[TR] Etiopia: Don't try this at home!


FLR86

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PRIMI PASSI IN ETIOPIA: DA ADDIS A MEKELE

Il primo assaggio d' Etiopia arriva proprio la prima notte quando, giunti alla guesthouse, il tassista tenta di farsi aprire battendo sul cancello. Ma l’addetta se la dorme beatamente e vista la distanza tra il cancello e la casa ho forti dubbi che possa sentire. Prendo atto che mettere un campanello è evidentemente troppo complicato. Neanche le telefonate del responsabile, che è in un’altra guesthouse, sembrano sortire effetto. Ma Dopo 20 minuti di bam bam e drin drin, si apre la porta e riesco finalmente a stendermi nella mia spoglia camera.

In tarda mattinata mi metto in moto. La mia priorità è andare a Meskel Square a comprare il biglietto del bus per il giorno successivo. Decido quindi di farmi quell'oretta a piedi per vedere un po’ di città.
La prima impressione (e anche l'ultima) è di un gran casino. Spazzatura, costruzioni a caso, strade polverose se va bene e sterrate se va male, muli e pascoli nel centro città. Praticamente un enorme villaggio con qualche grattacielo quà e là.










Impalcature etiopi. Dopo tre settimane mi impressionavano ancora.




Capitolo cinesi: in Etiopia sono onnipresenti come in molte parti dell' Africa. Mi ricordo che nella rivista di bordo di Ethiopian la maggior parte delle pubblicità riguardava motorini, mezzi e compagnie cinesi. Hanno costruito la prima metropolitana leggera del continente inaugurata ad Addis nel 2015 e la nuova linea ferroviaria Addis-Gibuti, operativa per i passeggeri dall'inizio di quest' anno, oltre a strade e palazzi di ogni tipo. Uno di questi palazzi è il quartier generale dell' Unione Africana, in cui mi hanno detto che 7-8 mesi fa sono state trovate delle microspie con il risultato che hanno estromesso i cinesi da qualsiasi bando riguardante le telecomunicazioni.
A quanto ho capito gli Etiopi non li amano. Riconoscono che sono dei grandi lavoratori ma si lamentano della bassa qualità e del fatto che non vogliono integrarsi.




Ed ecco un piccolo esempio del nuovo colonialismo cinese.




Arrivo a Meskel Square, sede dell'omonima cerimonia annuale della Chiesa Ortodossa Etiope (avvenuta tre giorni prima), e punto di partenza dei luxury bus.
La foto non è di quel giorno ma mi prendo una licenza per continuità del racconto.




Gli autobus a lunga percorrenza in Etiopia sono di due tipi: quelli locali e, appunto, i luxury bus. I primi sono mezzi quasi sempre TATA di 30-40-50 anni fa, con uno spazio per le gambe che in confronto le poltrone Ryanair sono lie flat. I secondi ( la mia prima scelta) sono tipo i nostri autobus granturismo di costruzione, guarda caso, cinese.
La prima compagnia da cui vado ha tutti i posti esauriti, quindi allungo la mia camminata per andare ad un'altra biglietteria che si trova nel quartiere di Piazza, zona di edifici post-occupazione italiana e vita notturna.

Lungo Churchill street incrocio il teatro nazionale ed un paio di monumenti.




Statua per il giubileo dell' incoronazione di Haile Selassie.




Da molti TR che ho letto mi è parso di capire che tra queste pagine si nasconda un nutrito gruppo di compagni. Dunque non potevo esimermi dal fotografare l' obelisco in memoria dei soldati etiopi e cubani caduti durante la guerra dell'Ogaden contro la Somalia, periodo in cui l'Etiopia era sotto il controllo dei comunisti del DERG.




Ed è proprio in questa camminata che faccio conoscenza con uno dei pochi pericoli di Addis: i borseggiatori. Prima di partire avevo letto di quello che è il metodo più utilizzato, in cui uno ti si avvicina con una rivista, ti tocca il braccio per distrarti e l'altro fa il suo dovere. E proprio così è andata. Solamente che appena ho collegato le due cose mi sono girato ed ho beccato il compare con la mano nella tasca in cui avevo il telefono. Etiopia 0 – Italia 1.

Arrivo alla biglietteria, ma essendo domenica la trovo chiusa. Decido di tornare a Meskel e cercare una soluzione prima di rassegnarmi a viaggiare sul bus locale.
Per tornare prendo un miniubus, una sorta di taxi condiviso e mezzo di trasporto vitale per i locals, sia in città che per medie-lughe distanze. I prezzi variano a seconda della percorrenza, più o meno dai 2 ai 6 birr (0,07-0,19 €) contro i 100-200 birr (3,2-6,3 €) dei taxi.
Capire dove fermano non è semplicissimo. Solitamente c'è un capannello di gente ad aspettare e quando passa il minibus, l'addetto a raccogliere i soldi urla al volo il nome della destinazione: “Bole. Bole, Bole, Bole, Bole”. La soluzione migliore è chiedere a qualcuno e verrete indirizzati in una fermata o nell'altra. E vista la disponibilità che ho trovato nell'aiutarti non sarà un problema.






I posti a sedere sono solo un numero. Più ne entrano meglio è. Specialmente durante gli orari di punta dove è tutto un sali, scendi, spingi, a parte al “capolinea” dove si forma una fila ordinata anche per gli standard italiani.
Ovviamente aspettatevi di essere oggetto di risatine varie e occhi puntati addosso perchè non vedrete molti altri Faranji. Ma è una cosa a cui dovrete abituarvi.

