a proposito di sole delle alpi e fazzoletti verdi
Lega: un partito a vocazione demagogica
di Maurizio Griffo
31 Ottobre 2014
Da un po’ in qua si sente parlare nuovamente della Lega. Non solo ha rinnovato la leadership, giubilando definitivamente Bossi, ma ha cambiato anche linea politica. Abbandonato del tutto il separatismo, messa largamente la sordina anche alla litania federalista, ora il partito guidato da Matteo Salvini sembra aver sposato una linea che si può definire nazional-protestataria. Un partito deciso a cavalcare l’antieuropeismo, che la cattiva governance di Bruxelles e l’infinita crisi economica rendono popolare, e a fare il verso a Marine Le Pen, in chiave di orgoglio italiano.
Come giudicare questa nuovo corso? Per tentare di capirlo non serve molto tenere d’occhio i sondaggi, che danno la Lega in crescita, mentre è forse più utile guardare il passato per capire qual è stato il contributo che il leghismo ha dato alla vita politica italiana.
Anzitutto va chiarito un primo aspetto. La Lega non è un partito nuovo, non nasce con la cosiddetta seconda repubblica. Al contrario è un partito vecchio, formatosi ai margini dell’Italia repubblicana. Esso raggruppa residuali enclaves autonomiste che vengono improvvisamente alla ribalta tra il 1992 e il 1993, quando, dopo la fine della guerra fredda, il sistema politico vive una drammatica crisi di legittimazione.
Entrati in parlamento nel 1992, sfruttando la rivolta fiscale dei ceti produttivi settentrionali, due anni dopo Bossi e soci si ritrovano catapultati al governo grazie all’alleanza di centro-destra promossa da Berlusconi. In quella fase, temendo che una politica liberalizzatrice fatta da un governo di legislatura potesse erodere i consensi leghisti a scapito di Forza Italia, aprono la crisi che porta al ribaltone. Un colpo di mano in perfetto stile da palazzo romano, giocata di sponda con la presidenza della repubblica, che li rassicura sul punto cruciale: non ci saranno elezioni anticipate.
Questo miscuglio di protesta demagogico-corporativa e di manovra consociativa tipo prima repubblica sarà una costante dell’atteggiamento leghista nei lustri a venire.
La Lega è sempre stata recisa avversaria di qualunque semplificazione del formato partitico, sia rifiutando l’ipotesi del partito unico di centro destra, sia boicottando i referendum maggioritari sulle leggi elettorali (quello Segni del 1999 e quello Guzzetta di dieci anni dopo). Dal punto di vista delle politiche pubbliche, poi, i leghisti hanno costantemente avversato ogni seria politica di liberalizzazione, non peritandosi di caricare le finanze pubbliche con scelte costose di corto respiro (il presunto hub di Malpensa, il "salvataggio" di Alitalia).
Più in generale, poi, con la parola d’ordine del federalismo, declinata in tutte le tonalità, hanno condizionato negativamente l’agenda politica per un lungo periodo. Così il centro sinistra, nell’illusione di svuotare il bacino elettorale leghista varò, nel 2001 la improvvida riforma del titolo quinto della costituzione, dando maggiori poteri alle regioni e diminuendo i controlli. In sintesi, grazie all’egemonia leghista l’Italia ha indebolito il sistema paese in una fase in cui sarebbe stato essenziale rafforzarlo per affrontare adeguatamente le sfide del mondo post bipolare e l’impatto economico della globalizzazione.
Riguardando questo curriculum rovinoso si possono trovare elementi per giudicare a ragion veduta anche la scelte compiute da Salvini. Tempo fa un politologo autorevole come Angelo Panebianco ha parlato della Lega come di un sindacato territoriale aggressivo. Adesso, dopo la svolta nazionale di impressa dal nuovo segretario, è possibile rimodulare in senso ulteriormente negativo questo giudizio. La Lega si può definire come un partito a fortissima vocazione demagogica il cui scopo ultimo non è neanche il presidio corporativo di istanze localistiche, ma solo il mantenimento di un ceto politico. Un ceto politico che (dato il forte quoziente identitario che lo caratterizza) non si può riconvertire in chiave trasformistica, ma deve escogitare nuove formule politiche per assicurarsi la sopravvivenza.
http://www.loccidentale.it/node/135651