...o quasi!
take a look
da qualche parte ci sono anche le foto dei macchi idro a stelle e strisce!
http://www.mauroantonellini.com/joomla/pubblicazioni/53-articoli/104-la-usnaval-air-station-di-porto-corsini
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[TD="class: contentheading"] La U.S.Naval Air Station di Porto Corsini [/TD]
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Gli Americani immediatamente apprezzarono la proposta italiana di operare da Porto Corsini. Essa in effetti avrebbe offerto loro la possibilità di combattere giovando al morale dei loro militari e rafforzando il prestigio presso gli alleati. Porto Corsini si trovava di fronte a Pola dove era ancorata la flotta austriaca e dove era attiva una delle più importanti basi di sommergibili tedeschi e austriaci che operavano nel Mediterraneo.
Alle prime ore del mattino del 24 luglio 1918 giunse pertanto dalla base francese di Pauillac un convoglio ferroviario comandato dal Bosn(T) pilota Gioacchino Varini con 331 tra ufficiali, sottufficiali e marinai e 260 tonnellate di equipaggiamenti sotto il comando del Lieutenant Willis B. Haviland proveniente dalla base di Dunkirk. Dal giorno seguente la base idrovolanti diventò formalmente U.S. Naval Air Station sostituendo la 263ª Squadriglia.
La scelta di Haviland quale comandante fu motivata dalla sua grande esperienza umana e militare. Allo scoppio della guerra in Europa egli aveva prestato servizio volontario nell’American Field Service e poi aveva fato parte della Squadriglia Lafayette. Un curriculum di tutto rispetto, quindi, per colui che fu chiamato a comandare la U.S. Air Station di Porto Corsini, la prima ed unica unità operativa dell’Aviazione della Marina americana in Italia.
Callan che, in accordo con Haviland, per agevolare la preparazione del contingente americano aveva già provveduto a selezionare i piloti provenienti dalla scuola di Bolsena ed a ordinare i velivoli necessari, gli suggerì di scegliere fra i suoi compagni in Francia alcuni piloti di fiducia ed anche alcuni osservatori, poiché non ne erano stati addestrati.
Quando Haviland arrivò era ammalato. Per aiutarlo Callan inviò l’Ensign Walter White e il comando fu affidato all’Executive Officer Lieutenant George W. Almour. Oltre ai piloti provenienti da Bolsena era giunto anche un gruppo di meccanici che erano stati addestrati presso le diverse ditte italiane costruttrici degli apparecchi e dei motori.
Alla mezzanotte del 25 luglio gli austriaci diedero il benvenuto ai nuovi arrivati attaccando con sei apparecchi, tra i 2.000 e i 3.000 metri di quota, prima il Porto canale Lamone erroneamente ritenuto Porto Corsini, poi quest’ultima località. Gli aerei del tipo Brandenburg W.13 erano: K 370 (Falzari-Kirchmayer-Kühnel), K 377 (Sommer-Elsner-Tomek), K 393 (Aigner-Riedl-Czipser), K 396 (Mayr-Müller-Sziklay), K 403 (Lang-Jovanovics-Stinner), K 380 (Schachinger-Polinak-Strimizer).
Complessivamente l’attacco durò 50 minuti e furono sganciati 1.200 kg di bombe tra incendiarie ed esplosive. La base non fu colpita; a causa della foschia alcune bombe caddero a circa 400 metri di distanza e altre si dispersero nelle valli e nei canali attorno. Furono causati solo lievi danni a due fabbricati civili, non vi fu nessuna vittima e il tiro di interdizione impedì ai velivoli nemici di portarsi su Ravenna. Uno di essi raggiunse Bellaria senza colpire nessun obiettivo.
Incrociarono in mare a protezione dell’operazione degli idrovolanti le navi Csepel, Balaton, Orjen.
Il capitano di fregata Giulio Valli ordinò al capitano Capuzzo la cessione immediata del comando della base e del materiale di volo agli americani, lo scioglimento della squadriglia e il trasferimento dei suoi uomini ad altri reparti.
Solo il sergente Umberto Guarnieri rimase a Porto Corsini, su richiesta del comandante Haviland colpito dalle sue spiccate doti di pilotaggio, e continuò ad operare congiuntamente agli equipaggi americani. Gli aeroplani portavano la numerazione e le coccarde italiane e, come d’uso in quel periodo, venivano talvolta decorati con bande colorate, scritte o insegne personali. L’unica insegna che caratterizzava l’appartenenza alla U.S. Navy, accanto alla coccarda tricolore sulla fusoliera, era una capra alata recante sul fianco la scritta Navy. Fu questo il motivo per cui la base di Porto Corsini fu chiamata “goad island”, l’isola delle capre.
