In teoria, la cessazione dell'attività aziendale può avvenire volontariamente (liquidazione e scioglimento) o involontariamente (fallimento o altra procedura concorsuale). Il risultato finale è lo scioglimento di tutti i rapporti contrattuali, compresi quelli di lavoro.
Sempre in teoria, la cessione del ramo d'azienda non implica la risoluzione dei contratti di lavoro. Può darsi che vi sia una procedura speciale per imprese in crisi, bisogna chiedere ad un giuslavorista.
In pratica, c'è la solita tensione tra, da un lato, la volontà dei lavoratori (e spesso dei sindacati) di preservare i rapporti di lavoro e, se possibile, i benefici esistenti, e, dall'altro lato, la volontà imprenditoriale di ridurne l'onerosità.
Un'introduzione un po' datata:
http://www.altalex.com/index.php?idnot=42695
Qualche precisazione giurisprudenziale:
http://www.diritto24.ilsole24ore.co...tutela-reale-nel-trasferimento-d-azienda-.php
Una visione un po' di parte ma efficace:
http://avvocatolavoro-d.blogautore....-in-cui-ci-si-poteva-fidare-dellart-2112-c-c/
Riassumendo, i licenziamenti si potrebbero fare in capo alla società esistente, che diventando bad co. si tiene i contenziosi e viene poi liquidata. Non si potrebbero fare nel ramo d'azienda ceduto.
Quelli descritti sono principi generali, poi chi ha fatto i contratti è un superspecialista pagato oro e probabilmente ha messo in piedi un sistema che evita quanto ho scritto.
Il problema vero è che l'azienda che ricorre a questo è in pessime acque ed è difficile ottenere chiarezza per i lavoratori (ma anche per i creditori). La soluzione classica e più pulita per il mercato e per il diritto è lasciare che l'azienda sia liquidata o dichiarata insolvente: tutto il resto è un compromesso e genera necessariamente incertezze.