Nuovo piano Alitalia: articolo di Piero Ostellino sul "Corriere del Ticino"
[SIZE=-1]Dal "Corriere del Ticino" 1/9/2008[/SIZE]
[SIZE=-1]COMMENTO[/SIZE]
[SIZE=-1]L’ Alitalia e la logica del profitto[/SIZE]
[SIZE=-1][SIZE=-1]Piero Ostellino[/SIZE]
[/SIZE][SIZE=-1]Roberto Colaninno, uno dei partecipanti alla cordata privata per il (cosiddetto) salvataggio di Alitalia ha detto: «Una cosa è certa, Alitalia è fallita. Per farla rinascere bisognava liberarla dei pesi del fallimento». Eugenio Scalfari (La Repubblica) – che con Francesco Giavazzi (Corriere della sera), Mario Deaglio (La Stampa) e altri – è uno dei critici più severi dell’operazione, ha scritto a sua volta che un imprenditore può fare molte cose, fra le quali «astenersi dal partecipare a operazioni che hanno un contenuto politico assai più che vantaggi economici per la collettività». [/SIZE]
[SIZE=-1]Personalmente credo che «il caso Alitalia» stia tutto nelle parole di Colaninno e in quelle di Scalfari. La soluzione è politica, ma sbaglia due volte Scalfari quando dice che un imprenditore serio dovrebbe astenersene proprio perché essa è politica e non presenta vantaggi per la collettività. Mio Dio. Santa ingenuità. È da almeno sessant’anni che i grandi imprenditori italiani partecipano a operazioni che con i vantaggi per la collettività non hanno nulla a che fare e molto a che vedere invece con la politica. Ma, da liberale, non vedo perché mai essi dovrebbero preoccuparsi della collettività e non del proprio profitto che è la sola molla che muove un imprenditore.[/SIZE]
[SIZE=-1]Non è dalla benevolenza del birraio e del macellaio che noi riceviamo la birra e la carne di cui ci approvvigioniamo – scriveva già Adam Smith nel Settecento – ma dalla ricerca del suo tornaconto di venditore. Che, poi, la ricerca del tornaconto del singolo imprenditore finisca col produrre «inconsapevolmente» un vantaggio per la collettività lo spiega ancora la dottrina liberale, da Mandeville (nel Settecento) a von Hayek (nel Novecento). [/SIZE]
[SIZE=-1]Non è, dunque, da questo lato che, secondo me, va giudicata l’operazione Alitalia.[/SIZE]
[SIZE=-1]Se alcuni imprenditori hanno aderito all’iniziativa con una sottoscrizione complessiva di un miliardo di euro (davvero poco), è evidente che un tornaconto personale pensano di averlo. E fin qui, niente di male. È nella logica imprenditoriale e delle cose (Adam Smith). [/SIZE]
[SIZE=-1]Il male, a mio avviso, sta nel fatto che il tornaconto è ambiguo, per non dire peggio. Innanzi tutto, perché i privati in questione sono per lo più imprenditori che hanno a che vedere con lo Stato, attraverso tariffe e concessioni fissate e concesse in via amministrativa di alcuni servizi pubblici che quegli stessi privati gestiscono (ad esempio, autostrade, comunicazioni, eccetera), e che fruiscono di commesse di Stato per grandi lavori pubblici e di altri vantaggi strettamente connessi alla politica.[/SIZE]
[SIZE=-1]È probabile, anche se non certo, che lo Stato (il governo) li ripagherà, o che abbia già promesso di ripagarli, dell’impegno in Alitalia (peraltro singolarmente modesto, a parte quello di Colaninno, 200 milioni di euro), andando loro incontro, prima o poi, nei campi dove già operano. Insomma, un profitto «indiretto» è assai probabile che essi l’abbiano e che l’abbiano anche presto. [/SIZE]
[SIZE=-1]In secondo luogo, perché è altresì probabile che, dopo i cinque anni fissati dall’accordo entro i quali non possono vendere, essi vendano a una qualche grande compagnia straniera – si tornerà a quando si pensava di venderla a Air France – ricavandoci una bella plusvalenza. Insomma, è probabile che il miliardo tirato fuori per Alitalia diventi due-tre-cinque miliardi. Anche qui non ci sarebbe molto da eccepire – è giusto che chi affronta i rischi di un investimento ne tragga un vantaggio – se il tutto non fosse la conseguenza di uno stravolgimento del diritto societario e che, a quel punto, a incassare i soldi della vendita non sarebbe più il Tesoro (lo Stato), azionista di maggioranza di Alitalia, come sarebbe stato se si fosse venduto subito a Air France, ma saranno i privati (che hanno comprato al riparo dell’ «ombrello» pubblico). [/SIZE]
[SIZE=-1]Alitalia sarà, infatti, divisa in una «bad company» (che si accollerà tutti i debiti e il personale in esubero) e in una «new company» (che ne avrà la «polpa»: aerei, diritti di atterraggio, diritti di volo, rotte, personale necessario).[/SIZE]
[SIZE=-1]Con un decreto del governo, che recepisce la Legge Marzano a favore della grande industria e sospende l’anti-trust per sei mesi, la nuova Alitalia godrà di questi vantaggi: [/SIZE]
[SIZE=-1]1) sarà salvaguardata da ogni rivendicazione da parte dei grandi creditori e del personale in esubero finiti nel fallimento della «bad company»; [/SIZE]
[SIZE=-1]2) si fonderà con Air One, producendo, di fatto e in diritto, una condizione di monopolio a proprio vantaggio sulla tratta Milano-Roma-Milano, con la relativa possibilità di fissare il prezzo del volo come meglio le piacerà; [/SIZE]
[SIZE=-1]3) a indennizzare i piccoli azionisti della vecchia compagnia sarà il Fondo di garanzia pubblico, già utilizzato per risarcire i risparmiatori di Parmalat e di Cirio; [/SIZE]
[SIZE=-1]4) il personale in esubero sarà assorbito da Poste, Ferrovie e altre società private che forniscono un servizio pubblico. [/SIZE]
[SIZE=-1]Era la sola soluzione possibile, a parte la svendita a Air France. È vero. Ma è anche una soluzione in sintonia con un’economia di mercato? Beh, qualche dubbio a me pare legittimo. Gaetano Salvemini – un socialista – avrebbe probabilmente detto che si tratta di un classico esempio di privatizzazione del profitto e di statalizzazione dei debiti.[/SIZE]
[SIZE=-1]Infine, si è creato un precedente di diritto societario. Che ogni imprenditore nei guai potrà impugnare, quanto meno polemicamente, dicendo al governo: «E io chi sono? Il figlio della serva che non posso godere dello stesso trattamento di Alitalia?». Questi i fatti. Ora giudichi il lettore.[/SIZE]