Capitolo Faranji: è come quì si riferiscono all' uomo bianco. Curiosamente immagino che abbia la stessa origine del Farang Thai.
Nel primo giorno etiope ho avuto un piccolo assaggio della parola che più mi perseguiterà in queste tre settimane e che ho scoperto in tutte le sue declinazioni: “Faranji hello!”, “Faranji how are you?”, “Faranji where are you from?”, “Faranji money!”, “Faranji pen!” e il gettonatissimo plain and simple “Faranji!”, giusto nel caso non te fossi accorto e senza capire cosa si aspettassero che facessi esattamente.

Tornato a Meskel mi viene indicata un'altra biglietteria aperta e riesco finalmente a trovare il bus che mi porterà a Mekele. Convocazione alle 10.30 ora etiope, 4.30 internazionale. Perchè l' Etiopia oltre ad avere un calendario tutto suo (attualmente sono nel 2011), ha anche un orario tutto suo, secondo il quale l'ora 0 è il sorgere del sole che, data la vicinanza all' equatore, è intorno alle 6 tutto l'anno.

Ho il tempo di fare un salto al Museo Nazionale dove è custodito lo scheletro di Lucy, il primo ominide ritrovato nella regione Afar e risalente a 3,2 milioni di anni fa. Lo scheletro esposto è una replica.




Nello stesso piano sono presenti altri fossili mentre negli altri è presente una sezione etnologica, di arte locale, manufatti etc. Niente di esaltante dal mio punto di vista ma vale una visita visto anche il costo d'entrata di 10 birr.
Degni di nota due troni portati in Italia durante l'occupazione e riportati in Etiopia nel 1972.






Poco più avanti il monumento dedicato alle vittime della Strage di Addis Ababa, avvenuta per mano dei fascisti in seguito al tentativo di omicidio del vicerè d' Etiopia Rodolfo Graziani.






Torno alla guesthouse e mangio la prima di tantissime enjera. Una sorta di piadina spugnosa fatta con il teff che viene usata come cucchiaio per mangiare (rigorosamente con le mani) ciò che è al suo interno. È la base dell'alimentazione e quì se la mangiano mattina, pomeriggio e sera.




Dato che non ho messo la crema solare, il risultato delle mie camminate è una bella bruciatura in faccia e sul collo. Mi sono dimenticato che siamo a 2500 mt.

Alle 4 prendo il taxi che mi porta alla fermata. Le strade sono incredibilmente buie. La corrente è un problema in tutta l'Etiopia, ed anche ad Addis non è raro che salti, ma credo che i lampioni siano spenti per scelta visto che le luci delle case sono accese.
La piazza è affollata di persone e bus diretti in ogni destinazione. Per tutti gli autobus a lunga percorrenza la partenza è all'alba. Quelli notturni non esistono per ovvi motivi di sicurezza dovuti alla condizione delle strade che constaterò molto presto. Partiamo con quei 40-50 minuti di ritardo che saranno la norma. Il pullman è decente e vengono pure distribuiti una bottiglietta d'acqua e una sorta di plumcake XL. Il problema è che l'aria condizionata non funziona e, dato che gli autobus diretti a Mekele non passano dall'altopiano ma dalla regione Afar (la strada è più lunga ma più lineare), l'abitacolo si trasforma presto in un forno facendo diventare il viaggio un incubo.
Visti i miei poco potenti mezzi i tentativi di foto dal finestrino falliscono miseramente ma il paesaggio, soprattutto all'alba, è notevole. Inizio a familiarizzare con il circo umano e animale che popola le strade. Pastori, capre, mucche, cammelli, asini, zebù che costringono l'autista a brusche frenate e inizalmente ti fanno pensare al peggio. E ne avresti ben donde vista la guida sportiva e il cimitero di camion, miniubus, macchine, ribaltati lungo le strade. Si passa per anonimi villaggi dove regna la spazzatura e il caos. Ogni tanto salgono venditori di frutta, cereali soffiati, spezie, che vengano fatti scendere dopo qualche chilometro. Mangiare è un diversivo per far passare le ore di viaggio e gli etiopi non si fanno problemi ad offrirti qualsiasi cosa.
Dopo qualche ora ci fermiamo per il pranzo e con noi numerosi altri bus. 30 minuti e si riparte.








Pausa pipì




Tutto quello che cade (o meglio viene buttato) in terra, tra una frenata e l'altra, finisce nelle scalette d'uscita. Una volta aperta la porta la spazzatura si riversa tutta in strada tra l'indifferenza generale.




Il contrasto con le pale eoliche è abbastanza impietoso. Non mi sembra che il concetto di “green” sia molto comune.




Poco prima di entrare a Mekele c'è un posto di blocco. Si scende dal bus che viene sommariamente controllato e vengono richiesti i documenti. I faranji sono esenti.
Dopo 13 ore di calvario arriviamo a destinazione. Le strade sono ancora più buie. Prendo un bajaj (come qui chiamano i tuktuk anch' essi di provenienza indiana e risalenti a decadi fa) e vado a cercare una stanza che trovo dopo un tentativo fallito grazie alla proprietaria della prima guesthouse che mi accompagna in quella di un'amica.
Vado a cena, dove trovo i festeggiamenti di un matrimonio, e poi a letto perchè il giorno dopo mi aspetta un' altra sveglia all'alba. La seconda di tante.
 
