- 26 Aprile 2012
- 10,270
- 8,031
VI. El pueblo.
Lasciata Chungarà, riesco nel non facile tentativo di arrivare per sbaglio alla frontiera con la Bolivia, quasi passarla, rendermene conto, fare l'inversione a U più illegale del mondo in faccia a un camion e a un paio di poliziotti della frontaliera cilena e poi tornare a gambe levate verso Parinacota. Il villaggio, non il vulcano.
Questo era uno di quei pueblos che volevo vedere a tutti i costi. Casette di adobe, tetti di paglia e una chiesa abbandonate in mezzo all'altopiano, sotto a un vulcano, con più llama che cristiani. Uno dei motivi principali che mi aveva spinto ad iniziare questo viaggio era un blog che parlava di Sajama, un villaggetto simile in Bolivia. Gli spagnoli costruirono una catena di "caravanserragli" per le carovane che, dalle infernali miniere di Potosì, portavano l'argento ai porti di Arica e Lima. Un passato di sicuro triste ma almeno il risultato è qualcosa di estremamente gradevole agli occhi oggi.
L'umore, va detto, non è dei migliori. Sono ancora colpito da quello che è successo a Chungarà, e mentirei se negassi di sentirmi particolarmente in colpa. Parcheggio davanti al Conaf di Parinacota, alla cui finestra campeggia un foglio, datato marzo 2020, in cui si annuncia che l'ufficio dei ranger è chiuso fino a data da destinarsi.
La popolazione di Parinacota credo arrivi a stento alle venti anime, e oggi sembra che ce ne siano ancora di meno. Un paio di persone stanno risistemando la scuola nella piazzetta, e quando mi fermo a fare due chiacchere mi dicono che sono per metà di Arica, per metà haitiani e al 100% non hanno idea di chi viva dove. Arriva un minibus di turisti e le due guide, ragazzi Aymara di Sipasilvani, un paesello sperso nell'altipiano, provano a cercare la signora che gestisce il negozio, tiene le chiavi della chiesa e in generale sa tutto. Non c'è. I turisti sbuffano, io mi trovo improvvisamente a mio agio.
Gli abitanti sembrano avere solo 4 zampe.
Poco fuori c'è un campo da calcio conciato quasi peggio di quello dell'oratorio di San Biagio a Biella e, giusto a due passi, il camposanto. Qualcosa mi dice che le partite scapoli contro ammogliati, da queste parti, sono funeste.
Avevo pensato di dormire in macchina, ma se devo essere sincero m'è un po' passata la voglia. Parinacota, però, dispone di un hostal dotato, lusso dei lussi, di "acqua calda" fornita da pannelli solari (buona parte di queste comunità hanno generatori solari forniti dal governo, e impianti per il riciclo dell'acqua. Il Cile è avanti).
La porta è chiusa, ma c'è una TV accesa nella sala comune. Busso, aspetto una decina di minuti buona e una signora minuscola di età indefinita, tra i sessanta e i 500, appare sull'uscio. Don Leo, mi dice, non c'è, con fare un po' sospettoso. Le chiedo che non sono in cerca di Don Leo, ma che mi interesserebbe dormire lì. La signora mi soppesa e dice che la caffetteria è chiusa perchè Doña (? potrebbe essere stata Hermosilda, o Henrietta, o H-qualcosa... Era un po' come parlare al telefono con Yoda) è andata a portare i llama da qualche parte e lei sa solo fare il caffè. Non c'è problema, ho il mio cibo, e ci accordiamo per una notte al principesco prezzo di 15mila pesos.
Una volta sgombrato il campo dagli equivoci, e chiarito che non sto cercando Don Leo, la mia nuova amica si fa più ciarliera. Mi consiglia un trail ad anello intorno al villaggio e, poi, mi chiede se ho visto i fenicotteri. Ad Atacama, rispondo. Beh, mi fa lei, se vuoi vederne altri vai alla laguna vicino al posto di controllo dei Carabineros dopo Chucuyo. Armato di tali informazioni, lascio lì il sacco a pelo in una stanza addobbata da un letto e una sedia e me ne vado.
Il primo trail non inizia in maniera molto promettente.
Ma poi migliora. Oh, se migliora.
Pure la vizcacha se ne sta tranquilla a prendere il sole e non si sposta al mio passaggio.
L'altipiano si sparge a perdita d'occhio. È mezzogiorno, ci sono a malapena 15C anche se il sole pesta durissimo. I ragazzi di Sipasilvani mi dicevano che ci sono parecchi venezuelani che varcano il confine dalle loro parti, andando off-road a piedi. Immagino come debba essere una traversata del genere, in questo tipo di terreno dove persino l'erba lascia le spine nei palmi, e dove la notte scende molto sottozero, e rabbrividisco. È un terreno bellissimo, una scenografia che adoro, ma oggi non posso fare a meno di vederla con occhi diversi.
Parinacota è l'unico porto in questo mare di cespugli. Chissà come doveva sembrare alle carovane che portavano l'argento al mare.
In una complice laguna vicino al villaggio, al termine del mio giro, trovo un paio di coppie di polli d'acqua (traduzione letterale del termine vízítyúk insegnatomi da 8200 per definire questi uccelli) intenti a badare al loro nido. All'inizio penso che stiano blaterando a me, e mi allontano a debita distanza per evitare di disturbarli, ma poi mi rendo conto che è un litigio tra di loro. Auguro buona fortuna a tutti e mi allontano a passo svelto, prima di venir chiamato a dirimere la diatriba.
