Non so quanto possa essere realizzabile certo è che una proposta del genere non l'avevo mai sentita prima. Non so voi
Se vuol vivere l’Alitalia si sdoppi
Pubblicato il 27/03/2017
mario deaglio
In un quadro economico in cui tutto sta cambiando con una rapidità impressionante, c’è una sola cosa che sembra non cambiare affatto: lo stato di crisi dell’Alitalia, la nostra travagliatissima «compagnia di bandiera», che, ancora una volta, sventola bandiera bianca. E innalza il vessillo della minaccia di insolvenza in attesa di nuovi capitali freschi. Lanciata a livello mondiale negli Anni 60 con le Olimpiadi di Roma, è divenuta la terza compagnia aerea europea dopo Lufthansa e British Airways.*
Poi, man mano che il trasporto aereo veniva liberalizzato, Alitalia scendeva di qualche gradino nelle classifiche internazionali dei passeggeri trasportati. Venivano erose le posizioni di monopolio sul mercato interno e non si conquistavano rilevanti quote di mercato su quello internazionale.*
Di qui ha inizio una storia, che si avvita su se stessa: alla caduta nelle classifiche fa da contrappunto la caduta del valore del titolo. Nel 2008 un «prestito-ponte» del governo salva la società mettendo la crisi a carico dei contribuenti. Si tenta la via delle alleanze industriali, a cominciare da quella con Air France, ma non la si porta a termine, mentre le rappresentanze sindacali assumono un ruolo crescente nella definizione della politica aziendale. Si giunge infine all’ingresso nel capitale, con il 49 per cento di Etihad, la dinamica compagnia di bandiera degli Emirati Arabi Uniti che inietta quasi 400 milioni di euro a inizio 2015 e suscita grandi speranze. *
Passano due anni, tutti sono convinti che i problemi siano in via di soluzione e invece ecco l’ipotesi di un nuovo «salvataggio» pubblico o para-pubblico; il che significa all’incirca che l’iniezione ricostituente è stata «consumata» al ritmo di più di dieci milioni al mese senza produrre la svolta prevista. Gli aerei sono solidi, ma il bilancio precipita.*
Perché quest’epilogo inatteso? Prima di tutto per uno sviluppo tecnologico che porta il nome di Frecciarossa e di Italo: tra il centro di Milano e il centro di Roma (là dove si accumulavano i profitti della «vecchia» Alitalia) i due marchi ferroviari ad alta velocità offrono un viaggio di durata non superiore a quella del viaggio aereo e di maggiore comodità. *
Per vincere queste sfide ci vorrebbero prezzi dei biglietti decisamente più bassi. A causa di un’organizzazione interna mai radicalmente rivista, quei prezzi non consentono però ad Alitalia di essere competitiva con le linee «low cost» come Ryanair e Easyjet che la superano da qualche anno nel numero dei passeggeri trasportati sulle tratte italiane.*
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Perché non si rivede l’organizzazione interna? Non solo per casi clamorosi di inefficienza e privilegi, peraltro in diminuzione in questi anni, ma per una sorta di «vendetta della geografia»: un paese lungo e stretto come l’Italia avrebbe tecnicamente bisogno di due «hubs», ossia aeroporti di transito e di interscambio di voli e destinazioni, nonché di rifornimento e manutenzione per gli aerei. Le dimensioni complessive del mercato italiano consentono però di averne uno solo a livello dei costi. In altri termini, l’Alitalia dovrebbe avere uno «hub» a Fiumicino e uno a Malpensa ma riesce, con fatica, a permettersi solo quello di Fiumicino.*
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Una soluzione, forse l’unica possibile, è quella di uno smembramento, con un’Alitalia-Fiumicino che, pur con qualche sovrapposizione, concentri le rotte mondiali verso il Sud e il Sud-Est e un’Alitalia-Malpensa che serva il fabbisogno delle rotte verso il Nord-Ovest e il Nord-Est. Con organizzazioni molto più snelle, chiari bacini regionali di utenza, il pareggio e l’utile di bilancio potrebbero diventare realtà. *
Naturalmente dovrebbe trattarsi di società del tutto indipendenti, aderenti ad «alleanze internazionali» differenti, con la proprietà almeno in parte diversa, in ogni caso pressoché totalmente privata: nell’epoca postglobale, mentre si celebrano i sessant’anni dell’Unione Europea non è più tempo di «compagnie di bandiera» finanziate con soldi pubblici. E forse si avvicina il tempo in cui le bandiere nazionali di ogni tipo serviranno soprattutto per le rievocazioni storiche.*