il sedile non si piegherà tanto, ma se ciò che dice seatguru è vero, le mie gambe non avranno neanche da toccare.
Ho fame e sete.
Mi serve una birra e qualcosa da mangiare.
E mi serve una lounge.
Ah, la lounge.
Mi guardo intorno e mi rendo conto di essere il più giovane, al netto di genitori con figli (Sono più giovani, ma non vale)
Un paio di signori anzianotti mi guardano come a cercare di capire chi sia questo personaggio che va a turbare la quiete tranquilla e pacifica di quest'oasi di pace.
Non avete mai visto qualcuno entrare in una lounge?
La morale della favola è che dopo cinque minuti sono comodamente sdraiato a osservare il brulichio di aerei muoversi come delle pedine su una scacchiera.
La differenza è che non cercando di mangiarsi a vicenda, e soprattutto, se c'è un Re al quale dare scacco, ancora non l'ho bene identificato.
Passo un'ora buona a meditare sul nulla, e poi decido di avviarmi al gate.
Non so perché ma mezza sala segue il mio esempio, intasando la scala mobile che ti riporta dall'Olimpo (secondo la definizione della bimba accanto a me) all'Inferno (questa definizione invece è mia).
Il 747 che mi aspetta oggi è un Combi.
Il posto è il 9B.
Imbarchiamo perfettamente in orario, e ci sdraiamo.
Ho così tanto spazio per le gambe che seriamente - non ci contavo - le mie gambe non toccano il sedile per le hostess che è davanti a me.
Osservo i miei compagni di viaggio: la mia vicina del 9A, profondamente in coma (o vi impasticcate o riuscite a dormire a comando, se è la seconda per favore ditemi come si fa) sembra una contorsionista per via della sporgenza della porta di emergenza perfettamente davanti a noi.
Il mio vicino del 9C sembra che sia appena uscito da un incontro di pugilato, tatuaggi e piercing come se piovesse e quello che sembra un occhio nero. Si guarda intorno finché mi nota e mi chiede se anche stia andando a New York.
Sembriamo quasi pronti, e l'aereo si spegne.
Del tutto.
A quanto pare c'è un qualquadra che non cosa sulla luci.
«Sorry, we have had a little problem».
Dopo un po' di minuti, dalla 1L entra l'uomo della salvezza.
Tuta blu, si guarda intorno, e si sdraia per terra. Apre una botola e sparisce.
Si riaccendono le luci, e lui riemerge, candido e sorridente (forse è vero che i nordici sono sempre così contenti quando piove?)
«Problem solved» e se ne va.
Al suo posto, il pinguino di Linux sui monitor ci ricorda che Windows non esiste su questo aereo.
Ci allontaniamo, con un po' di ritardo, e ce ne andiamo.
Superiamo le nuvole, e puntiamo l'oceano.
E prima che la mia vicina del 9A, implacabile, faccia scendere la tendina, faccio in tempo a godermi quello che mi han detto si chiami 'il tramonto più lungo del mondo'.
Beh, è vero.
Riesco a crollare dopo il servizio.
Forse il fatto che per il mio corpo sia quasi ora di andare a letto è sicuramente di aiuto, la posizione da poco-ci-manca-che-cado-per-terra fa la sua parte e Spotify mi aiuta a decedere.
Mi risveglio che siamo sopra il Canada.
Ne approfitto per parlare col mio vicino del 9C: dopo tre anni in un qualche posto in Asia a fare qualcosa che non ho ben capito (di certo so che non mi sembrava troppo legale) torna per la prima volta in America a trovare sua madre rimasta sola.
Non ha ancora capito perché se ne sia andato e perché stia tornando, però secondo lui tanto vale fare quello che ci piace fare, per tutto il resto c'è una soluzione. O c'è MasterCard.
Tocchiamo terra, e Manhattan ci saluta in sottofondo.
La mia vicina del 9A guarda fuori, guarda me, guarda la hostess, e guarda fuori. E scoppia a piangere a dirotto.
(Ma con chi *** ho viaggiato?).
Attracchiamo al T4, e stranamente riposato, arrivo davanti all'ufficiale dell'Immigration.
Sbaglio clamorosamente la prima domanda.
Ne seguono ulteriori 15, serrate.
Mi timbrano e me ne vado.
La mia valigia è sopravvissuta al viaggio.
Vado in bagno e mi guardo allo specchio: ho due occhiaie che fanno paura (Quello è il lavoro, mica il viaggio), una faccia sconvolta e la consapevolezza che dovrò fare le ore piccole.