Il materiale di volo era costituito da FBA per ricognizione, pattugliamento antisommergibile e bombardamento leggero e Macchi M.5 monoposto per la caccia. L’intenzione, in origine, era quella di utilizzare anche i grossi idrovolanti da bombardamento Curtiss Hs 2Ls, bimotori dotati di due Liberty da 400 hp ciascuno, gli stessi usati sul canale della Manica nelle basi in Francia e in Inghilterra, ma la loro apertura alare era troppo larga per il canale Candiano, quindi si scelsero i Macchi M.8, monomotori da ricognizione e bombardamento la cui apertura alare era compatibile con la larghezza del canale, dei quali però si lamentò la scarsa capacità di carico.
Haviland, per ovviare ai problemi di comprensione fra i nuovi venuti e gli italiani dovuti alla diversità della lingua, aveva richiesto di inviare a Porto Corsini il Boatswain Gioacchino Varini di origini italiane, nato a Venezia ed emigrato a S. Francisco da ragazzo, che era stato un pioniere del volo: il suo brevetto portava il numero (NA) 62. Il fatto che egli parlasse correntemente sia l’inglese che l’italiano e che fosse pienamente inserito nella cultura e nelle usanze della nostra nazione, rese relativamente facile la transizione e l’integrazione degli uomini della Marina americana nella comunità locale.
Gli italiani consegnarono ai loro successori la base operativa così come essa si trovava, ma i militari statunitensi ritennero che il Governo italiano non avesse soddisfatto pienamente gli accordi: mancavano attrezzature appropriate, l’equipaggiamento era carente e gli apparecchi pronti all’uso erano solo otto, su trenta consegnati. A causa della mancanza di pezzi di ricambio poteva essere eseguita una manutenzione solo parziale e alcuni aerei avrebbero avuto bisogno di essere addirittura rimandati in fabbrica. La base, insomma, non fu giudicata pronta ad entrare in servizio attivo.
La situazione fu in breve parzialmente risolta tanto che il 28 agosto erano operativi cinque FBA, quattro M.5 e quattro M.8. Per mettere in sesto una completa linea di volo fu però necessaria l’assegnazione di nuovi aerei: sei M.5 furono spediti a Porto Corsini il 6 settembre, ma giunsero in ritardo rispetto alle principali operazioni di agosto.
I nuovi arrivati erano entusiasti ed impazienti di entrare in azione per misurarsi col nemico. Non si accontentavano di effettuare solo voli di ricognizione o lancio di volantini e chiesero ed ottennero dal Comando dell’Alto Adriatico il permesso di compiere raid per il bombardamento delle basi austriache. Fra il personale della NAS era presente il Dr. Clinton Githens DeFoney ufficiale medico che imparò a volare sul Macchi M.5: fu il primo medico pilota della Marina americana. Infatti i responsabili della sanità della US. Navy ritenevano che solo dopo aver sperimentato in prima persona gli effetti del volo i medici avrebbero potuto affrontare meglio i problemi di salute che potevano interessare i piloti ed i loro equipaggi.
L’11 agosto l’attività a Porto Corsini fu turbata da un grave incidente. Il Landsman for Quartermaster James L. Goggins (classe 1890), esperto pilota e già istruttore alla scuola di Bolsena, durante un volo con un Macchi M.5, per ragioni imprecisate, si schiantò al suolo incendiandosi nelle vicinanze della base. Fu l’unico americano a morire in Italia a bordo di un Macchi M.5. Il Resto del Carlino diede notizia dei funerali scrivendo in data giovedì 15 agosto: “... il feretro era posto su un affusto di cannone, trainato da sei cavalli, coperto di fiori e contornato da sottufficiali e marinai americani. Seguivano i gonfaloni del Municipio e della Provincia, le autorità civili e militari, le rappresentanze dei vari comitati di assistenza e di molte associazioni cittadine e colossali corone portate a braccio da soldati di ogni arma. Fuori Porta Serrata, il sindaco rag. Buzzi con nobilissime parole salutò la salma, le truppe presentarono le armi e la folla che gremiva ogni strada s’inchinò riverente e commossa mentre la banda militare intonò l’Inno Americano.”
Nella notte tra il 16 ed il 17 agosto scomparve il dirigibile italiano A1 mentre si dirigeva ad attaccare Cattaro. Il 18 agosto sei idrovolanti della base presero parte alle sue ricerche, condotte anche con mezzi navali, purtroppo senza esito positivo.
Azioni aeree del 21 e 22 agosto 1918
Il 21 agosto 1918 la NAS divenne completamente operativa e fu organizzata una missione che aveva lo scopo di lanciare manifestini su Pola per demoralizzare i militari nemici e allo stesso tempo per tenere alto lo spirito della popolazione italiana.