Ci sono dei fenicotteri, a quanto pare, e ho voglia di vederli.
Lasciata Chungarà, riesco nel non facile tentativo di arrivare per sbaglio alla frontiera con la Bolivia, quasi passarla, rendermene conto, fare l'inversione a U più illegale del mondo in faccia a un camion e a un paio di poliziotti della frontaliera cilena e poi tornare a gambe levate verso Parinacota. Il villaggio, non il vulcano.
Questo era uno di quei pueblos che volevo vedere a tutti i costi. Casette di adobe, tetti di paglia e una chiesa abbandonate in mezzo all'altopiano, sotto a un vulcano, con più llama che cristiani. Uno dei motivi principali che mi aveva spinto ad iniziare questo viaggio era un blog che parlava di Sajama, un villaggetto simile in Bolivia. Gli spagnoli costruirono una catena di "caravanserragli" per le carovane che, dalle infernali miniere di Potosì, portavano l'argento ai porti di Arica e Lima. Un passato di sicuro triste ma almeno il risultato è qualcosa di estremamente gradevole agli occhi oggi.
L'umore, va detto, non è dei migliori. Sono ancora colpito da quello che è successo a Chungarà, e mentirei se negassi di sentirmi particolarmente in colpa. Parcheggio davanti al Conaf di Parinacota, alla cui finestra campeggia un foglio, datato marzo 2020, in cui si annuncia che l'ufficio dei ranger è chiuso fino a data da destinarsi.
La popolazione di Parinacota credo arrivi a stento alle venti anime, e oggi sembra che ce ne siano ancora di meno. Un paio di persone stanno risistemando la scuola nella piazzetta, e quando mi fermo a fare due chiacchere mi dicono che sono per metà di Arica, per metà haitiani e al 100% non hanno idea di chi viva dove. Arriva un minibus di turisti e le due guide, ragazzi Aymara di Sipasilvani, un paesello sperso nell'altipiano, provano a cercare la signora che gestisce il negozio, tiene le chiavi della chiesa e in generale sa tutto. Non c'è. I turisti sbuffano, io mi trovo improvvisamente a mio agio.
Gli abitanti sembrano avere solo 4 zampe.
Poco fuori c'è un campo da calcio conciato quasi peggio di quello dell'oratorio di San Biagio a Biella e, giusto a due passi, il camposanto. Qualcosa mi dice che le partite scapoli contro ammogliati, da queste parti, sono funeste.
Avevo pensato di dormire in macchina, ma se devo essere sincero m'è un po' passata la voglia. Parinacota, però, dispone di un hostal dotato, lusso dei lussi, di "acqua calda" fornita da pannelli solari (buona parte di queste comunità hanno generatori solari forniti dal governo, e impianti per il riciclo dell'acqua. Il Cile è avanti).
La porta è chiusa, ma c'è una TV accesa nella sala comune. Busso, aspetto una decina di minuti buona e una signora minuscola di età indefinita, tra i sessanta e i 500, appare sull'uscio. Don Leo, mi dice, non c'è, con fare un po' sospettoso. Le chiedo che non sono in cerca di Don Leo, ma che mi interesserebbe dormire lì. La signora mi soppesa e dice che la caffetteria è chiusa perchè Doña (? potrebbe essere stata Hermosilda, o Henrietta, o H-qualcosa... Era un po' come parlare al telefono con Yoda) è andata a portare i llama da qualche parte e lei sa solo fare il caffè. Non c'è problema, ho il mio cibo, e ci accordiamo per una notte al principesco prezzo di 15mila pesos.
Una volta sgombrato il campo dagli equivoci, e chiarito che non sto cercando Don Leo, la mia nuova amica si fa più ciarliera. Mi consiglia un trail ad anello intorno al villaggio e, poi, mi chiede se ho visto i fenicotteri. Ad Atacama, rispondo. Beh, mi fa lei, se vuoi vederne altri vai alla laguna vicino al posto di controllo dei Carabineros dopo Chucuyo. Armato di tali informazioni, lascio lì il sacco a pelo in una stanza addobbata da un letto e una sedia e me ne vado.
Il primo trail non inizia in maniera molto promettente.
Ma poi migliora. Oh, se migliora.
Pure la vizcacha se ne sta tranquilla a prendere il sole e non si sposta al mio passaggio.
L'altipiano si sparge a perdita d'occhio. È mezzogiorno, ci sono a malapena 15C anche se il sole pesta durissimo. I ragazzi di Sipasilvani mi dicevano che ci sono parecchi venezuelani che varcano il confine dalle loro parti, andando off-road a piedi. Immagino come debba essere una traversata del genere, in questo tipo di terreno dove persino l'erba lascia le spine nei palmi, e dove la notte scende molto sottozero, e rabbrividisco. È un terreno bellissimo, una scenografia che adoro, ma oggi non posso fare a meno di vederla con occhi diversi.
Parinacota è l'unico porto in questo mare di cespugli. Chissà come doveva sembrare alle carovane che portavano l'argento al mare.
In una complice laguna vicino al villaggio, al termine del mio giro, trovo un paio di coppie di polli d'acqua (traduzione letterale del termine vízítyúk insegnatomi da 8200 per definire questi uccelli) intenti a badare al loro nido. All'inizio penso che stiano blaterando a me, e mi allontano a debita distanza per evitare di disturbarli, ma poi mi rendo conto che è un litigio tra di loro. Auguro buona fortuna a tutti e mi allontano a passo svelto, prima di venir chiamato a dirimere la diatriba.
Ci sono dei fenicotteri, a quanto pare, e ho voglia di vederli.