- 26 Aprile 2012
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Sono tempi duri per il triperportismo su Aviazione Civile. Il Gazza dei tripreportisti è ormai in vacanza permanente (le ultime lo davano in qualche resort all inclusive di Varadero, vestito di lino e dedito al fumo di sigari Havana), mentre la conclusione del viaggio polare di Dancrane è talmente dispersa che, in confronto, cosa accadde alla spedizione artica di John Franklin del 1845 è dominio pubblico. Il settore è in ginocchio, puntellato da pochi valorosi tipo I-DAVE, ma non temete: eccomi qui, pronto a dare al tripreportismo la finale rivoltellata nella nuca. Ma andiamo con ordine.
Siccome sono paraculo, vi propino un po’ di disclaimer e una promessa elettorale: il TR è lungo, ma pure tanto, perché tanto c’è da dire e da riportare. Secondo, non posso esimermi dal lanciare un po’ di bolemmiga sul mio amato-odiato datore di lavoro; se non v’interessa, quando vi trovate l’hashtag #BAchetistaifacendo saltate il capoverso a piè pari. Terzo, siccome la volta scorsa la GoPro non era piaciuta a nessuno, eccola che ritorna . La promessa elettorale è che questo TR verrà finito prima di quello di Dancrane.
Iniziamo.
Non è stato un periodo facile, quello da settembre ad oggi. Al di là dei soliti problemi lavorativi, l’intera sede centrale è alle prese con un periodo di tagli che oramai tutti chiamano culling, che è il verbo albionico adoperato quando si parla dell’eliminazione di animali divenuti infestanti, tipo i conigli o i cinghiali. La faccio breve, che le cose brutte interessano a nessuno; dopo cinque mesi in cui sono andato a più feste d’addio che cene di piacere, non vedo l’ora di cambiare aria per un po’.
La destinazione, Sri Lanka, è stata scelta per caso, guardando ai voli con più spazio a disposizione tra una lista di luoghi tropicali o semi-tali. L’itinerario è volutamente tranquillo, scansando le città più grandi e concentrato sul centro-sud del paese: Colombo, Galle, Mirissa, Udawalawe, Nuwara Eliya e, infine, Negombo. Per quanto riguarda l’IT di questo report, ossia gli avioni, l’itinerario è ugualmente semplice: LHR-DOH-CMB e ritorno, con le due tratte lunghe su BA, e il DOH-CMB affidato a Qatar Airways e Sri Lankan.
Andata: dove BA delude, e dove QR fa il minimo sindacale
Partire a tarda sera di un giorno feriale è un po’ una fregatura. Hai tempo, ma qualcosa, nel tuo subconscio, continua a ricordarti che hai un impegno, e finisce che passi la giornata a guardare l’orologio. Alla fine, due ore prima del volo, siamo al Terminal 5 dove, mi rendo conto con sdegno, qualche anima candida di Heathrow Airport Limited ha trovato un nuovo modo di fare soldi con la pubblicità, appendendola alla volta, rovinando così il colpo d’occhio.
Andiamo da Wagamama per una cena pre-volo, e m’imbatto nel foglietto che vi ripropongo qui sotto. Wagamama – e così anche Gordon Ramsay’s Plane Food, Itsu e altri – ha sempre fatto take-away, ma la pubblicità è apparsa solo da quando BA ha introdotto il buy onboard sul corto raggio. #BAchetistaifacendo…
Annunciano il gate, ed è al C, per cui si va con quello che l’aeroporto chiama TTS, acronimo per Track-transit system e tutti gli altri “trenino”. E qui, signori miei, ecco un altro #BAchetistaifacendo, per la precisione queste poracciate di stickers che qualche fenomeno ha deciso di appiccicare sui vetri e sulle porte del TTS, rimpiazzando i precedenti messaggi che datavano dall’inizio delle operazioni al T5.
Ora, BA ha cambiato partner di marketing, da Ogilvy & Mather a un’altra azienda, che non cito per pudore e perché proprio non me la ricordo. Ogilvy è quella della pubblicità The Aviators, che quando l’hanno svelata all’auditorium di Waterside non c’era un occhio asciutto a contarlo e tutti avevano il petto gonfio, il groppo in gola e la voce strozzata. E ora c’abbiamo questi qui, che oltre a questa meraviglia (già spelacchiata, notare che ”at” è andato disperso) hanno riempito pure Gatwick di immondizia, guardare qui per credere.