Decollarono due bombardieri e cinque caccia, ma in seguito a intervenute difficoltà ai motori, un caccia ed un bombardiere giunsero in ritardo all’appuntamento. Si trovarono invece regolarmente sull’obiettivo un Macchi M.8 (19008) carico di materiale propagandistico pilotato da l’Ensign Walter White con l’osservatore Ensign Albert Taliaferro e quattro Macchi M.5 con Ensign George H. Ludlow (13015) quale capo pattuglia seguito da Ensign Austin Parker (7299), Ensign Charles A. Hammann (7229) e da Ensign Dudley A. Voorhees (7225) che facevano da scorta. Il gruppo si avvicinò a Pola da sud e alle 11.20, giunto sul cielo della città, lanciò il materiale. Il fuoco delle batterie antiaeree della difesa fu scarso ed impreciso.
Mentre i manifestini cadevano sulla città, quattro caccia terrestri della Marina austriaca - Phönix D.I A 117 (Lang), A 111 (Pramberger), A 102 (Gindl), e A 118 (Wollemann) - decollarono dal vicino campo di Altura con il compito di difendere il cielo della città e fecero rapidamente quota per intercettare gli incursori. Anche due idrovolanti furono visti alzarsi, ma scomparvero e non parteciparono al combattimento. Tre caccia austriaci si posizionarono a ovest della pattuglia americana con l’evidente scopo di tagliare loro la strada del ritorno. Alle 11.25 il capo pattuglia Ludlow diede l’ordine di attaccare il gruppo dei tre Phönix e da 2.500 metri di quota si tuffò in picchiata su di loro. Lo seguirono a distanza ravvicinata Parker e Hammann, mentre l’M.5 di Voorhees non potè seguire i compagni avendo entrambe le mitragliatrici fuori uso.
Ludlow attaccò l’aereo di testa poi, in virata, puntò su quello di sinistra. Fu subito dopo il capo pattuglia austriaco a eseguire una picchiata, a sua volta inseguito da Parker che sparava con la sola arma di sinistra essendo l’altra inceppata. L’americano tentò di sbloccare l’arma, ma si accorse di non riuscirvi e di non poter seguire il nemico in picchiata, così abbandonò il combattimento dopo avere sparato su di lui tutti i colpi rimasti. Ludlow rimase quindi solo a dovere fronteggiare due aerei nemici. Contemporaneamente Hammann impegnava gli altri due austriaci.
Nel combattimento si vide scendere fumando il Phönix A 102 di Gindl, secondo le fonti austriache, costretto a ritornare al suo campo vittima di un principio di incendio per autocombustione delle munizioni al fosforo. Ludlow fu inquadrato nel mirino delle mitragliatrici dell’A 118 di Wollemann: i colpi dell’austriaco andarono a segno sul Macchi, colpirono il magnete, perforarono il radiatore e il blocco motore. Ludlow eseguì un’immediata virata per liberarsi dall’attaccante in coda e nello stesso tempo spegnere il principio di incendio. L’altro austriaco lo seguì nella discesa continuando a sparare fino a cento metri dall’acqua: ormai il motore si era arrestato e l’aereo precipitava in vite. Ludlow riuscì a riprendere il controllo della macchina all’ultimo momento e ammarò dodici miglia a sud sud-ovest di Punta Peneda.
Il combattimento cessò, gli austriaci cambiarono direzione per tornare alla loro base e Hammann, che aveva visto ammarare Ludlow, liberatosi dei due avversari, scese accanto all’amico per salvarlo. Rischiando di essere catturato, Ludlow cercò di distruggere il proprio aereo per evitare che cadesse in mano nemica. Aprì il portello del vano fotografico, lacerò parte della tela delle ali e procurò, a calci, diversi squarci nello scafo, poi lo abbandonò per salire a bordo dell’aereo del compagno e si sistemò sulla parte dello scafo che rimane sotto il motore. Hammann faticò molto a decollare per via del mare mosso ma, saltando sulla cresta delle onde, faticosamente prese il volo e, per accelerare la distruzione del Macchi abbandonato, sparò alcune raffiche sull’aereo.
Nonostante tutti i tentativi di distruggerlo l’idrovolante resistette. Fino a quando, preso a rimorchio dal cacciatorpediniere austriaco Csikos che tentava di recuperarlo, affondò. Al rientro a Porto Corsini l’M.5, toccata regolarmente l’acqua, puntò la prua in basso probabilmente a causa del fondo dello scafo danneggiato nel precedente recupero. Ludlow, che si trovava in posizione precaria, fu ferito sopra l’occhio destro e Hammann si fece male ai fianchi e alle gambe.
