Analisi: "Aeroporti, la politica del tutti contro tutti non paga"
Aeroporti, la politica del tutti contro tutti non paga
sergio luciano
Un decreto Burlando, tre decreti Bersani e un decreto Treu: ovvero, "Linate, all'inferno e ritorno". Per capire quale colossale pasticcio politico-economico sia riscoppiato sul settore aeroportuale italiano dopo l'accordo della «nuova» Alitalia con Air France e per quale ragione è inverosimile che se ne esca bene (e che la Lega abbia partita vinta nella sua pur comprensibile difesa di Malpensa), bisogna tornare con la memoria al 1998, quando l'attuale governatore della Liguria, Claudio Burlando, era ministro dei Trasporti del governo D'Alema, e partecipò validamente alla migliore trattativa mai fatta dalla vecchia Alitalia * allora guidata da Domenico Cempella, a sua volta il miglior capo azienda mai transitato in via della Magliana * con la compagnia di bandiera olandese Klm.
L'Alitalia, che grazie agli ottimi accordi sindacali fatti nel '96 da Cempella con il sindacato piloti e gli altri sindacati veniva da ben due anni consecutivi di bilanci in attivo, era un partner che faceva gola. E gli olandesi le si allearono volentieri, comprandone una quota di capitale e prenotando un'alleanza strategica che avrebbe dovuto condurre a una completa fusione, dove il ministero del Tesoro italiano e i soci di controllo della compagnia olandese avrebbero avuto una sostanziale parità di controllo. A una condizione: che Alitalia puntasse su Malpensa, facendone veramente quell'aeroporto di smistamento intercontinentale (in gergo: hub) che Fiumicino non era (allora) e che si sarebbe potuto perfettamente integrare, secondo gli olandesi, con il traffico gestito dall'aeroporto di Amsterdam, Shipol, efficientissimo ma saturo.
Affinché ciò avvenisse, era necessario che Alitalia trasferisse da Fiumicino a Malpensa la sua base di armamento (lo scalo, cioè, dove una compagnia mantiene parcheggiata la maggior parte degli aerei quando non volano, ne fa la manutenzione eccetera) e che Linate si riducesse a puro aeroporto cittadino, cedendo a Malpensa i propri voli da e per le capitali europee e i principali capoluoghi di regione italiani. Esigenza ovvia: se i cittadini campani, o siciliani o baresi fossero arrivati a Fiumicino o Linate e non a Malpensa dalle loro città di partenza avrebbero cercato di proseguire verso New York o Tokyo o San Paolo direttamente da quegli scali, senza sobbarcarsi l'ulteriore e lungo trasferimento da Fiumicino o Linate a Malpensa.
Quel famoso primo decreto Burlando prescriveva quindi che, nel giro di pochi anni, Linate avrebbe potuto conservare solo i voli-navetta per e da Roma. E prevedeva che da questa dieta dimagrante forzata di Linate, Malpensa avrebbe tratto nuovo spazio. Apriti cielo. Se il decreto piacque alla Sea * la società che gestiva sia Linate che Malpensa * e al Comune di Milano, che con la Regione Lombardia controlla appunto la Sea, non piacque affatto ai milanesi, per il quale il vicinissimo scalo di Linate era ed è molto più comodo di Malpensa, lontano 55 chilometri (130 euro, oggi, in taxi!) mal collegato via treno (una corsa ogni mezzora) e scomodo anche al suo interno.
Accadde quindi che da una parte gli enti locali di Roma (sindaco Francesco Rutelli) e del Lazio (governatore Francesco Storace) si schierarono contro il decreto Burlando, per tutelare il traffico su Fiumicino contro la prospettiva che il trasloco di Alitalia a Malpensa impoverisse lo scalo romano; la società Aeroporti di Roma, che gestiva Fiumicino, fu privatizzata, e venduta ai Benetton e alla famiglia Romiti, i quali ovviamente si schierarono a tutela dell'ormai loro aeroporto; infine anche la stessa Sea che, con il Comune di Milano e la Regione Lombardia era stata inizialmente favorevole all'accordo, iniziò una prudente retromarcia per la paura dei politici locali di scontentare i loro elettori.
Avvenne, insomma, che con tre successivi decreti il ministro Pierluigi Bersani, che subentrò a Burlando, e poi il ministro Tiziano Treu che gli si avvicendò, smontarono completamente il primo decreto; quindi Linate conservò tutti i suoi voli; e all'Alitalia l'opposizione sindacale al trasferimento di gran parte del personale da Roma a Milano scatenò tante agitazioni ,inducendo tanti sovra-costi (trasferte pagatissime, alberghi di prima categoria, taxi, autonoleggi eccetera), da mandare all'aria l¹intero progetto. Risultato: la Klm decise di recedere da quel fidanzamento con una promessa sposa assolutamente inaffidabile come si era dimostrata Alitalia. E, pur di mollarla, pagò una profumata penale con cui Alitalia imbellettò il bilancio 2001.
Oggi, a distanza di dieci anni, siamo esattamente al punto di prima: Air France chiede all'Alitalia una scelta secca: o Fiumicino o Malpensa. I politici lombardi e laziali sono schierati l'uno contro l'altro. Alitalia si dice pronta a scegliere Malpensa, come le chiede il governo, a patto che Linate chiuda (visto che oggi, con l'alta velocità ferroviaria, la meno gettonata navetta Milano-Roma non basterebbe a farlo funzionare). Ma di chiudere Linate nessuno osa parlare. E si sa che Air France, e quindi Alitalia, preferiscono in cuor loro di restare imperniati a Fiumicino. Insomma: niente di nuovo, e niente di serio.
Per disciplina di schieramento, la Lega dice di credere a un futuro autonomo di Malpensa anche senza Alitalia, in quanto i voli «saranno liberalizzati». Ma è una fiducia mal riposta, in quanto non basta la volontà di questa o quella compagnia aerea straniera, come per esempio Lufthansa, per spostare da Roma a Malpensa determinati voli, senza la corrispondente disponibilità degli Stati dai quali o per i quali quei voli partono. E in un quadro del genere, la politica commerciale della compagnia di bandiera, in questo caso la nuova Alitalia co-gestita dall'Air France pesa moltissimo sulle scelte degli stati stranieri.
Per dare a questa o quella compagnia straniera gli spazi che si libereranno a Malpensa occorrerebbero degli accordi statali bilaterali che senza il consenso delle rispettive compagnie di bandiera non quagliano mai.
La Lega non porterà a casa in concreto lo sbandierato risarcimento per Malpensa, la Sea avrà un grosso problema aziendale per far funzionare sia Malpensa che Linate, con meno voli Alitalia di oggi; e non è detto che alla lunga Air France consenta sempre che i voli Alitalia privilegino Fiumicino rispetto agli aeroporti francesi. Quindi, se il giudizio sull'utilità per il sistema Paese dell'operazione "Alitalia privata" va tenuto in sospeso, quello sul suo impatto sul sistema aeroportuale italiano può già essere dato: sarà un impatto decisamente negativo. E non è colpa di Air France, ma della mancanza di una qualunque politica nazionale dei trasporti in Italia. Da vent'anni a questa parte, a dir poco.
Sergio Luciano è direttore di Panorama Economy.
IL SECOLO XIX
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