Sia come sia, arriviamo all’aereo – altra delusione, a sbrigarsi il BA123 di oggi è G-VIID, di solito questo volo è operato dai 772 (non –ER), che ancora mi mancano – e imbarchiamo. I posti sono i soliti, 10F/G, dato che, con grande sorpresa dei bookies, 8200 ancora non m’ha dato il benservito. L’intrattenimento di bordo è con i Thales, che mi piaceva molto finché non ho avuto modo di provare il Panasonic eX3 montato sui 747 retrofittati; però, chicca delle chicche, nella categoria folk c’è lo splendido Cold Fact di Rodriguez. Rodriguez, sciampagn e lie-flat: non può andare meglio di così.
Menu. Decido di saltare a piè pari la cena, puntando alla colazione. Avevo vaghe memorie di voli da e per Dubai, in cui la cena era uno spuntino, e il vero pasto era la colazione, col servizio conosciuto come “Goodnight express”.
Dormo per cinque ore, e al risveglio capisco che non ho capito una bega, e che il “Goodnight express” esiste, ma sui voli dal Medio Oriente verso Londra, quelli che partono tardi, verso mezzanotte. La colazione, infatti, è la più patetica che abbia mai mangiato su BA (eccolo, un altro #BAchetistaifacendo!).. Il menu parla di “frutta fresca”, e quella che arriva è una minuscola selezione di pezzi di legno acerbi conditi con una salsina di mango presentata in un elegantissimo dosimetro da detersivo, più una vaschetta colma di una squisita miscela di ossigeno, azoto, anidride carbonica (e, mi sa, anche un po’ di metano). Aria, nzomma.
Mangio ciò che passa per “frutta fresca”, e poi arriva un assistente di volo – ah, menzione per loro, sono stati molto bravi – con un cesto e l’aria più imbarazzata che ho visto dai tempi delle conferenze stampa di TEPCO all’indomani della fusione a Fukushima. ”May I offer you a… (pomo d’Adamo che va su e giù) …erm, a pesto Danish pastry?” mi dice l’uomo, prima di offrirmi un triangolo di tre cm di ipotenusa, della consistenza del cartone, che sapeva di pesto e funghi quanto la mia coscia destra una volta cotta alla piastra. Non so immaginarmi come ci si debba sentire a dover servire quest’immondizia a 48 passeggeri che hanno pagato duemila sterline a cranio. Mr Cruz dice che l’anno prossimo verranno investiti 400 milioni su Club. Speriamo che trovino anche una sterlina per comprare un panino al bacon da Greggs.
Scendiamo parecchio delusi e, personalmente, preoccupato per lo stato delle cose. Certo, il sole è alto, i conti bene in ordine e gli aerei pieni; ma per quanto? Come diceva George W Bush, c’è un detto in Tennessee (o Texas?) “Fool me once…”. E non tutti sono boccaloni come W.
Siamo a Doha, aeroporto noto e stranoto, e quindi mi limito ad includere solo qualche foto. Personalmente trovo che Hamad Int’l mangi in testa a DXB, e usi AUH come straccio per i pavimenti, malgrado i colori un po’ troppo bui. In più s’è anche dotato di uno splendido trenino automatico che fa molto futurismo, e che gli fa perdonare – ma solo per poco, eh – quella specie di faro per bimbiminkia che è l’orsetto con la lampada in testa.
Ci fermiamo a prendere un caffè e fuori c’è lui, India Delta. Guardiamo il pilota fare il suo bravo walkaround, controllando che tutto sia come deve essere. Guardo ancora una volta la coda BA, sola in mezzo a una marea di orici. Dai, nonostante tutto ti voglio ancora bene.
M’ero ripromesso di non volare più QR, ma tariffe basse su staff travel, l’Airbus A340-600 e i tanti posti liberi mi fanno cambiare idea. Saliamo a bordo per il secondo volo della giornata: il ferro, che ero solito vedere su LHR fino a qualche anno fa, è oramai sulla via del pensionamento (”We don’t fly crap airplanes”, diceva non troppo tempo fa quel capolavoro di understatement e rispetto della safety di Akbar Al Baker), ma su qualsiasi altra compagnia sarebbe un aereo di punta. Anche l’IFE è di livello, se si ignorano le obbligatorie pubblicità prima di qualsiasi programma, l’irritante safety briefing coi calciatori del Barcellona – ripetuto due volte, in inglese e arabo – la preghiera e lo spot sul turismo in Qatar. Voglio dire, c’è “Die Hard”.