Muoio di freddo ad aspettare la subway e sbuco a Manhattan.
Mi sei mancata, sai?
(Giuro, continua..)
Poi l'ho cancellata.
E ne ho scritto un'altra versione.
Dopodiché ho cancellato pure quella.
E ne ho scritta un'altra.
Febbraio è bassa stagione.
I prezzi per volare sono sempre stati parecchio bassi per andare negli USA. Se poi aggiungiamo anche il fatto che a una festa di compleanno a New York non si dice mai di no, ecco che in meno di cinque minuti mi ritrovo su matrix a cercare i voli.
Però:
- Devo essere a New York in serata. O meglio, potrei anche arrivare in giornata come faccio di solito, ma non avrebbe senso perché non saprei dove andare e soprattutto, non ho assolutamente voglia di alzarmi presto.
- I 744 stanno sparendo. Air France ne ha dato l'addio, Delta ne ha seccati un altro paio sui voli dagli USA all'Europa, con BA e LH ho un buon rapporto ma non mi fanno guadagnare le miglia che mi servono. Quindi KLM.
- Ovviamente, AZ ha i codeshare solo via CDG. E altrettanto ovviamente, facciamo fare un po' di revenue a DL.
- Il volo per JFK operato col 744 si sposa perfettamente con quello che voglio fare: forse sarà la volta buona che non morirò di fuso orario.
- Il ritorno non conta, in qualche modo dopo aver preso un treno da New York a Washington, in Italia ci si torna.
Ho in mano le ricevute dei biglietti quando il mio capo mi guarda storto. Ha già capito che sto per chiedergli una settimana di congedo.
Che gentilmente («Potresti portarmi qualcosa ogni tanto però!») mi ha concesso.
Ogni tanto i miei colleghi con cui viaggio quel giorno mi chiedono come io faccia ad andare negli USA così spesso, dove trovi i giorni di ferie (Ogni tanto me lo chiedo anche io), come faccio con la lingua (Stendiamo un velo pietoso), come faccia a non annoiarmi sull'aereo (Vero, mi stupisco di me stesso) e soprattutto, come faccio a spendere così poco (I prezzi non li decido io, è il mercato bellezza).
Insomma, mi sveglio una mattina, la valigia è già pronta, e salgo in macchina.
Il mio autista privato (mia sorella) mi aspetta.
Ho sempre avuto un ottimo rapporto con mia sorella.
Non ci siamo parlati per vent'anni nonostante vivessimo a una parete di distanza, fino a quando interrompendo il silenzio mi ha chiesto se potessi farle da testimone al suo matrimonio.
Le dissi di no.
E intanto già avevo tirato fuori giaccia, camicia e cravatta.
Il succo del discorso qual è? Che la macchina è la mia, ma sta guidando lei. Io voglio fare la circonvalla, e lei la tangenziale.
Non so come abbiamo fatto, ho chiuso gli occhi per un po' (Donna al volante, carrozziere esultante?) e in qualche modo mi ritrovo a Linate.
Agli arrivi.
«Ti sembro una persona che sta partendo o una persona che sta arrivando?» le chiedo.
«A me basta che te ne vai e mi porti quello che ti ho chiesto» mi disse.
Linate fa schifo.
Innanzitutto non vedi gli aerei, e già questo in un aeroporto non ha senso.
Poi vedi questo mix di businessman che corrono a destra e sinistra come se fossero sempre di fretta (e se lo fossero veramente?) e viaggiatori vacanzieri che approfittando di U2 riescono ad andare a farsi un giro in Europa (ma chi cazz ci va in ferie a Febbraio? Ah già, io sono in ferie adesso).
Vado a mollare il bagaglio.
Arrivo davanti a una gentile signorina (lo era davvero gentile, non è una battuta) quando mi rendo conto che un cinese in coda al banco accanto al mio mi sta guardando con uno sguardo assassino.
Ne ignoro tutt'oggi il motivo, ma penso avesse a che fare con lo SkyPriority. Nel dubbio, constato che la mia valigia se ne è andata (12kg di roba per una settimana, ed è inverno, probabilmente in estate scenderò sotto i 7kg) e che ho due carte di imbarco in mano.
Finalmente posso partire.
Sono quasi le 12 e sto morendo di fame.
Le due brioches della sera prima sono solo un ricordo, e la colazione è un'eterea visione mistica.
Decido di andare in Lounge, ho bisogno di un caffè italiano prima di realizzare che per una settimana non potrò averne diritto.
