Alitalia e il festival dell'inettitudine
Un volo ritardato di quattro ore e decollato nel cuore della notte; decine di passeggeri apostrofati con arroganza e supponenza; risposte vaghe ed evasive, da far perdere la pazienza ad un santo. Signore e signori, questa è Alitalia al 31 luglio 2010. Ce lo si sarebbe potuti aspettare da una compagnia minore, magari low cost, di quelle con gli aerei traballanti e i piloti a malapena usciti dalla scuola di volo. E invece no, si tratta proprio di Alitalia, di quella “compagnia di bandiera” per cui illustri statisti e magnati del mercato italiano tanto si sono battuti. Per salvare cosa, mi chiedo io? L’italianità? Da quando il patriottismo si misura sul numero delle imprese i cui proprietari o amministratori sono cittadini di questo Paese?
I fatti parlano da soli: l’ultimo volo Roma-Alghero della giornata di sabato, in partenza dall’aeroporto di Fiumicino, subisce un ritardo di oltre quattro ore. La partenza, prevista per le 21.25, viene rimandata, causa “Problemi tecnici”, all’una e dieci del mattino (che di fatto si trasformerà nell’una e trenta, circa). Il motivo? Alitalia non ha un veivolo di riserva. Nessun aereo che sostituisca quello in panne.
Evidentemente, i guasti non sono contemplati nella loro politica di servizio. E poco importa se a morire di stanchezza nei pressi del gate B18 ci sono bambini piccoli, anziani che a stento camminano da soli, persone dirette all’isola per lavoro e persino una ragazzina appena uscita da un ricovero in un ospedale belga dopo una delicata operazione.
L’unica soluzione è aspettare un volo che partirà prima per Trieste, poi tornerà a Fiumicino, per ripartire verso la Sardegna con noi finalmente a bordo. Una situazione già di per sé a metà tra l’improbabile e il grottesco. Ma, siccome non c’è mai fine al peggio e non si sa mai cosa aspettarsi dalle auguste imprese italiane, a rendere l’attesa insopportabile è ben altro che il semplice ritardo. Infatti, tanto al sollevarsi delle comprensibili proteste dei passeggeri quanto alle semplici domande da poste loro in merito a rimborsi e casi affini, gli impiegati e i responsabili di Alitalia dimostrano tutta l’incapacità, maturata dalla compagnia in lunghi anni di esperienza come azienda pubblica, a trattare le situazioni di crisi con una strategia di comunicazione adeguata.
Perché, per quanto si possa essere avvezzi alle risposte brusche (“Il rimborso? Esiste una Carta dei Diritti dei Passeggeri, signora, vedo che lei ha addirittura un Mac, se la vada a vedere sul sito!”) o vaghe e quantomai turlupinanti (“Di notte c’è meno traffico: l’aereo andrà molto più veloce”) non si può certo dire che questo sia accettabile. Neanche il biglietto fosse stato il premio di una lotteria, per cui non avendolo pagato non avremmo avuto nemmeno il diritto di lamentarci! Un vero e proprio festival dell’arroganza, dell’inettitudine e dello scherno. Nel peggior stile (Ali)italiano.
E poi, c’è il problema delle navette: i trasporti in Sardegna funzionano da schifo già in condizioni normali, figurarsi se atterrando alle due di notte, nel bel mezzo di quel nulla che circonda l’aeroporto di Fertilia, si può sperare di tornare a casa senza la macchina. Ci vogliono un bel po’ di tempo, l’intervento delle forze dell’ordine chiamate da una signora toscana (la stessa del Mac), ripetute richieste e risposte non meno odiose delle precedenti. Alla fine, comunque, anche due autobus di linea per Sassari, Alghero e Bosa ci viengono graziosamente concessi.
Quando l’aereo decolla con noi a bordo, la spossatezza ha già ampiamente preso il sopravvento su tutti. Perciò, passi pure il fatto che io mi ritrovi con lo stesso numero di posto di altre due ragazze e che il volo sia partito con un’altra manciata di minuti di ritardo. Ma la goccia che fa traboccare il vaso, al nostro arrivo ad Alghero, sono gli autisti delle “navette”, i quali ci intimano di fare il biglietto (alle macchinette nell’atrio dell’aeroporto, perché sui pullman dell’Arst non si può fare).
Il biglietto? Alitalia non si è accollata nemmeno il costo del nostro trasporto o anche il servizio di trasporto su strada dell’Arst sta marciando sulle nostre fantozziane avventure? Tutto è possibile. Difficile trovare una sola parola che chiuda adeguatamente tutta questa storia senza scadere nell’improperio e nel turpiloquio. Me ne viene in mente solo una: vergogna.