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Per il proseguo prometto meno chiacchiere e più foto! :D
 
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Per il proseguo prometto meno chiacchiere e più foto! :D
Tovarisch, parlo a titolo personale, ma le chiacchere sono ben volute ed incoraggiate!!! Non capita spesso di sentire di viaggi dall'Etiopia e, almeno per me, e' interessante leggere della vita quotidiana di quelle zone. I commenti sulla Cina, sulle strade e sull'attitudine verso gli stranieri sono interessantissimi. Buttarsi alla bersagliera nelle marshrutke locali e' cosa veramente gagliarda, ti ammiro!

Tra l'altro... con la gente del posto, come si comunica? Inglese, italiano, oppure pratichi l'aramaico stretto?
 

FLR86

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Tovarisch, parlo a titolo personale, ma le chiacchere sono ben volute ed incoraggiate!!! Non capita spesso di sentire di viaggi dall'Etiopia e, almeno per me, e' interessante leggere della vita quotidiana di quelle zone. I commenti sulla Cina, sulle strade e sull'attitudine verso gli stranieri sono interessantissimi. Buttarsi alla bersagliera nelle marshrutke locali e' cosa veramente gagliarda, ti ammiro!

Tra l'altro... con la gente del posto, come si comunica? Inglese, italiano, oppure pratichi l'aramaico stretto?
Ti ringrazio!

Piccola correzione forse a causa di un errore di battitura. In Etiopia si parla l'amarico non l'aramaico, almeno come lingua ufficiale e tralasciando le varie lingue regionali.
Comunque un inglese come minimo basico è più o meno diffuso, almeno nelle zone dove sono stato io. È capitato di avere qualche problema di comunicazione risolto a gesti, o qualche incomprensione nell'ordinare da mangiare, ma generalmente se qualcuno che parla inglese vede che sei in difficoltà, viene in tuo soccorso.
I maggiori problemi li ho avuti nel telefonare ad un paio di guesthouse nel tantativo di prenotare una camera ed ho rinunciato perchè la barriera linguistica era insormontabile. Ma nel complesso non ho avuto grossi problemi.
 

bamby69

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Verissimo ho trovato parecchio diffuso quel minimo di inglese dappertutto nel mio tour in Etiopia, cosa che mi ha impressionato in Cina durante un tour nel mese di luglio, trovare qualcuno che parlasse almeno un minimo di inglese è stata un impresa, assurdo che non si insegna una seconda lingua come si fa in Korea.
 

bebix

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Sono riuscito a parlare in inglese con un ragazzo di una tribù della Valle del fiume Omo, i Mursi quelle che hanno i piatti di 10cm di diametro nel labbro inferiore e che mi sputavano sui piedi se non gradivano foto! :D
Tra l'altro storia piuttosto interessante, lui era riuscito ad andare a studiare ad Arba Minch ed aveva imparato l'inglese a scuola (usano libri di testo in inglese).
Finite le scuole non riuscendo a trovare lavoro, ha dovuto fare il cammino all'indietro e tornare al villaggio, perché lì per lo meno qualche mucca da allevare ce l'aveva.

La tribù era questa per capirci
 

FLR86

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LE CHIESE RUPESTRI DI GHERALTA

L' Etiopia dal punto di vista storico e religioso è un unicum nel continente africano, specialmente se consideriamo l' Africa subsahariana. È uno stato a maggioranza Cristiana, molti dei quali Cristiani Ortodossi, in particolar modo nel Tigray dove essi rappresentano la quasi totalità. In questa regione, infatti, è nato il Regno di Axum che ha dato una forte spinta alla diffusione del Cristianesimo in tutto l'altopiano, adottandolo come religione ufficiale.
Nel Tigray sono presenti oltre 150 chiese rupestri, di cui circa 30 nell'area del massiccio di Gheralta che include anche 2 tra le più suggestive (almeno per quanto riguarda la location).
Per chi si muove in autonomia, la zona è facilmente raggiungibile da Mekele. Per cui alle 5 prendo un bajaj per farmi portare alla stazione nord dove, in mezzo ad una marea di mezzi e persone, riesco a prendere un minibus in direzione Hawzen. Dopo due e ore e mezza passate tra sonno e viste mozzafiato arriviamo nella cittadina. Una volta trovato l' hotel, mi accordo con un bajaj per la giornata e partiamo.






Ci fermiamo a Megab per prendere una guida all'associazione locale e poi di nuovo il bajaj fino all'inizio del sentiero per la prima chiesa: Maryam Korkor.
Non ho ben capito il perchè, ma il bajaj si ferma più lontano rispetto a chi va con la macchina (circa un'ora tra andata e ritorno). A me cambia poco.

Il percorso parte da circa 2100 mt ed arriva a 2480 mt attraversando coltivazioni e pascoli che saranno la costante di questo viaggio. Per quanto siano poveri, in Etiopia non moriranno certo di fame e le porzioni XL ne sono quasi una conferma.
Grano, Teff, Mais, lenticchie, fave, ceci sono tra le varie coltivazioni e tra poco ne avverrà la raccolta. Inizio ottobre è infatti uno tra i periodi migliori per visitare queste zone, perchè cade tra la fine della stagione umida e quella secca. Tra un mese o poco più gli splendidi colori di questi campi dorati lasceranno il posto a quello monocromatico della terra.












