Il quinto girone dell'inferno
In queste giornate nelle quali giustamente si decide il futuro di quel disastro aziendale e nazionale chiamato Alitalia, vorrei sommessamente segnalare ai lettori di questo spazio che stiano progettando un viaggio nel Regno Unito, l'orrore di un luogo da evitare come la peste. Si chiama Terminal 5, all'aeroporto internazionale di London Heathrow (sigla LHR) dove il titolare della rubrica ha avuto la sventura di finire nello scorso weekend e trascorrervi due giorni e mezzo, per un viaggio dagli Usa a Roma che normalmente richiede non più di undici ore. Evitatelo come l'aeroporto di Bagdad o di Grozny. Statene lontani. Usate il treno, la bici, le scarpe, ma evitate il Terminal 5.
Raramente, anche nelle loro giornate peggiori, Fiumicino, Malpensa e Malitalia hanno infliitto ai propri passeggeri quello che il nuovissimo e già tristemente celebre nel mondo Terminal 5 e la sussiegosa British Airways, prontamente ribattezzatta da passeggeri abbandonati che cominciavano a sentirsi come il Tom Hanks di Terminal, "Britshit Airways", hanno fatto sopportare ai disgraziati che si siano trovati a sbarcarvi o a cercare coincidenze in queste ore.
Progettato per creare immensi spazi di shopping a spese delle "gates" strozzate fra un grande magazzino e una profumeria (dove le scale mobili naturalmente non funzionavano), affidato a personale volontario con graziose magliette di fortuna, tanto garbato e premuroso quanto sprovveduto e impotente di fronte alle decine di migliaia di bagagli smarriti, voli cancellati a causa di una spolverata di neve primaverile, il più importante aereoporto inglese ha reagito come se fossero caduti due metri di neve all'Avana.
Il Terminal 5 è stata la dimostrazione di come nessuno, in nessuna nazione e sotto nessun governo, si debba mai permettere di dare lezioni di efficienza, di intelligenza progettuale e gestionale agli altri, perché nessuno ha il monopolio dell'inettitudine e del dilettantismo. Se Fiumicino o Malpensa avessero inflitto ai passeggeri quello che il Quinto Girone nell'Inferno aereoportuale ha inflitto a malcapitati come me, arrivati in transito da Washington (Usa) e destinati a Roma, oggi dovremmo sciropparci sardoniche e very humorous corrispondenze da tutta la stampa britannica, che sarebbe prontamente ripresa dai media italiani sempre ansiosi di fustigarsi con i frustini offerti dall'estero, purché scritti in una lingua che non sia l'italiano.
Mai, in oltre quarant'anni di viaggi aerei dal Vietnam all'Egitto passando per Rawalpindi, avevo visto una compagnia "di bandiera" come oggi si ama dire a proposito di Alitalia, abbandonare passeggeri al proprio destino, costringerli a recuperare personalmente i propri bagagli in transito accatastati tutti, per dozzine di voli intercontinentali in arrivo, in un solo carosello pur essendo già scannerizzati per la destinazione finale, portarseli di peso - e nei voti intercontinentali i bagagli sono spesso di dimensioni notevoli - oltre dogana senza alcuna documentazione nonostante la formale necessità di completare documenti di sbarco.
Alla faccia del teatrino di sicurezza e delle micidiali bottigliette di liquido detergente delle signore.
Poi doverli ripresentare al check-in quasi sempre il giorno dopo, o due giorni, senza appoggio, senza alberghi, senza pasti, a causa delle massicce cancellazioni e della cascata di passeggeri sui pochi voli attivi, nel segno, very british, dell'"arrangiatevi". Soltanto per vederli tutti puntualmente perduti e mai riconsegnati a destinazione, una seconda volta. E ancora "untracked", senza traccia 72 ore dopo il primo check in. Avere bagagli perduti due volte nello stesso aeroporto è stata, almeno per me, un'esperienza nuova e interessante.