Voi americani avrete molti pregi, ma sul cibo non ci siamo proprio.
Ah si, la lounge.
Il buffet è desolatamente deserto. Di cibo più complesso neanche a parlarne, mi nutro di pizzette e tartine (Forse dovrei fare bella figura) alla 'If there was no tomorrow' e disquisisco con la gentile signora (anche questa gentile per davvero) al bancone sul fatto se sia più opportuno, all'alba delle 12:30 dire 'Buongiorno' o 'Buonasera'.
Io nel dubbio dico sempre buongiorno, se poi dal lavoro mi chiamano alle 23 chiedendomi dove diavolo sia perché «C'è da fare un treno, dove *** sei?» io rispondo sempre con buongiorno.
Ah, l'aereo.
Ho provato a imbarcarmi tra i primi, e ovviamente sono arrivato tra gli ultimi.
Il problema è che ho il posto finestrino, e la signora al posto corridoio sta russando.
Una ragazzina, minuta, bionda, con due occhi azzurri KLM (questo l'avrei scoperto successivamente, ma vabbè) sta russando.
Come fa una corpo così piccolo a emettere tutto quel rumore? («chiediti come fa il tuo gatto a fare così tanta cacca, e avrai la risposta» disse la mia coscienza).
Insomma, in qualche modo scavalco la malcapitata, riesco a contorcermi e a sedermi, e a realizzare che il libro che volevo leggere è nello zaino.
Lo zaino è nella cappelliera.
Porc...
Ci pushano in netto anticipo, e pascoliamo.
Linate fa sempre più schifo, però guardare i bambini accompagnati dai nonni che ti salutano dalla rete (no, in realtà non stanno salutando me, però mi piace pensarlo) hanno sempre il loro fascino.
Guardo il cimitero di Canzo e mi chiedo se ai morti venga voglia di farsi un viaggio ogni tanto, o se siano semplicemente infastiditi dal rumore degli aerei che passano.
Ci allineiamo sulla solita 36, e mi rendo conto che sto cercando inconsciamente delle monetine in tasca.
Stacchiamo e guardo Milano.
Guardo in basso, e vedo passare un treno che pigramente affronta le turbodeviate di Bivio Lambro. Controllo l'ora.
Era il mio treno.
Guardo Milano Centrale, e dietro i grattacieli di Garibaldi.
Mi chiedo ogni tanto quale sia l'identità di Milano, il problema è che probabilmente è coperta da una cappa di smog e non riesco a vederla. Sia la città che l'identità, naturalmente.
Passiamo sopra Expo, e puntiamo alle Alpi.
Finalmente (Ancora?!) cibo.
Dopo le Alpi passiamo su quello che penso sia un pezzo di Francia.
Non è che i francesi mi stiano antipatici, ma è una sorta di odio viscerale come tra Milan e Inter, come i newyorkesi vedono chi abita nel New Jersey, e cose del genere insomma.
Dalla fila dietro sento provenire lodi sperticate sulla Francia e sui suoi fantastici paesaggi.
Penso che oltre a un vino con le bolle e quattro formaggi, ora potranno anche ritrovarsi un viaggiatore del cielo spantegato su uno di quei paesaggi dopo aver rievocato in chiave moderna la Defenestrazione di Praga.
Atterriamo in una Amsterdam nebulosa e piovosa, ovviamente a casa di Dio.
Nel buon quarto d'ora di taxi, si nota che al pseudo 747 per le esercitazioni c'è una bella fiammata. La bionda russante (che non ha smesso di russare se non quando abbiamo centrato la pista) si sveglia e lo nota.
Vaglielo a spiegare in olandese che è tutto calcolato.
Ci fermiamo, e le hostess ci ricordano che non è ancora il caso di alzarsi.
Uno si alza e apre una cappelliera. Uno zaino parte in quarta e gli cade in testa.
È il karma ragazzo mio, solo e semplice karma.
Di Amsterdam mi ricordo che si cammina un sacco.
Non so se più o meno rispetto ad altri aeroporti, ma forse è una sensazione.
La legge dei grandi numeri è dalla mia, e ovviamente ci mollano al gate più lontano possibile.
Cerco di capire dove sia il mio aereo, e mi imbatto nelle macchinette self service.
KLM mi propone un upgrade in business a 700€.
Ci accordiamo e decido di dargliene 80€, però per la Premium Economy.
Il sedile non si piegherà tanto, ma se ciò che dice seatguru è vero, le mie gambe non avranno neanche da toccare.
Ho fame e sete.