Arrivati alla “biglietteria” (un uomo a cui paghi l'ingresso per la Chiesa) trovo ad aspettare degli scout. Sostanzialmente sono persone che ti seguono offrendoti aiuto per poi chiederti soldi. Venendo quà aspettatevi di pagare mance e contromance ma, sapendo che il percorso non presenta particolari difficoltà, chiarisco fin da subito alla guida che non mi serve alcuno scout. Con qualche remora glielo fa presente, il che mi attira un po' di improperi da loro a da quelli che incontro più avanti con un paio di turisti.




Saliamo poi per la spaccatura creata da un'eruzione sotteranea che ha diviso in due il massiccio. I massi neri indicano la loro origine lavica.






Continuiamo passando la parte un po' più difficoltosa. Niente di proibitivo ma bisogna stare attenti a dove si mettono i piedi perchè la roccia è un po' scivolosa.




La vista si apre poi sul lato opposto. Nella formazione rocciosa che spicca in alto a sinistra è incastonata l'altra chiesa che andremo a visitare più tardi.




Ancora un po' di strada ed arriviamo alla meta.








Per entrare nella Chiesa bisogna cercare il prete, perchè è lui che ha la chiave. Ecco il motivo per il quale avere una guida è quasi d'obbligo. Dopo una decina di minuti arriva.




La tradizione locale attribuisce la costruzione di questa e di altre Chiese della zona agli Imperatori gemelli Abraha and Atsbeha e vengono datate tra il IV ed il VI secolo. Tesi che differisce (come spesso accade da queste parti) con il pensiero degli storici che le datano tra il IX ed il XII secolo.
Gli affreschi interni vengono invece fatti risalire al XIII secolo secondo i locali ed al XVII secondo gli storici.
La roccia è sabbiosa ed incredibilmente friabile. Basta passare un dito su una colonna che si sgretola completamente. Viene da chiedersi come abbia fatto a resistere tutto questo tempo.
Dietro una tenda si nasconde il Sancta Sanctorum accessibile solo al prete ed altre istituzioni religiose.






Ed ecco il monaco ultraottantenne che da 70 anni è il custode della Chiesa (la differenza tra prete e monaco è che il prete può sposarsi ed il monaco no). Poco lontano si trova la sua abitazione con orto e animali che gli permettono, con l'aiuto di qualche diacono, di essere praticamente autosufficiente.






Si riscende a valle.










Parte dell'area a ridosso del massiccio è protetta ed il pascolo non è permesso. Quando la guida fa notare ad una pastorella che i suoi animali stanno mangiando in una zona proibita, parte l'inseguimento con bastone.








Dopo circa 4 ore risiamo al punto di partenza dove ci attende il bajaj che ci porta a Megab per un pranzo veloce. Facendo presente che non mangio carne, la cuoca mi coglie delle belle foglie verdi dal suo orto che pensavo mi arrivassero cotte. Invece poco dopo si presenta una injera con insalatina al seguito. Vista la situazione non me la sento di dire di no e la mangio. Una scelta di cui mi pentirò nei giorni successivi.




Finito di mangiare ripartiamo circumnavigando il massiccio per andare alla seconda chiesa: Abuna Yemata Guh.




Un momento di panico quando ci dicono che il prete è andato in paese. Dopo un po' di attesa scopriamo che era già tornato e dunque possiamo proseguire.






Da quì si intravede Maryam Korkor, dove eravamo poche ore prima.




Per arrivare alla Chiesa bisogna arrampicarsi su una parete verticale di 7-8 metri. Nonostante gli appigli creati nel tempo bisogna sapere dove mettere le mani. A meno che non si sia abituati a questo genere di attività, quì gli scout torneranno utili. Chi vuole può noleggiare in paese un' imbracatura ed una corda. Anche se viene da ridere a pensare che prete e fedeli vanno su e giù come grilli.
Ci togliamo le scarpe, come bisogna fare per qualsiasi altra Chiesa, e si va.








Al contrario della prima, questa è interamente costruita nella roccia e per accedervi bisogna passare da un costone che da su uno strapiombo. Inutile dire quanto tutto questo sia incredibilmente suggestivo.












Gli affreschi interni, secondo gli storici risalenti al XV secolo, sono molto ben conservati. All'interno è presente quella che la guida mi dice essere una delle Bibbie più antiche d' Etopia.










Dopo una breve visita riscendiamo.








Queste due pietre svolgono la funzione di campane. Sembra incredibile ma se battute con una terza fanno un suono più acuto ma davvero simile.






Tornato al bajaj lasciamo la guida a Megab e torniamo ad Hawzen. Faccio una doccia e vado a mangiare qualcosa.
Il concetto di vegetariani non è sconosciuto in Etiopia. Infatti quì i Cristiani Ortodossi “digiunano” due volte a settimana (il mercoledì e il venerdì) escludendo carne e derivati animali. Ma il fasting food lo si può trovare anche negli altri giorni, anche se non da tutte le parti.
Entro quindi nel primo locale chiedendo “Tutto tranne la carne” “Ok, no problem”. “Fasting” “No problem”. Cinque minuti dopo mi arrivano le costolette d'agnello.
Nel secondo posto prendo quello che scoprirò essere un piatto diffuso anche nei ristoranti locali, e probabilmente un retaggio dell'occupazione italiana: gli spaghetti al pomodoro. La cottura non è eccezionale ma il sugo è di primo livello. Non avendo cibo in scatola viene preparato col pomodoro fresco e, a parte un po' di cipolla di troppo, è veramente ottimo.

Il giorno dopo ad Hawzen c'è il mercato settimanale. Dai villaggi vicini vengono per vendere cibi e oggetti di ogni genere.


