In questi mesi e anni di rassicurazioni "anti terrore", di processi sceneggiata per tenere buoni i piccini, di moniti e di controlli a cinture e fermacapelli, ci sono in questo momento migliaia di colli, di bauli, di valige che sciabordano attraverso l'Europa senza padrone, come palle di cannone sciolte in una stiva, grazie all'inettitudine della Britshit Airways che ha aperto un gigantesco terminal senza essere pronta. Affidandosi al solito "computer software" che ha fatto puntualmente cilecca, come tutti i software nel passaggio dalla sperimentazione all'applicazione pratica. Il saggio consiglio di tutti gli esperti di programmazione, mai acquistare e installare un programma e meno che mai un sistema di controllo che porti la designazione "1.0" perché spunteranno migliaia di "bugs", di intoppi, è stato ignorato. E noi umani ne abbiamo come sempre fatto le spese.
Mai mi era capitato di viaggiare su un volo di linea, l'Airbus 321, BA 548 LHR-FCO (London Heathrow-Roma Fiumicino) di lunedì 7 aprile, stoppato all'imbocco della pista di decollo, dopo un'ora di tedioso taxing, per "riconciliare i bagagli coi passeggeri", come ci ha informato il desolato comandante. Un'operazione che ha richiesto un'altra ora evidentemente senza risultato perché metà dei passeggeri si sono ritrovati a Fiumicino senza bagagli che non ne hanno evidentemente voluto sapere di "riconciliarsi" con i loro proprietari.
La BA che sta inviando per aereo e per autocarro migliaia di valige disperse alla Malpensa perché siano catalogate e forse, entro questo millennio, consegnate a turisti che nel frattempo avranno raggiunto case di riposo per non autonomi se non il Grande Aeroporto nel cielo, ci ha fatto sapere di essere "sooo sorry" per quello che è successo e che sta succedendo. Well, BA dearest, so am I. Go to Hell. You know where to find it. At your own Terminal 5.
(8 aprile 2008)
Vittorio Zucconi
la Repubblica
In queste giornate nelle quali giustamente si decide il futuro di quel disastro aziendale e nazionale chiamato Alitalia, vorrei sommessamente segnalare ai lettori di questo spazio che stiano progettando un viaggio nel Regno Unito, l'orrore di un luogo da evitare come la peste. Si chiama Terminal 5, all'aeroporto internazionale di London Heathrow (sigla LHR) dove il titolare della rubrica ha avuto la sventura di finire nello scorso weekend e trascorrervi due giorni e mezzo, per un viaggio dagli Usa a Roma che normalmente richiede non più di undici ore. Evitatelo come l'aeroporto di Bagdad o di Grozny. Statene lontani. Usate il treno, la bici, le scarpe, ma evitate il Terminal 5.
Raramente, anche nelle loro giornate peggiori, Fiumicino, Malpensa e Malitalia hanno infliitto ai propri passeggeri quello che il nuovissimo e già tristemente celebre nel mondo Terminal 5 e la sussiegosa British Airways, prontamente ribattezzatta da passeggeri abbandonati che cominciavano a sentirsi come il Tom Hanks di Terminal, "Britshit Airways", hanno fatto sopportare ai disgraziati che si siano trovati a sbarcarvi o a cercare coincidenze in queste ore.
Progettato per creare immensi spazi di shopping a spese delle "gates" strozzate fra un grande magazzino e una profumeria (dove le scale mobili naturalmente non funzionavano), affidato a personale volontario con graziose magliette di fortuna, tanto garbato e premuroso quanto sprovveduto e impotente di fronte alle decine di migliaia di bagagli smarriti, voli cancellati a causa di una spolverata di neve primaverile, il più importante aereoporto inglese ha reagito come se fossero caduti due metri di neve all'Avana.