Per la sua azione coraggiosa Hammann venne, in seguito, decorato con l’onorificenza più alta: la Medal of Honor concessagli dal Congresso degli Stati Uniti, la prima concessa ad un aviatore dell’U.S. Navy. Purtroppo non ebbe la possibilità di fregiarsene, in quanto morì il 14 giugno 1919 in un incidente aviatorio a Langley Field, proprio su un Macchi M.5. A Ludlow fu concessa la Navy Cross. Per questa azione anche le autorità italiane concessero la Medaglia d’Argento al Valore Militare ad Hammann e la Medaglia di Bronzo al Valore Militare a Ludlow.
Nella stessa giornata del 21 agosto e fino al mattino seguente, il direttore dei Servizi Aeronautici capitano di fregata Giulio Valli aveva disposto tre azioni aeree su Pola. Alle ore 16.30 tre apparecchi SIA 9b scortati da una squadriglia di idrovolanti partirono da Venezia per effettuare il bombardamento delle opere militari della base seguendo le consuete norme. Nel tratto di mare fu dislocata la scorta navale e la squadriglia di FBA di Porto Corsini vigilò su di essa fino alle ore 18, poi si avvicinò a Pola durante l’azione dei SIA. Un solo velivolo giunse sull’obiettivo, mentre l’A 110 di Lang si levò per contrastare l’azione. In serata, alle ore 20, partirono da S. Andrea una decina di idrovolanti L.3 per effettuare un’analoga incursione, sempre col supporto delle torpediniere lungo la rotta; nove apparecchi giunsero sull’obiettivo causando danni materiali e sette feriti.
Nelle prime ore del 22 agosto un’altra squadriglia di idrovolanti L3 partì da S. Andrea per effettuare il terzo attacco previsto. Subito dopo una squadriglia di caccia M.5 di Venezia e la squadriglia di Porto Corsini, anch’essa coi caccia M.5, partirono seguendo la solita rotta Punta Maestra-Pola per proteggere gli ultimi attaccanti dall’inseguimento dei caccia nemici. Nove velivoli deviati dal fuoco di sbarramento della difesa di Pola ripiegarono sul vicino idroscalo di Puntisella lanciando trenta bombe. Un hangar fu colpito in pieno più volte, alcuni apparecchi furono danneggiati e si segnalarono due feriti. All’alba sempre da Porto Corsini uscirono gli FBA per scortare le unità navali fino sulla via del ritorno.
La reazione austriaca non si fece attendere e, mentre era in corso la seconda azione, alcuni velivoli nemici si diressero su Porto Corsini. Alle ore 22.20 del giorno 21 agosto un attaccante giunto a bassa quota dal mare lanciò alcune bombe sugli edifici della base idrovolanti e fuori l’abitato a est del canale Ravenna-Porto Corsini, senza recare danni. Subito si attivò un intenso fuoco di sbarramento. Immediatamente seguirono altri tre attacchi condotti in formazioni di tre velivoli per volta che, provenienti da sud, si diressero prima su Ravenna e di lì, seguendo la linea del canale e planando a bassa quota, raggiunsero alle spalle i depositi di combustibile situati sulle rive del canale della Baiona. Sorvolarono poi gli hangar e arrivarono al mare tra le batterie 305 e 306.
Furono lanciate 43 bombe tra incendiarie ed esplosive e l’attacco terminò alle ore 23.10. Vi avevano preso parte gli idro Brandenburg K 379 (Nedopil, Riedl, Prakesch), K 380 (Schachinger, Polinak, Strimizer), K 377 (Sommer, Keilich, Kertesz), K 396 (Mayr, Müller, Sziklay), K 404 (Trüber, Köcher, Szanlowsky), e K 316 (Sledziowsky, Herbetz, Asztl) appoggiati dal mare dall’incrociatore Admiral Spaun e da sei torpediniere.
La tattica di questo attacco mise in difficoltà la difesa antiaerei, costringendo le batterie ad abbassare il tiro adattandolo alla bassa quota degli attaccanti. Per incrementare il volume di fuoco, furono utilizzate anche le mitragliatrici. Il K 377 attaccò una batteria a colpi di mitraglia. I danni furono considerevoli: una bomba colpì il deposito della nafta e del carbone senza provocare incendi e danneggiò la parte posteriore dell’hangar grande. Un’altra distrusse in parte un’abitazione ferendo sei civili ed un marinaio.
La notte seguente, fra il 22 e il 23 agosto, da Porto Corsini partì un raid di ritorsione a cui presero parte due M.8 pilotati dal’Ensign R.B. Read e dal Quartermaster George W. Knowles che giunti su Pola sganciarono alcune bombe sull’arsenale e sugli hangar di Puntisella.