Passo a prendere la roba in hotel e vado in cerca di un minubus per Mekele che trovo per strada e mi carica al volo.




Quì viene raggiunto il mio record di riempimento per 12 posti che, tra sali e scendi, arriva a 18 + bambino in braccio. Senza contare le 3 capre sul tetto.
Arrivo a Mekele. La situazione delle stazioni di minibus e bus locali è più meno sempre questa.






Dopo mangiato faccio un giro nella capitale del Tigray, considerata come la città più moderna del paese. Ai nostri occhi occidentali la modernità può essere relativa, ma rispetto ad Addis è sicuramente una città più ordinata e pulita.








Vado al Tigray Martyr's Monument, che si trova in cima ad una collina, ed è stato costruito per commemorare le vittime del TPLF (Tigranian People Liberation Front) cadute durante la guerra civile che ha segnato la fine regime del DERG nel 1991.








Da lì in poi la minoranza etnica di questa regione (parliamo del 6% dell'intera popolazione) ha sempre occupato i posti del potere attirando le proteste delle maggioranze Oromo e Amahara che chiedevano maggior spazio. La situazione sembra essere giunta ad una svolta quando ad aprile di quest'anno si è insediato per la prima volta un Primo Ministro Oromo che pare aver portato un nuovo fermento politico testimoniato anche dall'accordo di pace con l'Eritrea dopo 20 anni di conflitto.

Quì incontro un ragazzo etiope che era sul pullman Addis-Mekele e mi dice che anche lui è in vacanza dato che abita in Corea del Sud. Un po' stupito vengo a scoprire del legame tra queste due nazioni. Infatti Haile Sailassie inviò dei soldati a combattere la guerra di Corea contro i comunisti del Nord. Mi racconta che il nonno, uno di loro, ricevette una medaglia al valore ed ogni nuovo presidente sudcoreano che si insediava, gli inviava una lettera di ringraziamento.

Vado a cenare con lui e dopo un giretto me ne vado a letto. Domani altra partenza.
 
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13900

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Ti ringrazio!

Piccola correzione forse a causa di un errore di battitura. In Etiopia si parla l'amarico non l'aramaico, almeno come lingua ufficiale e tralasciando le varie lingue regionali.
Era per usare una lingua a caso :) Manco sapevo di esserci andato "vicino"!

Ad ogni modo, un prosieguo epico! Mica come l'altro TR che avevamo sull'Etiopia, fatto da quello la' che ora va solo nei resort all inclusive di Punta Cana...

Interessantissima la seconda chiesa; un po' preoccupanti i pilastri della prima...
 
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londonfog

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Concordo con 13900. TR veramente epico!

Quando parlavi di chiese scavate nella roccia pensavo a quelle di Lalibela. Mai a quelle che hai visitato tu. Adesso capisco il "Don't try this at home!"
 

FLR86

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Era per usare una lingua a caso :) Manco sapevo di esserci andato "vicino"!

Ad ogni modo, un prosieguo epico! Mica come l'altro TR che avevamo sull'Etiopia, fatto da quello la' che ora va solo nei resort all inclusive di Punta Cana...

Interessantissima la seconda chiesa; un po' preoccupanti i pilastri della prima...
Per averla buttata lì ci sei andato vicino davvero!

Mi ricordo di averlo letto tempo fa quel TR ed avevo provato a ricercarlo per non fare un TR doppione, ma non l'ho trovato.

Concordo con 13900. TR veramente epico!

Quando parlavi di chiese scavate nella roccia pensavo a quelle di Lalibela. Mai a quelle che hai visitato tu. Adesso capisco il "Don't try this at home!"
Arriveranno anche quelle ;)

Bellissimo veramente, grazie e complimenti.
Grazie a te per leggerlo!
 

FLR86

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DANCALIA E AFAR

Mekele è anche la base di partenza per chi vuole addentrarsi in Dancalia. L'unico modo per farlo è tramite un tour organizzato, ed io qualche giorno prima ne ho prenotato uno di 3 giorni con un'agenzia locale che avevo contatto prima di partire.
La mattina però mi colpisce puntuale la Vendetta di Montezuma in salsa africana. Non il top visto cosa mi aspetta nei prossimi giorni...
La macchina mi passa a prendere ed insieme ad altre tre ragazze irlandesi, facendosi spazio tra i soliti pastori con bestiame al seguito, ci dirigiamo verso uno dei luoghi più infernali del pianeta. Passati i bellissimi campi coltivati del Tigray si apre davanti a noi la Rift Valley e, superato qualche posto di blocco, poco dopo siamo nell'Afar.










La Regione è prevalentemente musulmana ma non ci sono problemi di sorta con i cristiani. Nei villaggi che passiamo non è raro vedere una moschea ed un chiesa una di fronte all'altra.
La povertà qua è veramente tanta. Molte abitazioni sono un semplice ammasso di stecchi.




Ci fermiamo per il pranzo dove ci raggiunge la seconda macchina del nostro gruppo con due antropologhe Giapponesi in visita solo per oggi. Vivono ad Addis e studiano le tribù della Valle dell' Omo. Alla domanda com'è vivere in Etiopia la risposta è “Alcune volte difficile”. Non mi viene in mente qualcosa di più fuori dal mondo di una giapponese in Etiopia!




Mangiato il nostro pranzo faranji si riparte.








