I misteri della Cina
Scritto da Opinioni e contributi Il 15 Febbraio 2013 @ 00:51 Nella sezione Analisi
di Antonio Bordoni
Nell’anno fiscale 2011 i costi del personale Alitalia (oneri sociali inclusi) sono ammontati a 709.162.000 euro, che rapportati alla forza lavoro di 13.730 unità comportano un costo annuo medio per dipendente di 51.650 euro. Nello stesso anno la compagnia Air China ha avuto costi del personale pari a 1.266.459.000 euro che rapportati alla loro forza lavoro di 24.474 dipendenti fa in media 59.919 euro di costo pro capite. Quindi in base alle cifre degli ultimi bilanci disponibili un dipendente Alitalia costa in media 8.000 euro annue in meno rispetto al dipendente di China Airlines. Sia la compagnia cinese sia Alitalia operano con aeromobili Airbus A330.
Malgrado ciò Air China mantiene attivi 10 collegamenti settimanali dall’Italia su Pechino, tre da Milano e sette da Roma. Alitalia, che ne aveva 4 settimanali, ha intenzione di chiuderli dal prossimo 5 marzo perché, da quel che è dato apprendere, il collegamento è troppo costoso.
Un’offerta di 10 voli settimanali non è cosa di poco conto e presuppone un traffico consistente fra i due Paesi in oggetto che normalmente dovrebbe interessare in reciprocità i vettori delle due parti. Ricordando inoltre che le tariffe offerte da Air China non si possono discostare per ovvii motivi da quelle offerte dai suoi concorrenti, una delle possibili spiegazioni che possiamo fornire a quello che sembra un paradosso è data dal fattore "mix" . Chi opera nell’industria aerea commerciale si è sempre avvalso della compensazione fra settori ovverosia trarre un buon rendimento da determinati segmenti i quali vanno a coprire le perdite che scaturiscono dai settori meno redditizi. Chi non rammenta la storia delle tariffe su Milano-Roma che servivano a sussidiare ciò che si perdeva su non poche rotte a lungo raggio? Il fatto è che sulla Milano-Roma l’Alitalia agiva senza concorrenti, mentre sulle rotte internazionali doveva confrontarsi con altri vettori.
Detto ciò sarà però il caso di ricordare che mentre i vettori europei devono operare in condizioni che li vedono privi di ogni possibile facilitazione nella loro nazione e nel loro continente, la stessa cosa non può dirsi per le aerolinee che, è il caso di dire, hanno la fortuna di essere fuori dagli schemi UE.
In un certo qual senso quello che andremo a dire era stato già preannunciato da Bob Crandall, allora a.d. di American Airlines, che previde questi scompensi. Nel 1977, alla vigilia dell’avvio dell’ Airline Deregulation Act ebbe ad affermare «voi…accademici teste di legno, voi non potete deregolare questa industria, la rovinerete, non ne conoscete niente.» Nel 2008, trenta anni dopo la sua introduzione, Crandall dichiarava: «credo ci sia poco da discutere sul fatto che la deregulation sia stata un’esperienza scadente per l’industria aerea commerciale…l’esperienza ha chiarito che le forze di mercato da sole non possono e non sono in grado di costruire una industria soddisfacente, la quale necessita di ausili per risolvere i suoi problemi di pricing e di costi..»
Allora torniamo alla nostra contraddizione. Tra l’Italia e la Repubblica Popolare Cinese c’è traffico, però il vettore italiano avverte che per lui mantenere aperta la rotta è troppo costoso. Il vettore cinese invece tranquillamente continua a collegare i due Paesi con 10 frequenze settimanali, anche se come abbiamo visto sulla carta il suo personale costa più di quello italiano.
Ebbene quando più Paesi di una regione creano entità sovranazionali che danno agli Stati ad essa appartenenti dei precisi vincoli che però non valgono per la restante parte della comunità mondiale (che quindi rimane libera in casa propria di agire con più libertà), soltanto un illuso può pensare di non mettere in crisi le imprese che hanno la loro base in quella regione. Fuor di metafora, l’aviazione civile è un’industria che vede il suo prodotto interfacciarsi con tutti gli Stati del mondo. Quindi o adotta regole (e restrizioni) valide per tutti, o inevitabilmente è destinata a mettere in crisi coloro che alle regole debbono sottostare.
I vettori europei non possono ricevere sussidi, ma sappiamo bene che in altre aree del mondo ciò è permesso; ai vettori europei vengono tolti slot perché gli ultimi arrivati devono porsi in concorrenza, ma anche in questo caso la regola non vale per tutti i Paesi; l’abuso di posizione dominante…. e chissà con quanti altri esempi potremmo continuare per dimostrare che quella che è stata definita "Fortress Europe" sta di fatto mettendo in condizioni asimmetriche i suoi soci membri, facendo loro mancare quel campo livellato indispensabile per poter agire ad armi pari con tutti i contendenti in campo.
Tutto ciò significa che auspichiamo il ritorno di un’Alitalia che opera da sola sulla Linate-Fiumicino? Assolutamente no. Vorremmo solo che il trattamento e le regole cui debbono sottostare i vettori UE fossero estese a tutti i vettori del mondo. Se ciò è impossibile (come ogni persona di buon senso suppone) allora forse dovremmo considerare l’opzione di cambiar rotta. Sarà un caso se le previsioni finanziarie ICAO per il 2012 ed anche per il 2013 prevedono per la regione Europa profitti netti a livello zero, esattamente come i vettori africani?
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