Il Resto del Carlino di domenica 25 agosto 1918, in un articolo lungo e circostanziato dal titolo “L’aviazione alleata batte senza tregua la costa adriatica”, così iniziava: “L’attività aerea della Marina italiana e di quella britannica nell’Adriatico si mantiene incessante e ad esse si è di recente aggiunta l’aviazione della Marina americana che ha subito dato prova di sè”. Dopo avere descritto l’episodio di Hammann e Ludlow, proseguiva: “Le opere militari di Pola ed in particolar modo gli impianti di aviazione e basi dei sommergibili sono state bombardate il giorno 21, nella notte del 22 ed all’alba del 23 da numerosi apparecchi dei quali alcuni americani. Complessivamente furono lanciate ben 4 tonnellate di esplosivo con risultati indubbiamente efficaci essendosi osservate numerose esplosioni e vari incendi. Un nostro idrovolante non ha fatto ritorno alla base”.
Il 24 agosto continuarono i raid aerei su Pola: sette apparecchi sganciarono bombe incendiarie sull’arsenale e manifestini di propaganda.
La mattina del 28 agosto un FBA in perlustrazione sul mare aperto avvistò qualcosa di simile ai resti di un dirigibile. Si ipotizzò subito che si potesse trattare del dirigibile italiano A1 disperso dal 18 agosto. Vennero estese le ricerche nella speranza del ritrovamento dell’equipaggio, ma nell’immediato non se ne trovarono tracce. Solo l’11 settembre, dalla Svizzera, la Croce Rossa comunicò che il comandante tenente di vascello Marcello Arlotta era stato trovato morto nei pressi di Capo Rodoni e sepolto con gli onori militari.
La notte tra il 28 e il 29 agosto quattro idrovolanti FBA, guidati dal capo pilota Lieutenant R.B. Read, partirono in missione per Pola. L’idrovolante dell’Ensign A.V. Smith fu costretto ad ammarare a causa di un guasto al motore e riportò un grave danno all’ala sinistra provocato dal mare grosso. Fortunatamente, dopo cinque ore di attesa, fu avvistato da una torpediniera italiana che lo trasse in salvo e lo rimorchiò verso la costa adriatica. La spedizione non fu certo fortunata, infatti anche l’Ensign Stuart Kimberly si trovò in difficoltà per aver perso l’orientamento a causa del buio e della foschia. Quando scorse la costa dalmata pensò di trovarsi a sud di Pola, quindi puntò verso nord. Incontrò invece un altro centro abitato, probabilmente Cittanuova, sulla quale sganciò ugualmente il suo carico di bombe. Sulla via del ritorno sorvolò la linea del Piave e prima di tornare alla base di Porto Corsini fece scalo a Venezia per il rifornimento. Gli altri due velivoli proseguirono nel volo verso nord-est dirigendosi sulle coste nemiche, vicino alle quali fu avvistata una formazione di torpediniere italiane in linea di fila che con le loro luci li aiutarono nella rotta. A 2.000 metri di altezza, incontrarono un denso strato di nubi che li costrinse a salire a 3.400 metri, quota che fu mantenuta per tutto il tragitto fino a Pola. Sugli impianti portuali furono sganciate bombe che furono viste esplodere sugli obiettivi. Nonostante la decisa reazione della contraerea la coppia di FBA fece ritorno alla base senza danni.
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La scelta di Haviland quale comandante fu motivata dalla sua grande esperienza umana e militare. Allo scoppio della guerra in Europa egli aveva prestato servizio volontario nell’American Field Service e poi aveva fato parte della Squadriglia Lafayette. Un curriculum di tutto rispetto, quindi, per colui che fu chiamato a comandare la U.S. Air Station di Porto Corsini, la prima ed unica unità operativa dell’Aviazione della Marina americana in Italia.

Quando Haviland arrivò era ammalato. Per aiutarlo Callan inviò l’Ensign Walter White e il comando fu affidato all’Executive Officer Lieutenant George W. Almour. Oltre ai piloti provenienti da Bolsena era giunto anche un gruppo di meccanici che erano stati addestrati presso le diverse ditte italiane costruttrici degli apparecchi e dei motori.



Complessivamente l’attacco durò 50 minuti e furono sganciati 1.200 kg di bombe tra incendiarie ed esplosive. La base non fu colpita; a causa della foschia alcune bombe caddero a circa 400 metri di distanza e altre si dispersero nelle valli e nei canali attorno. Furono causati solo lievi danni a due fabbricati civili, non vi fu nessuna vittima e il tiro di interdizione impedì ai velivoli nemici di portarsi su Ravenna. Uno di essi raggiunse Bellaria senza colpire nessun obiettivo.
Incrociarono in mare a protezione dell’operazione degli idrovolanti le navi Csepel, Balaton, Orjen.
Il capitano di fregata Giulio Valli ordinò al capitano Capuzzo la cessione immediata del comando della base e del materiale di volo agli americani, lo scioglimento della squadriglia e il trasferimento dei suoi uomini ad altri reparti.