Poco prima di giungere alla nostra meta giornaliera ci fermiamo per caricare la guardia armata.
Questa zona fino a qualche mese fa, essendo a pochi chilometri dal confine eritreo, era considerata ad altissimo rischio. Infatti, in passato è stata teatro di rapimenti e attacchi che, sul “vicino” Erta Ale, hanno portato alla morte di 5 turisti nel 2012 ed 1 nel 2017.
Noi ne facciamo montare su una ma la guida ci dice che, vista la situazione attuale, viene fatto più per aiutare l'economia locale che per un reale bisogno. Solitamente per un gruppo come il nostro ne avrebbero prese 6-7.






Si prosegue entrando nella grande Piana del Sale che una volta era parte del Mar Rosso.






Lasciate le macchine ci incamminiamo. Siamo a -116 metri e ci sono 45°. La guida ce lo presenta come il posto più caldo al mondo e non stento a crederci. Dopo 5 minuti l'acqua che mi sono portato dietro è diventata tè caldo.
Non sono un geologo ma a quanto ho capito il Dallol (oltre ad essere il nome della vicina cittadina fantasma) è un cratere vulcanico collassato che presenta spettacolari formazioni, gayser e sorgenti acide dovute all'incontro tra il magma e il sale, molte delle quali nate in seguito all'ultima esplosione del 1926 ed in continua evoluzione. I colori psichedelici sono il risultato dell'alta presenza di minerali come potassio, magnesio e zolfo. Proprio gli italiani hanno costruito la prima miniera di potassio durante la prima guerra mondiale seguiti poi dagli Americani negli anni '50 che che hanno abbandonato il sito negli anni '60 a causa delle condizioni proibitive.
































Sarà stato il caldo ma ho dei ricordi un po' confusi di quei momenti! Torniamo alla macchina e si riparte facendo un po' di soste.

Questo è un “lago” in ebollizione a causa del gas sottostante. Essendo disciolti molti minerali la consistenza dell'acqua è oleosissima ed infatti la popolazione locale la usa come rimedio per la pelle.




Questa spaccatura nella crosta di sale è invece collegata direttamente al Mar Rosso. C'era la possibilità di fare il bagno ma vista la mia situazione ho rinunciato a malincuore.




Proseguendo incontriamo una carovana del sale pronta a partire. Quì, infatti, gli Afar estraggono le lastre di sale, rigorosamente a mano, che vengono poi caricate sul dorso dei dromedari e portate sull'altopiano per essere vendute. Siamo fortunati perchè la stagione è appena ricominciata dato che in estate si interrompe a causa delle temperature proibitive che possono superare facilmente i 50° (invece a 45° si sta da Dio!).
Avevo letto che ormai vista la costruzione di una strada (cinese ça va sans dire), l' esistenza delle carovane era a forte rischio. Chiedo dunque alla guida se ormai è una cosa turistica o no. Mi risponde che effettivamente la strada c'è, ma gli Afar si oppongono perchè toglierebbe loro il lavoro e, non di seconda importanza, per non perdere la loro cultura.L'antropologa giapponese mi dice che un collega tedesco ha fatto un documentario seguendo la carovana per 6 giorni.
Per arrivare a Mekele e tornare ci metteranno circa 2 settimane.










Pochi minuti dopo ci fermiamo sul lago Assale. Dopo essere stato ad Uyuni niente è paragonabile, ma è sempre un bel vedere!






Dopo 3 ore buone arriviamo alla “guesthouse” dove veniamo messi su dei materassi stile arabo. Prevedibilmente, vista la giornata ed i miei gorgoglii intestinali, la situazione si trasforma presto in una bagno di...sangue! Fortuna che c'è almeno un cesso (alla turca) ed una doccia (fredda).
Passata la nottata più di là che di qua, mi imbottisco di imodium e si riparte alla volta della prossima destinazione: il vulcano Erta Ale.
Purtroppo non è più l'Erta Ale di 3 anni fa, quando si poteva vedere un lago di lava permanente ad una decina di metri dal cratere. Nel 2015 un'eruzione ha fatto raddoppiare la grandezza del cratere e provocato la discesa del lago di 40-50 metri. Inoltre mentre prima era sempre visibile, adesso lo è raramente a causa del fumo. Insomma, devi avere culo.
Per strada si iniziano a vedere i risultati delle eruzioni passate. La zona è circondata da vulcani.






Cinesi sempre presenti. Anche quì stanno costruendo una strada.




Gli ultimi 60 chilometri li percorriamo in due ore e mezza buone, tra deserto e, soprattuto, lava su cui andiamo a passo d'uomo. In lontananza vediamo la nostra meta.






Arriviamo al campo base, delle capanne in pietra immerse in una valanga di spazzatura.
Le guide preparano i cammelli che porteranno il materiale in cima. Saranno poveri ma i kalashnikov non mancano.




Mangiamo e aspettiamo che cali il sole per partire. Nel frattempo sono arrivate numerose macchine di altre agenzie, ma partendo per il trekking in orari differenti ci accorgeremo appena della loro presenza.
Una di queste macchine fa parte del nostro gruppo. Sono quattro ragazzi cinesi. Rimango sconvolto quando uno di questi, che lavora come infermiere in un ospedale statale di Shangai, mi dice che ha solo 5 (C-I-N-Q-U-E) giorni di ferie l'anno! Dopo 10 anni 10 giorni, dopo 15 anni 15 giorni!