Sara Squintu
Il Messaggero
(2 agosto 2010)
Un volo ritardato di quattro ore e decollato nel cuore della notte; decine di passeggeri apostrofati con arroganza e supponenza; risposte vaghe ed evasive, da far perdere la pazienza ad un santo. Signore e signori, questa è Alitalia al 31 luglio 2010. Ce lo si sarebbe potuti aspettare da una compagnia minore, magari low cost, di quelle con gli aerei traballanti e i piloti a malapena usciti dalla scuola di volo. E invece no, si tratta proprio di Alitalia, di quella “compagnia di bandiera” per cui illustri statisti e magnati del mercato italiano tanto si sono battuti. Per salvare cosa, mi chiedo io? L’italianità? Da quando il patriottismo si misura sul numero delle imprese i cui proprietari o amministratori sono cittadini di questo Paese?
I fatti parlano da soli: l’ultimo volo Roma-Alghero della giornata di sabato, in partenza dall’aeroporto di Fiumicino, subisce un ritardo di oltre quattro ore. La partenza, prevista per le 21.25, viene rimandata, causa “Problemi tecnici”, all’una e dieci del mattino (che di fatto si trasformerà nell’una e trenta, circa). Il motivo? Alitalia non ha un veivolo di riserva. Nessun aereo che sostituisca quello in panne.
Evidentemente, i guasti non sono contemplati nella loro politica di servizio. E poco importa se a morire di stanchezza nei pressi del gate B18 ci sono bambini piccoli, anziani che a stento camminano da soli, persone dirette all’isola per lavoro e persino una ragazzina appena uscita da un ricovero in un ospedale belga dopo una delicata operazione.
L’unica soluzione è aspettare un volo che partirà prima per Trieste, poi tornerà a Fiumicino, per ripartire verso la Sardegna con noi finalmente a bordo. Una situazione già di per sé a metà tra l’improbabile e il grottesco. Ma, siccome non c’è mai fine al peggio e non si sa mai cosa aspettarsi dalle auguste imprese italiane, a rendere l’attesa insopportabile è ben altro che il semplice ritardo. Infatti, tanto al sollevarsi delle comprensibili proteste dei passeggeri quanto alle semplici domande da poste loro in merito a rimborsi e casi affini, gli impiegati e i responsabili di Alitalia dimostrano tutta l’incapacità, maturata dalla compagnia in lunghi anni di esperienza come azienda pubblica, a trattare le situazioni di crisi con una strategia di comunicazione adeguata.
Perché, per quanto si possa essere avvezzi alle risposte brusche (“Il rimborso? Esiste una Carta dei Diritti dei Passeggeri, signora, vedo che lei ha addirittura un Mac, se la vada a vedere sul sito!”) o vaghe e quantomai turlupinanti (“Di notte c’è meno traffico: l’aereo andrà molto più veloce”) non si può certo dire che questo sia accettabile. Neanche il biglietto fosse stato il premio di una lotteria, per cui non avendolo pagato non avremmo avuto nemmeno il diritto di lamentarci! Un vero e proprio festival dell’arroganza, dell’inettitudine e dello scherno. Nel peggior stile (Ali)italiano.
E poi, c’è il problema delle navette: i trasporti in Sardegna funzionano da schifo già in condizioni normali, figurarsi se atterrando alle due di notte, nel bel mezzo di quel nulla che circonda l’aeroporto di Fertilia, si può sperare di tornare a casa senza la macchina. Ci vogliono un bel po’ di tempo, l’intervento delle forze dell’ordine chiamate da una signora toscana (la stessa del Mac), ripetute richieste e risposte non meno odiose delle precedenti. Alla fine, comunque, anche due autobus di linea per Sassari, Alghero e Bosa ci viengono graziosamente concessi.
Quando l’aereo decolla con noi a bordo, la spossatezza ha già ampiamente preso il sopravvento su tutti. Perciò, passi pure il fatto che io mi ritrovi con lo stesso numero di posto di altre due ragazze e che il volo sia partito con un’altra manciata di minuti di ritardo. Ma la goccia che fa traboccare il vaso, al nostro arrivo ad Alghero, sono gli autisti delle “navette”, i quali ci intimano di fare il biglietto (alle macchinette nell’atrio dell’aeroporto, perché sui pullman dell’Arst non si può fare).
Il biglietto? Alitalia non si è accollata nemmeno il costo del nostro trasporto o anche il servizio di trasporto su strada dell’Arst sta marciando sulle nostre fantozziane avventure? Tutto è possibile. Difficile trovare una sola parola che chiuda adeguatamente tutta questa storia senza scadere nell’improperio e nel turpiloquio. Me ne viene in mente solo una: vergogna.
Sara Squintu
Il Messaggero
(2 agosto 2010)