Solo il sergente Umberto Guarnieri rimase a Porto Corsini, su richiesta del comandante Haviland colpito dalle sue spiccate doti di pilotaggio, e continuò ad operare congiuntamente agli equipaggi americani. Gli aeroplani portavano la numerazione e le coccarde italiane e, come d’uso in quel periodo, venivano talvolta decorati con bande colorate, scritte o insegne personali. L’unica insegna che caratterizzava l’appartenenza alla U.S. Navy, accanto alla coccarda tricolore sulla fusoliera, era una capra alata recante sul fianco la scritta Navy. Fu questo il motivo per cui la base di Porto Corsini fu chiamata “goad island”, l’isola delle capre.
Il materiale di volo era costituito da FBA per ricognizione, pattugliamento antisommergibile e bombardamento leggero e Macchi M.5 monoposto per la caccia. L’intenzione, in origine, era quella di utilizzare anche i grossi idrovolanti da bombardamento Curtiss Hs 2Ls, bimotori dotati di due Liberty da 400 hp ciascuno, gli stessi usati sul canale della Manica nelle basi in Francia e in Inghilterra, ma la loro apertura alare era troppo larga per il canale Candiano, quindi si scelsero i Macchi M.8, monomotori da ricognizione e bombardamento la cui apertura alare era compatibile con la larghezza del canale, dei quali però si lamentò la scarsa capacità di carico.
Haviland, per ovviare ai problemi di comprensione fra i nuovi venuti e gli italiani dovuti alla diversità della lingua, aveva richiesto di inviare a Porto Corsini il Boatswain Gioacchino Varini di origini italiane, nato a Venezia ed emigrato a S. Francisco da ragazzo, che era stato un pioniere del volo: il suo brevetto portava il numero (NA) 62. Il fatto che egli parlasse correntemente sia l’inglese che l’italiano e che fosse pienamente inserito nella cultura e nelle usanze della nostra nazione, rese relativamente facile la transizione e l’integrazione degli uomini della Marina americana nella comunità locale.
Gli italiani consegnarono ai loro successori la base operativa così come essa si trovava, ma i militari statunitensi ritennero che il Governo italiano non avesse soddisfatto pienamente gli accordi: mancavano attrezzature appropriate, l’equipaggiamento era carente e gli apparecchi pronti all’uso erano solo otto, su trenta consegnati. A causa della mancanza di pezzi di ricambio poteva essere eseguita una manutenzione solo parziale e alcuni aerei avrebbero avuto bisogno di essere addirittura rimandati in fabbrica. La base, insomma, non fu giudicata pronta ad entrare in servizio attivo.
La situazione fu in breve parzialmente risolta tanto che il 28 agosto erano operativi cinque FBA, quattro M.5 e quattro M.8. Per mettere in sesto una completa linea di volo fu però necessaria l’assegnazione di nuovi aerei: sei M.5 furono spediti a Porto Corsini il 6 settembre, ma giunsero in ritardo rispetto alle principali operazioni di agosto.
I nuovi arrivati erano entusiasti ed impazienti di entrare in azione per misurarsi col nemico. Non si accontentavano di effettuare solo voli di ricognizione o lancio di volantini e chiesero ed ottennero dal Comando dell’Alto Adriatico il permesso di compiere raid per il bombardamento delle basi austriache. Fra il personale della NAS era presente il Dr. Clinton Githens DeFoney ufficiale medico che imparò a volare sul Macchi M.5: fu il primo medico pilota della Marina americana. Infatti i responsabili della sanità della US. Navy ritenevano che solo dopo aver sperimentato in prima persona gli effetti del volo i medici avrebbero potuto affrontare meglio i problemi di salute che potevano interessare i piloti ed i loro equipaggi.
L’11 agosto l’attività a Porto Corsini fu turbata da un grave incidente. Il Landsman for Quartermaster James L. Goggins (classe 1890), esperto pilota e già istruttore alla scuola di Bolsena, durante un volo con un Macchi M.5, per ragioni imprecisate, si schiantò al suolo incendiandosi nelle vicinanze della base. Fu l’unico americano a morire in Italia a bordo di un Macchi M.5. Il Resto del Carlino diede notizia dei funerali scrivendo in data giovedì 15 agosto: “... il feretro era posto su un affusto di cannone, trainato da sei cavalli, coperto di fiori e contornato da sottufficiali e marinai americani. Seguivano i gonfaloni del Municipio e della Provincia, le autorità civili e militari, le rappresentanze dei vari comitati di assistenza e di molte associazioni cittadine e colossali corone portate a braccio da soldati di ogni arma. Fuori Porta Serrata, il sindaco rag. Buzzi con nobilissime parole salutò la salma, le truppe presentarono le armi e la folla che gremiva ogni strada s’inchinò riverente e commossa mentre la banda militare intonò l’Inno Americano.”