Due cose sono rimaste inalterate dalle mie esperienze pregresse con QR. Il cibo, nonostante una presentazione molto carina, è scialbo – ci sono tre cubetti di pollo, e il curry non ha pepe – e il crew è come al solito mediocre. Quanto erano bravi, proattivi e ciarlieri quelli su BA, tanto questi sono svogliati, afoni e con un inglese onestamente non all’altezza. Prendi ad esempio quella che ritengo sia la capocabina di economy, con la divisa scura. Non un sorriso, e alla domanda su cosa sia il piatto vegetariano risponde, senza nemmeno guardare, ”It’s rice and I don’t remember what else. You want it or not?”. Cinque stelle, ah si.
Il volo procede sciolto, in un’atmosfera di esaltata ignoranza. Davanti a me parte la sfida Cechia-Russia a russate; alla mia sinistra il signore seduto al finestrino si trova sotto assedio da parte di nudi piedi mitteleuropei. Dopo quattro ore, sulle ali di una cacofonia di suonerie di telefono, ci allineiamo e atterriamo al Bandaranaike International, dove ci attende uno sbarco dai remoti – cosa che mi piace sempre molto – e l’aeroporto più strano che mi sia capitato di vedere da un po’ di tempo a questa parte, in cui il duty free offre alcol, profumi e… lavatrici, frigoriferi ed elettrodomestici vari.
Nelle prossime puntate: cronache da un’isola meravigliosa, una piacevole scoperta – Sri Lankan – e la redenzione di BA. Più un pacco qatariota. Ma ora, pubblicità!
Siccome sono paraculo, vi propino un po’ di disclaimer e una promessa elettorale: il TR è lungo, ma pure tanto, perché tanto c’è da dire e da riportare. Secondo, non posso esimermi dal lanciare un po’ di bolemmiga sul mio amato-odiato datore di lavoro; se non v’interessa, quando vi trovate l’hashtag #BAchetistaifacendo saltate il capoverso a piè pari. Terzo, siccome la volta scorsa la GoPro non era piaciuta a nessuno, eccola che ritorna . La promessa elettorale è che questo TR verrà finito prima di quello di Dancrane.
Iniziamo.
Non è stato un periodo facile, quello da settembre ad oggi. Al di là dei soliti problemi lavorativi, l’intera sede centrale è alle prese con un periodo di tagli che oramai tutti chiamano culling, che è il verbo albionico adoperato quando si parla dell’eliminazione di animali divenuti infestanti, tipo i conigli o i cinghiali. La faccio breve, che le cose brutte interessano a nessuno; dopo cinque mesi in cui sono andato a più feste d’addio che cene di piacere, non vedo l’ora di cambiare aria per un po’.
La destinazione, Sri Lanka, è stata scelta per caso, guardando ai voli con più spazio a disposizione tra una lista di luoghi tropicali o semi-tali. L’itinerario è volutamente tranquillo, scansando le città più grandi e concentrato sul centro-sud del paese: Colombo, Galle, Mirissa, Udawalawe, Nuwara Eliya e, infine, Negombo. Per quanto riguarda l’IT di questo report, ossia gli avioni, l’itinerario è ugualmente semplice: LHR-DOH-CMB e ritorno, con le due tratte lunghe su BA, e il DOH-CMB affidato a Qatar Airways e Sri Lankan.
Andata: dove BA delude, e dove QR fa il minimo sindacale
Partire a tarda sera di un giorno feriale è un po’ una fregatura. Hai tempo, ma qualcosa, nel tuo subconscio, continua a ricordarti che hai un impegno, e finisce che passi la giornata a guardare l’orologio. Alla fine, due ore prima del volo, siamo al Terminal 5 dove, mi rendo conto con sdegno, qualche anima candida di Heathrow Airport Limited ha trovato un nuovo modo di fare soldi con la pubblicità, appendendola alla volta, rovinando così il colpo d’occhio.