Passate un paio d'ore partiamo per fare le 3 ore che ci separano dal cratere. Tre cinesi affittano il cammello per andare su, ma data la scomodità se ne pentiranno presto.
Si cammina con la torcia sulla lava dura e tagliente seguiti da un paio di guardie armate. La poca vista che abbiamo è sciupata da buche piene di bottiglie di plastica. Davvero non capisco...c'è bisgno di essere ricchi per capire che fa semplicemente schifo?
Facciamo 2-3 soste per rifiatare godendoci il lo spettacolare cielo stellato sopra di noi, momento in cui l'infermiere decide di mettere la musica improvvisando un karaoke cinese. Grazie al cielo alla seconda volta la guida chiede di spengere.
Un'altra ragazza cinese, dopo essere scesa dal cammello per camminare, perde completamente la suola della scarpa suscitando l'ilarità e la rivalsa delle guide “Made in China! Made in China!”
Ad una ventina di minuti dalla cima inizamo a sentire le esalazioni di zolfo che provengono dal vulcano ed iniziamo ad indossare le sciarpe e le maschere.
Arrivati in cima posiamo qualcosa nel campo dove dormiremo stanotte e ci dirigiamo al cratere.






Quì la lava è recente ed è molto friabile. Come prevedibile il fumo è tanto e non si riesce a vedere niente. Però si riesce a sentire. Quello che inizialmente sembrava il rumore del vento si rivela essere invece il gorgogliare e l'esplodere della lava sottostante.
Aspettiamo un po' per vedere se cambia il vento e poi torniamo, ci riproveremo la mattina seguente.
Torniamo al nostro giaciglio per la notte che sono le 23 passate e la sveglia sarà alle 3.30.
Nonstante l'imodium abbia svolto la sua funzione fino a questo punto, sono comunque costretto a lasciare una traccia del mio pasaggio sull'Erta Ale.

La mattina torniamo sul cratere dalla parte opposta perchè il vento è girato e riusciamo a vedere, molto in lontananza e per una trentina di secondi, un po' di lava sul fondo. Purtroppo il meglio che sono riuscito a fare è questo (dalla foto appare più rossa di quel che era in realtà).






Dall'ultima eruzione si sono aperte altre spaccature in cui si può vedere la lava in superficie, ma si trovano a diverse ore di cammino e non è molto sicuro vista l'instabilità della lava fresca. Credo si possa andare solo con apposite spedizoni.

Riscendiamo al campo base all' alba e vediamo dove avevamo camminato la sera prima.










Fatta colazione ci dirigiamo verso il lago salato Afrera (o Giulietti) dove facciamo un bagno. L'alta presenza di sale ti fa galleggiare tipo Mar Morto. Appena dietro la spiaggetta è presente una sorgente termale con acqua caldissima. Vista la temperatura esterna non sarà il top, ma mi immergo comunque per pulirmi del sale.






Appena fuori dal lago sono presenti le vasche di raccolta del sale.




Dopo pranzo ripartiamo per Mekele, che raggiungiamo dopo qualche ora, e lasciamo le tre irlandesi direttamente al “Mekelle Alula Abanega International Airport". Peccato che le uniche 2-3 destinazioni che hanno siano tutti entro in confini nazionali!
Arrivo all'agenzia e, dato che nel prezzo mi ero accordato per farmi includere il trasfert per Lalibela, chiedo a che ora fosse. Il proprietario mi dice che non ne avevo più parlato. Ovviamente gli faccio vedere il messaggio di pochi giorni prima in cui ne parlavo eccome. Mi dice che allora ok, domani alle 9.
Mi dirigo alla guesthouse in cui ero stato l'ultima notte quà. Il giorno prima della partenza per il tour avevo detto alla proprietaria della guesthouse “Sabato torno, prenoto una camera ok?!” “OK” “Capito? Per Sabato!” “Ok, no problem!”. Appena varco la soglia e mi vede, mi guarda come se avesse visto la Madonna: “FULL!” mi dice. Alchè mi scappa un italianissimo “MA COME FULL CAZZO?!”. Dopo scuse e controscuse mi avventuro tra le strade limitrofe in cerca di un hotel e dopo 5-6 tentativi andati a vuoto vado a segno.
In hotel incontro due ragazzi eritrei che appena scoprono che sono italiano vanno in brodo di giuggiole invitandomi per un caffè. “Fratello! Devi venire ad Asmara! È una seconda Roma! Ha fatto tutto Mussolini!” e mi snocciolano una serie di parole italiano che usano correntemente tipo “marciapiede!”.
Di eritrei ce ne sono tanti quì a Mekele da quando è stato riaperto il confine, uniti a questa regione dal fatto che parlano la stessa lingua: il tigrigna. Vengono per trovare famiglie che non vedevano da anni o, come loro, in cerca di buisness. Gli eritrei che ho incontrato erano tutti entusiasti dell'Italia. Non che gli etiopi fossero ostili ma la percezione credo che sia diversa (per dire un paio di ragazzini mi hanno urlato scherzosamente “Adwa! Adwa!”)
Quando mi chiedono “Ma in Italia si parla dell'Eritrea?” non sapendo cosa dirgli dico che sì, a volte si parla dell'Eritrea...mi hanno fatto tenerezza e lasciato un sentimento di sedotti e abbandonati.
Poco dopo mi contatta il ragazzo dell'agenzia per mandarmi un emissario all'hotel e farmi dire che (guarda caso!) l'autista che veniva da Lalibela ha avuto un incedente e quindi mi rimborserà il costo dell'autobus. Ovviamente gli dico che è molto difficile da credere, ma non ho voglia di tirarla troppo per le lunghe e accetto. Domattina altra sveglia alla 4.
 