Nella notte tra il 16 ed il 17 agosto scomparve il dirigibile italiano A1 mentre si dirigeva ad attaccare Cattaro. Il 18 agosto sei idrovolanti della base presero parte alle sue ricerche, condotte anche con mezzi navali, purtroppo senza esito positivo.


Azioni aeree del 21 e 22 agosto 1918
Il 21 agosto 1918 la NAS divenne completamente operativa e fu organizzata una missione che aveva lo scopo di lanciare manifestini su Pola per demoralizzare i militari nemici e allo stesso tempo per tenere alto lo spirito della popolazione italiana.

Mentre i manifestini cadevano sulla città, quattro caccia terrestri della Marina austriaca - Phönix D.I A 117 (Lang), A 111 (Pramberger), A 102 (Gindl), e A 118 (Wollemann) - decollarono dal vicino campo di Altura con il compito di difendere il cielo della città e fecero rapidamente quota per intercettare gli incursori. Anche due idrovolanti furono visti alzarsi, ma scomparvero e non parteciparono al combattimento. Tre caccia austriaci si posizionarono a ovest della pattuglia americana con l’evidente scopo di tagliare loro la strada del ritorno. Alle 11.25 il capo pattuglia Ludlow diede l’ordine di attaccare il gruppo dei tre Phönix e da 2.500 metri di quota si tuffò in picchiata su di loro. Lo seguirono a distanza ravvicinata Parker e Hammann, mentre l’M.5 di Voorhees non potè seguire i compagni avendo entrambe le mitragliatrici fuori uso.
Ludlow attaccò l’aereo di testa poi, in virata, puntò su quello di sinistra. Fu subito dopo il capo pattuglia austriaco a eseguire una picchiata, a sua volta inseguito da Parker che sparava con la sola arma di sinistra essendo l’altra inceppata. L’americano tentò di sbloccare l’arma, ma si accorse di non riuscirvi e di non poter seguire il nemico in picchiata, così abbandonò il combattimento dopo avere sparato su di lui tutti i colpi rimasti. Ludlow rimase quindi solo a dovere fronteggiare due aerei nemici. Contemporaneamente Hammann impegnava gli altri due austriaci.
Nel combattimento si vide scendere fumando il Phönix A 102 di Gindl, secondo le fonti austriache, costretto a ritornare al suo campo vittima di un principio di incendio per autocombustione delle munizioni al fosforo. Ludlow fu inquadrato nel mirino delle mitragliatrici dell’A 118 di Wollemann: i colpi dell’austriaco andarono a segno sul Macchi, colpirono il magnete, perforarono il radiatore e il blocco motore. Ludlow eseguì un’immediata virata per liberarsi dall’attaccante in coda e nello stesso tempo spegnere il principio di incendio. L’altro austriaco lo seguì nella discesa continuando a sparare fino a cento metri dall’acqua: ormai il motore si era arrestato e l’aereo precipitava in vite. Ludlow riuscì a riprendere il controllo della macchina all’ultimo momento e ammarò dodici miglia a sud sud-ovest di Punta Peneda.
Il combattimento cessò, gli austriaci cambiarono direzione per tornare alla loro base e Hammann, che aveva visto ammarare Ludlow, liberatosi dei due avversari, scese accanto all’amico per salvarlo. Rischiando di essere catturato, Ludlow cercò di distruggere il proprio aereo per evitare che cadesse in mano nemica. Aprì il portello del vano fotografico, lacerò parte della tela delle ali e procurò, a calci, diversi squarci nello scafo, poi lo abbandonò per salire a bordo dell’aereo del compagno e si sistemò sulla parte dello scafo che rimane sotto il motore. Hammann faticò molto a decollare per via del mare mosso ma, saltando sulla cresta delle onde, faticosamente prese il volo e, per accelerare la distruzione del Macchi abbandonato, sparò alcune raffiche sull’aereo.
Nonostante tutti i tentativi di distruggerlo l’idrovolante resistette. Fino a quando, preso a rimorchio dal cacciatorpediniere austriaco Csikos che tentava di recuperarlo, affondò. Al rientro a Porto Corsini l’M.5, toccata regolarmente l’acqua, puntò la prua in basso probabilmente a causa del fondo dello scafo danneggiato nel precedente recupero. Ludlow, che si trovava in posizione precaria, fu ferito sopra l’occhio destro e Hammann si fece male ai fianchi e alle gambe.