Andiamo da Wagamama per una cena pre-volo, e m’imbatto nel foglietto che vi ripropongo qui sotto. Wagamama – e così anche Gordon Ramsay’s Plane Food, Itsu e altri – ha sempre fatto take-away, ma la pubblicità è apparsa solo da quando BA ha introdotto il buy onboard sul corto raggio. #BAchetistaifacendo…

Annunciano il gate, ed è al C, per cui si va con quello che l’aeroporto chiama TTS, acronimo per Track-transit system e tutti gli altri “trenino”. E qui, signori miei, ecco un altro #BAchetistaifacendo, per la precisione queste poracciate di stickers che qualche fenomeno ha deciso di appiccicare sui vetri e sulle porte del TTS, rimpiazzando i precedenti messaggi che datavano dall’inizio delle operazioni al T5.

Ora, BA ha cambiato partner di marketing, da Ogilvy & Mather a un’altra azienda, che non cito per pudore e perché proprio non me la ricordo. Ogilvy è quella della pubblicità The Aviators, che quando l’hanno svelata all’auditorium di Waterside non c’era un occhio asciutto a contarlo e tutti avevano il petto gonfio, il groppo in gola e la voce strozzata. E ora c’abbiamo questi qui, che oltre a questa meraviglia (già spelacchiata, notare che ”at” è andato disperso) hanno riempito pure Gatwick di immondizia, guardare qui per credere.
Sia come sia, arriviamo all’aereo – altra delusione, a sbrigarsi il BA123 di oggi è G-VIID, di solito questo volo è operato dai 772 (non –ER), che ancora mi mancano – e imbarchiamo. I posti sono i soliti, 10F/G, dato che, con grande sorpresa dei bookies, 8200 ancora non m’ha dato il benservito. L’intrattenimento di bordo è con i Thales, che mi piaceva molto finché non ho avuto modo di provare il Panasonic eX3 montato sui 747 retrofittati; però, chicca delle chicche, nella categoria folk c’è lo splendido Cold Fact di Rodriguez. Rodriguez, sciampagn e lie-flat: non può andare meglio di così.

Menu. Decido di saltare a piè pari la cena, puntando alla colazione. Avevo vaghe memorie di voli da e per Dubai, in cui la cena era uno spuntino, e il vero pasto era la colazione, col servizio conosciuto come “Goodnight express”.


Dormo per cinque ore, e al risveglio capisco che non ho capito una bega, e che il “Goodnight express” esiste, ma sui voli dal Medio Oriente verso Londra, quelli che partono tardi, verso mezzanotte. La colazione, infatti, è la più patetica che abbia mai mangiato su BA (eccolo, un altro #BAchetistaifacendo!).. Il menu parla di “frutta fresca”, e quella che arriva è una minuscola selezione di pezzi di legno acerbi conditi con una salsina di mango presentata in un elegantissimo dosimetro da detersivo, più una vaschetta colma di una squisita miscela di ossigeno, azoto, anidride carbonica (e, mi sa, anche un po’ di metano). Aria, nzomma.

