Cdp, sotto la lente Alitalia e Edison
La Cassa valuta l'opportunità di investire nelle due società
di Sergio Luciano
Quali criteri la Cassa depositi e prestiti dovrà seguire per scegliere quali investimenti industriali effettuare?
Li stabilirà di volta in volta il ministro dell'Economia con decreti di carattere non regolamentario emanati ad hoc. È questa la linea scelta dal governo, e accettata dall'aula del senato, che conferisce appunto al numero uno del dicastero di via XX settembre, Giulio Tremonti la massima discrezionalità valutativa, pur nella cornice della regola costitutiva di investire in aziende sane e non decotte.
A sottolineare l'importanza che Tremonti e il governo attribuiscono a quest'impostazione va detto che tre senatori dello stesso partito di maggiornaza relativa, il Pdl, cioè Anna Cinzia Bonfrisco, Pasquale Viespoli (transfuga di Futuro e Libertà poi rientrato all'ovile) ed Enrico Musso avevano presentato a Palazzo Madama tre emendamenti che sottoponevano la scelta dei criteri da seguire al filtro preventivo della commissione di vigilanza sulla Cdp (la Bonfrisco) e delle commissioni parlamentari competenti (Sviluppo e Finanze) gli altri due.
Ma tutti e tre i senatori sono stati personalmente contattati da via Venti Settembre e convinti a trasformare gli emendamenti in altrettanti ordini del giorno da indirizzare al governo come raccomandazione. E così hanno fatto.
Ma quali investimenti sarà inevitabile valutare nelle prossime settimane – oltre al dossier Parmalat – dalle così potenziate stanze della Cassa e dagli uffici del ministro di riferimento?
Nulla di deciso, ovviamente, ma i nomi che vengono indicati dalla comunità finanziaria sono due: Alitalia ed Edison. Partiamo da quest'ultima.
Si sa che soltanto l'intervento di Tremonti ha potuto convincere/costringere i soci italiani – riuniti in Delmi attorno ad A2A – e il socio italiano Edf a rinviare di sei mesi l'accordo ormai quasi pronto per smembrare e spartire gli asset della Edison. Ora è chiaro che procedere a un ulteriore rinvio non sarà possibile. Ma è anche chiaro che per convincere i francesi a non mettersi di traverso a qualunque altra soluzione sarà indispensabile comprargli le quote. E chi, se non la Cassa? Se non è strategico un settore come l'energia... E d'altronde, il generalizzato stop al nucleare imposto all'Europa dalla tragedia di Fukushima, ha tolto molto interesse all'accordo di collaborazione in essere tra Enel ed Edf proprio sul fronte atomico. Insomma, l'Italia può fare a meno dei francesi.
Discorso non molto diverso per Alitalia. L'amministratore delegato Rocco Sabelli, ormai in esplicito disaccordo col promotore della cordata dei «patrioti», Roberto Colaninno, ha detto che con l'esercizio 2011 la compagnia potrà considerarsi risanata, che lui riterrà di aver così concluso il suo compito e che tornerà ai suoi privati affari imprenditoriali. Molti azionisti non aspettano di meglio che poter accorciare i sei anni di accordo a non vendere che avevano accettato tre anni fa. Per esempio Fonsai, che ha un 5% di Alitalia, non sa che farsene e deve fare cassa. Ma praticamente anche molti altri, entrati in gioco solo per «carità di patria». Chi potrà rilevarne le posizioni, se non il socio industriale francese, l'Air France? Per l'appunto la Cassa depositi e prestiti, lasciando la gestione al management e lasciando al socio straniero, se consenziente, nient'altro che una proroga dell'attuale ruolo di partner industriale.
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