Il Terminal 5 è stata la dimostrazione di come nessuno, in nessuna nazione e sotto nessun governo, si debba mai permettere di dare lezioni di efficienza, di intelligenza progettuale e gestionale agli altri, perché nessuno ha il monopolio dell'inettitudine e del dilettantismo. Se Fiumicino o Malpensa avessero inflitto ai passeggeri quello che il Quinto Girone nell'Inferno aereoportuale ha inflitto a malcapitati come me, arrivati in transito da Washington (Usa) e destinati a Roma, oggi dovremmo sciropparci sardoniche e very humorous corrispondenze da tutta la stampa britannica, che sarebbe prontamente ripresa dai media italiani sempre ansiosi di fustigarsi con i frustini offerti dall'estero, purché scritti in una lingua che non sia l'italiano.
Mai, in oltre quarant'anni di viaggi aerei dal Vietnam all'Egitto passando per Rawalpindi, avevo visto una compagnia "di bandiera" come oggi si ama dire a proposito di Alitalia, abbandonare passeggeri al proprio destino, costringerli a recuperare personalmente i propri bagagli in transito accatastati tutti, per dozzine di voli intercontinentali in arrivo, in un solo carosello pur essendo già scannerizzati per la destinazione finale, portarseli di peso - e nei voti intercontinentali i bagagli sono spesso di dimensioni notevoli - oltre dogana senza alcuna documentazione nonostante la formale necessità di completare documenti di sbarco.
Alla faccia del teatrino di sicurezza e delle micidiali bottigliette di liquido detergente delle signore.
Poi doverli ripresentare al check-in quasi sempre il giorno dopo, o due giorni, senza appoggio, senza alberghi, senza pasti, a causa delle massicce cancellazioni e della cascata di passeggeri sui pochi voli attivi, nel segno, very british, dell'"arrangiatevi". Soltanto per vederli tutti puntualmente perduti e mai riconsegnati a destinazione, una seconda volta. E ancora "untracked", senza traccia 72 ore dopo il primo check in. Avere bagagli perduti due volte nello stesso aeroporto è stata, almeno per me, un'esperienza nuova e interessante.
In questi mesi e anni di rassicurazioni "anti terrore", di processi sceneggiata per tenere buoni i piccini, di moniti e di controlli a cinture e fermacapelli, ci sono in questo momento migliaia di colli, di bauli, di valige che sciabordano attraverso l'Europa senza padrone, come palle di cannone sciolte in una stiva, grazie all'inettitudine della Britshit Airways che ha aperto un gigantesco terminal senza essere pronta. Affidandosi al solito "computer software" che ha fatto puntualmente cilecca, come tutti i software nel passaggio dalla sperimentazione all'applicazione pratica. Il saggio consiglio di tutti gli esperti di programmazione, mai acquistare e installare un programma e meno che mai un sistema di controllo che porti la designazione "1.0" perché spunteranno migliaia di "bugs", di intoppi, è stato ignorato. E noi umani ne abbiamo come sempre fatto le spese.
Mai mi era capitato di viaggiare su un volo di linea, l'Airbus 321, BA 548 LHR-FCO (London Heathrow-Roma Fiumicino) di lunedì 7 aprile, stoppato all'imbocco della pista di decollo, dopo un'ora di tedioso taxing, per "riconciliare i bagagli coi passeggeri", come ci ha informato il desolato comandante. Un'operazione che ha richiesto un'altra ora evidentemente senza risultato perché metà dei passeggeri si sono ritrovati a Fiumicino senza bagagli che non ne hanno evidentemente voluto sapere di "riconciliarsi" con i loro proprietari.
La BA che sta inviando per aereo e per autocarro migliaia di valige disperse alla Malpensa perché siano catalogate e forse, entro questo millennio, consegnate a turisti che nel frattempo avranno raggiunto case di riposo per non autonomi se non il Grande Aeroporto nel cielo, ci ha fatto sapere di essere "sooo sorry" per quello che è successo e che sta succedendo. Well, BA dearest, so am I. Go to Hell. You know where to find it. At your own Terminal 5.
(8 aprile 2008)
Vittorio Zucconi
la Repubblica