Mangio ciò che passa per “frutta fresca”, e poi arriva un assistente di volo – ah, menzione per loro, sono stati molto bravi – con un cesto e l’aria più imbarazzata che ho visto dai tempi delle conferenze stampa di TEPCO all’indomani della fusione a Fukushima. ”May I offer you a… (pomo d’Adamo che va su e giù) …erm, a pesto Danish pastry?” mi dice l’uomo, prima di offrirmi un triangolo di tre cm di ipotenusa, della consistenza del cartone, che sapeva di pesto e funghi quanto la mia coscia destra una volta cotta alla piastra. Non so immaginarmi come ci si debba sentire a dover servire quest’immondizia a 48 passeggeri che hanno pagato duemila sterline a cranio. Mr Cruz dice che l’anno prossimo verranno investiti 400 milioni su Club. Speriamo che trovino anche una sterlina per comprare un panino al bacon da Greggs.

Scendiamo parecchio delusi e, personalmente, preoccupato per lo stato delle cose. Certo, il sole è alto, i conti bene in ordine e gli aerei pieni; ma per quanto? Come diceva George W Bush, c’è un detto in Tennessee (o Texas?) “Fool me once…”. E non tutti sono boccaloni come W.
Siamo a Doha, aeroporto noto e stranoto, e quindi mi limito ad includere solo qualche foto. Personalmente trovo che Hamad Int’l mangi in testa a DXB, e usi AUH come straccio per i pavimenti, malgrado i colori un po’ troppo bui. In più s’è anche dotato di uno splendido trenino automatico che fa molto futurismo, e che gli fa perdonare – ma solo per poco, eh – quella specie di faro per bimbiminkia che è l’orsetto con la lampada in testa.





Ci fermiamo a prendere un caffè e fuori c’è lui, India Delta. Guardiamo il pilota fare il suo bravo walkaround, controllando che tutto sia come deve essere. Guardo ancora una volta la coda BA, sola in mezzo a una marea di orici. Dai, nonostante tutto ti voglio ancora bene.

M’ero ripromesso di non volare più QR, ma tariffe basse su staff travel, l’Airbus A340-600 e i tanti posti liberi mi fanno cambiare idea. Saliamo a bordo per il secondo volo della giornata: il ferro, che ero solito vedere su LHR fino a qualche anno fa, è oramai sulla via del pensionamento (”We don’t fly crap airplanes”, diceva non troppo tempo fa quel capolavoro di understatement e rispetto della safety di Akbar Al Baker), ma su qualsiasi altra compagnia sarebbe un aereo di punta. Anche l’IFE è di livello, se si ignorano le obbligatorie pubblicità prima di qualsiasi programma, l’irritante safety briefing coi calciatori del Barcellona – ripetuto due volte, in inglese e arabo – la preghiera e lo spot sul turismo in Qatar. Voglio dire, c’è “Die Hard”.

Due cose sono rimaste inalterate dalle mie esperienze pregresse con QR. Il cibo, nonostante una presentazione molto carina, è scialbo – ci sono tre cubetti di pollo, e il curry non ha pepe – e il crew è come al solito mediocre. Quanto erano bravi, proattivi e ciarlieri quelli su BA, tanto questi sono svogliati, afoni e con un inglese onestamente non all’altezza. Prendi ad esempio quella che ritengo sia la capocabina di economy, con la divisa scura. Non un sorriso, e alla domanda su cosa sia il piatto vegetariano risponde, senza nemmeno guardare, ”It’s rice and I don’t remember what else. You want it or not?”. Cinque stelle, ah si.



Il volo procede sciolto, in un’atmosfera di esaltata ignoranza. Davanti a me parte la sfida Cechia-Russia a russate; alla mia sinistra il signore seduto al finestrino si trova sotto assedio da parte di nudi piedi mitteleuropei. Dopo quattro ore, sulle ali di una cacofonia di suonerie di telefono, ci allineiamo e atterriamo al Bandaranaike International, dove ci attende uno sbarco dai remoti – cosa che mi piace sempre molto – e l’aeroporto più strano che mi sia capitato di vedere da un po’ di tempo a questa parte, in cui il duty free offre alcol, profumi e… lavatrici, frigoriferi ed elettrodomestici vari.




Nelle prossime puntate: cronache da un’isola meravigliosa, una piacevole scoperta – Sri Lankan – e la redenzione di BA. Più un pacco qatariota. Ma ora, pubblicità!