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Accidenti che panorami... Veramente peccato per le bottiglie e la sporcizia, credo che sia (anche) una questione di educazione. Ricordo cose simili in Sri Lanka e in Asia Centrale, purtroppo.
 

nicolap

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Bellissimo TR, davvero ben fatto. Foto superbe. Ho ricordi della Dancalia fantasmagorici, e rivederla in foto fa venir voglia di partire!

In hotel incontro due ragazzi eritrei che appena scoprono che sono italiano vanno in brodo di giuggiole invitandomi per un caffè. “Fratello! Devi venire ad Asmara! È una seconda Roma! Ha fatto tutto Mussolini!” e mi snocciolano una serie di parole italiano che usano correntemente tipo “marciapiede!”.
Di eritrei ce ne sono tanti quì a Mekele da quando è stato riaperto il confine, uniti a questa regione dal fatto che parlano la stessa lingua: il tigrigna. Vengono per trovare famiglie che non vedevano da anni o, come loro, in cerca di buisness. Gli eritrei che ho incontrato erano tutti entusiasti dell'Italia. Non che gli etiopi fossero ostili ma la percezione credo che sia diversa (per dire un paio di ragazzini mi hanno urlato scherzosamente “Adwa! Adwa!”)
L'Eritrea è stata una nostra colonia per lungo tempo, dal 1882 al 1941, e c'è una storia molto radicata e profonda, nonostante il passato coloniale. Gli eritrei hanno sentito molto la loro italianità e anche con l'indipendenza non hanno mai voluto cancellare il loro rapporto privilegiato con l'Italia. Con buona pace degli africanisti di estrazione marxista e terzomondista.
L'Etiopia invece è una realtà del tutto diversa. Non si considerano un ex colonia, ma solo un paese occupato per 4 anni dagli italiani, senza alcuna assimilazione e, soprattutto, senza mai aver accettato il ruolo della potenza coloniale.
 

FLR86

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Accidenti che panorami... Veramente peccato per le bottiglie e la sporcizia, credo che sia (anche) una questione di educazione. Ricordo cose simili in Sri Lanka e in Asia Centrale, purtroppo.
Un ragazzo australiano, incontrato successivamente, che aveva appena finito un periodo di lavoro in una ONG proprio nell'Afar mi diceva che per loro la plastica è un materiale nuovo e dunque è come fossero 70 indietro rispetto a noi. Per me è una mezza giustificazione, sopratutto nelle città dove con internet e TV hanno accesso a tutto quello che succedde nel mondo. Non hanno il senso del bene comune. Se vuoi vivere in modo moderno credo tu debba sviluppare una mentalità moderna.

Bellissimo TR, davvero ben fatto. Foto superbe. Ho ricordi della Dancalia fantasmagorici, e rivederla in foto fa venir voglia di partire!



L'Eritrea è stata una nostra colonia per lungo tempo, dal 1882 al 1941, e c'è una storia molto radicata e profonda, nonostante il passato coloniale. Gli eritrei hanno sentito molto la loro italianità e anche con l'indipendenza non hanno mai voluto cancellare il loro rapporto privilegiato con l'Italia. Con buona pace degli africanisti di estrazione marxista e terzomondista.
L'Etiopia invece è una realtà del tutto diversa. Non si considerano un ex colonia, ma solo un paese occupato per 4 anni dagli italiani, senza alcuna assimilazione e, soprattutto, senza mai aver accettato il ruolo della potenza coloniale.
Grazie. È esattamente l'impressione che ho avuto, anche se qualche parola italiana è rimasta pure in Etiopia.
 

nicolap

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anche se qualche parola italiana è rimasta pure in Etiopia.
L'italiano è diventato parte del tigrino, del somalo, dell'amarico, ecc. in funzione dell'apporto tecnologico e di modernità. La gran parte dei termini tecnico meccanici (volante, cambio, motore, ecc.) o di quelli riferiti ad innovazioni portate con l'esperienza coloniale (finestra, rubinetto, ecc.) sono mutuati direttamente dall'italiano. Nel corso degli ultimi vent'anni alcune trasformazioni hanno innovato, ma non sostituito alcuni di questi vocaboli.
 

edag75

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Foto e viaggio spettacolari!


Bellissimo TR, davvero ben fatto. Foto superbe. Ho ricordi della Dancalia fantasmagorici, e rivederla in foto fa venir voglia di partire!



L'Eritrea è stata una nostra colonia per lungo tempo, dal 1882 al 1941, e c'è una storia molto radicata e profonda, nonostante il passato coloniale. Gli eritrei hanno sentito molto la loro italianità e anche con l'indipendenza non hanno mai voluto cancellare il loro rapporto privilegiato con l'Italia. Con buona pace degli africanisti di estrazione marxista e terzomondista.
L'Etiopia invece è una realtà del tutto diversa. Non si considerano un ex colonia, ma solo un paese occupato per 4 anni dagli italiani, senza alcuna assimilazione e, soprattutto, senza mai aver accettato il ruolo della potenza coloniale.
Ad ulteriore conferma, come immagino saprai, Asmara presenta ancora oggi ben conservati molti elementi dell’architettura tipica dell’epoca, tanto che è stata riconosciuta come patrimonio dell’umanità dall’UNESCO.

https://www.ilpost.it/2017/07/11/asmara-la-piccola-roma-in-eritrea/
 

nicolap

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