Nella stessa giornata del 21 agosto e fino al mattino seguente, il direttore dei Servizi Aeronautici capitano di fregata Giulio Valli aveva disposto tre azioni aeree su Pola. Alle ore 16.30 tre apparecchi SIA 9b scortati da una squadriglia di idrovolanti partirono da Venezia per effettuare il bombardamento delle opere militari della base seguendo le consuete norme. Nel tratto di mare fu dislocata la scorta navale e la squadriglia di FBA di Porto Corsini vigilò su di essa fino alle ore 18, poi si avvicinò a Pola durante l’azione dei SIA. Un solo velivolo giunse sull’obiettivo, mentre l’A 110 di Lang si levò per contrastare l’azione. In serata, alle ore 20, partirono da S. Andrea una decina di idrovolanti L.3 per effettuare un’analoga incursione, sempre col supporto delle torpediniere lungo la rotta; nove apparecchi giunsero sull’obiettivo causando danni materiali e sette feriti.






Furono lanciate 43 bombe tra incendiarie ed esplosive e l’attacco terminò alle ore 23.10. Vi avevano preso parte gli idro Brandenburg K 379 (Nedopil, Riedl, Prakesch), K 380 (Schachinger, Polinak, Strimizer), K 377 (Sommer, Keilich, Kertesz), K 396 (Mayr, Müller, Sziklay), K 404 (Trüber, Köcher, Szanlowsky), e K 316 (Sledziowsky, Herbetz, Asztl) appoggiati dal mare dall’incrociatore Admiral Spaun e da sei torpediniere.
La tattica di questo attacco mise in difficoltà la difesa antiaerei, costringendo le batterie ad abbassare il tiro adattandolo alla bassa quota degli attaccanti. Per incrementare il volume di fuoco, furono utilizzate anche le mitragliatrici. Il K 377 attaccò una batteria a colpi di mitraglia. I danni furono considerevoli: una bomba colpì il deposito della nafta e del carbone senza provocare incendi e danneggiò la parte posteriore dell’hangar grande. Un’altra distrusse in parte un’abitazione ferendo sei civili ed un marinaio.



La notte seguente, fra il 22 e il 23 agosto, da Porto Corsini partì un raid di ritorsione a cui presero parte due M.8 pilotati dal’Ensign R.B. Read e dal Quartermaster George W. Knowles che giunti su Pola sganciarono alcune bombe sull’arsenale e sugli hangar di Puntisella.
Il Resto del Carlino di domenica 25 agosto 1918, in un articolo lungo e circostanziato dal titolo “L’aviazione alleata batte senza tregua la costa adriatica”, così iniziava: “L’attività aerea della Marina italiana e di quella britannica nell’Adriatico si mantiene incessante e ad esse si è di recente aggiunta l’aviazione della Marina americana che ha subito dato prova di sè”. Dopo avere descritto l’episodio di Hammann e Ludlow, proseguiva: “Le opere militari di Pola ed in particolar modo gli impianti di aviazione e basi dei sommergibili sono state bombardate il giorno 21, nella notte del 22 ed all’alba del 23 da numerosi apparecchi dei quali alcuni americani. Complessivamente furono lanciate ben 4 tonnellate di esplosivo con risultati indubbiamente efficaci essendosi osservate numerose esplosioni e vari incendi. Un nostro idrovolante non ha fatto ritorno alla base”.
Il 24 agosto continuarono i raid aerei su Pola: sette apparecchi sganciarono bombe incendiarie sull’arsenale e manifestini di propaganda.


La notte tra il 28 e il 29 agosto quattro idrovolanti FBA, guidati dal capo pilota Lieutenant R.B. Read, partirono in missione per Pola. L’idrovolante dell’Ensign A.V. Smith fu costretto ad ammarare a causa di un guasto al motore e riportò un grave danno all’ala sinistra provocato dal mare grosso. Fortunatamente, dopo cinque ore di attesa, fu avvistato da una torpediniera italiana che lo trasse in salvo e lo rimorchiò verso la costa adriatica. La spedizione non fu certo fortunata, infatti anche l’Ensign Stuart Kimberly si trovò in difficoltà per aver perso l’orientamento a causa del buio e della foschia. Quando scorse la costa dalmata pensò di trovarsi a sud di Pola, quindi puntò verso nord. Incontrò invece un altro centro abitato, probabilmente Cittanuova, sulla quale sganciò ugualmente il suo carico di bombe. Sulla via del ritorno sorvolò la linea del Piave e prima di tornare alla base di Porto Corsini fece scalo a Venezia per il rifornimento. Gli altri due velivoli proseguirono nel volo verso nord-est dirigendosi sulle coste nemiche, vicino alle quali fu avvistata una formazione di torpediniere italiane in linea di fila che con le loro luci li aiutarono nella rotta. A 2.000 metri di altezza, incontrarono un denso strato di nubi che li costrinse a salire a 3.400 metri, quota che fu mantenuta per tutto il tragitto fino a Pola. Sugli impianti portuali furono sganciate bombe che furono viste esplodere sugli obiettivi. Nonostante la decisa reazione della contraerea la coppia di FBA fece ritorno alla base senza danni.



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