Mi serve una birra e qualcosa da mangiare.
E mi serve una lounge.
Ah, la lounge.
Mi guardo intorno e mi rendo conto di essere il più giovane, al netto di genitori con figli (Sono più giovani, ma non vale)
Un paio di signori anzianotti mi guardano come a cercare di capire chi sia questo personaggio che va a turbare la quiete tranquilla e pacifica di quest'oasi di pace.
Non avete mai visto qualcuno entrare in una lounge?
La morale della favola è che dopo cinque minuti sono comodamente sdraiato a osservare il brulichio di aerei muoversi come delle pedine su una scacchiera.
La differenza è che non cercando di mangiarsi a vicenda, e soprattutto, se c'è un Re al quale dare scacco, ancora non l'ho bene identificato.
Passo un'ora buona a meditare sul nulla, e poi decido di avviarmi al gate.
Non so perché ma mezza sala segue il mio esempio, intasando la scala mobile che ti riporta dall'Olimpo (secondo la definizione della bimba accanto a me) all'Inferno (questa definizione invece è mia).
Il 747 che mi aspetta oggi è un Combi.
Il posto è il 9B.
Imbarchiamo perfettamente in orario, e ci sdraiamo.
Ho così tanto spazio per le gambe che seriamente - non ci contavo - le mie gambe non toccano il sedile per le hostess che è davanti a me.
Osservo i miei compagni di viaggio: la mia vicina del 9A, profondamente in coma (o vi impasticcate o riuscite a dormire a comando, se è la seconda per favore ditemi come si fa) sembra una contorsionista per via della sporgenza della porta di emergenza perfettamente davanti a noi.
Il mio vicino del 9C sembra che sia appena uscito da un incontro di pugilato, tatuaggi e piercing come se piovesse e quello che sembra un occhio nero. Si guarda intorno finché mi nota e mi chiede se anche stia andando a New York.
Sembriamo quasi pronti, e l'aereo si spegne.
Del tutto.
A quanto pare c'è un qualquadra che non cosa sulla luci.
«Sorry, we have had a little problem».
Dopo un po' di minuti, dalla 1L entra l'uomo della salvezza.
Tuta blu, si guarda intorno, e si sdraia per terra. Apre una botola e sparisce.
Si riaccendono le luci, e lui riemerge, candido e sorridente (forse è vero che i nordici sono sempre così contenti quando piove?)
«Problem solved» e se ne va.
Al suo posto, il pinguino di Linux sui monitor ci ricorda che Windows non esiste su questo aereo.
Ci allontaniamo, con un po' di ritardo, e ce ne andiamo.
Superiamo le nuvole, e puntiamo l'oceano.
E prima che la mia vicina del 9A, implacabile, faccia scendere la tendina, faccio in tempo a godermi quello che mi han detto si chiami 'il tramonto più lungo del mondo'.
Beh, è vero.
Riesco a crollare dopo il servizio.
Forse il fatto che per il mio corpo sia quasi ora di andare a letto è sicuramente di aiuto, la posizione da poco-ci-manca-che-cado-per-terra fa la sua parte e Spotify mi aiuta a decedere.
Mi risveglio che siamo sopra il Canada.
Ne approfitto per parlare col mio vicino del 9C: dopo tre anni in un qualche posto in Asia a fare qualcosa che non ho ben capito (di certo so che non mi sembrava troppo legale) torna per la prima volta in America a trovare sua madre rimasta sola.
Non ha ancora capito perché se ne sia andato e perché stia tornando, però secondo lui tanto vale fare quello che ci piace fare, per tutto il resto c'è una soluzione. O c'è MasterCard.
Tocchiamo terra, e Manhattan ci saluta in sottofondo.
La mia vicina del 9A guarda fuori, guarda me, guarda la hostess, e guarda fuori. E scoppia a piangere a dirotto.
(Ma con chi *** ho viaggiato?).
Attracchiamo al T4, e stranamente riposato, arrivo davanti all'ufficiale dell'Immigration.
Sbaglio clamorosamente la prima domanda.
Ne seguono ulteriori 15, serrate.
Mi timbrano e me ne vado.
La mia valigia è sopravvissuta al viaggio.
Vado in bagno e mi guardo allo specchio: ho due occhiaie che fanno paura (Quello è il lavoro, mica il viaggio), una faccia sconvolta e la consapevolezza che dovrò fare le ore piccole.
Muoio di freddo ad aspettare la subway e sbuco a Manhattan.
Mi sei mancata, sai?
(Giuro, continua..)