A cent’anni compiuti con questa 48a edizione, l’Air Show di Parigi, che si tiene tutti gli anni dispari nello storico aeroporto di Le Bourget (vi atterrò Charles Lindbergh col suo Spirit of St. Louis dopo l’epica trasvolata atlantica, il 21 maggio 1927), rimane, fra tutti i saloni aeronautici del mondo, forse il più importante (insieme a quello inglese di Farnborough in calendario negli anni pari) e certamente il più “magico”. Da molti anni è anche teatro di immancabili, vivaci scambi polemici tra Airbus e Boeing. I due, ormai, si spartiscono più o meno alla pari il mercato mondiale degli aerei di linea da più di 100 passeggeri, ma potrebbero presto avere a che fare, nei segmenti dei 100-130 o anche 150 posti, con nuovi aerei di linea canadesi, brasiliani, russi, giapponesi e cinesi, concepiti per il mercato mondiale.
Le Bourget è anche uno dei luoghi preferiti dai costruttori per dare notizia di nuovi ordini per i loro aerei. E quest’anno, alla vigilia del Salone, è stata anticipato l’annuncio che Qatar Airways ha ordinato di 20 Airbus A320, e confermato un precedente ordine di quattro A321. Nel settore militare ci si chiedeva se, a Le Bourget, la Francia avrebbe finalmente annunciato ordini esteri per il suo caccia Rafale.
Le Bourget 2009 ha aperto i cancelli in un clima poco o niente euforico per via di una crisi economica globale che provoca drastici tagli nella domanda di aerei commerciali, di executive jet e di aerei militari. Il tutto ha colto l’industria aerospaziale in una fase di transizione, per così dire, davvero speciale.
Per prima cosa, fino a poco fa l’aerospazio era nel pieno di un “boom” che durava da anni e sembrava destinato a prolungarsi nel lungo termine. L’aerospazio è anche interessato ad un vasto processo di globalizzazione, e forse è oggi il comparto industriale maggiormanete globalizzato. E sicuramente rappresenta la frontiera più avanzata della tecnologia, dell’industria, della gestione di programmi complessi. Acquisire un ruolo nell’aerospazio globale è ormai per molti paesi una priorità nazionale in quanto certifica la qualità del loro potenziale tecnologico e industriale in senso generale e la loro affidabilità come attori sullla scena globale.
Così, mentre una decina d’anni fa, dopo una lunga serie di ristrutturazioni negli Stati Uniti e in Europa, si pensava che nel prossimo futuro in tutto il mondo non ci sarebbero stati più di tre o quattro grandi gruppi aerospaziali (naturalmente americani e europei), oggi ci sono le nuove ambizioni di Canada (Bombardier) e Brasile (Embraer), che già dominano il settore degli aerei “regionali” fino a 100 posti, il ritorno della Russia (e non solo nel settore dei caccia), il significativo potenziale della Corea del Sud, le crescenti capacità del Giappone (per esempio col suo prossimo aereo “regionale” MRJ70 e 90, con una possibile versione a più di 100 posti, motorizzato da un turbofan Pratt&Whitney tecnologicamente innovativo), i successi dell’India (soprattutto nei settori missilistici e spaziali, ma anche col programma di sviluppare una propria industria aeronautica), e la volontà della Cina di essere attivamente presente in tutti i comparti dell’attività aerospaziale, dagli aerei di linea (per ora sui 100 posti, ma domani nella fascia dei 150, poi in quella dei widebody in competizione con Airbus e Boeing) ai caccia di 4a generazione (come il J-10), alle imprese spaziali, tra cui il programma di una stazione orbitante con equipaggio. E naturalmente l’Italia, che alla fine degli anni ’90 sembrava a rischio di emarginazione e ora ha un ruolo sempre più vivace tra i big dell’aerospazio globale, cui tuttavia non sempre i media nazionali sembrano prestare grande attenzione.
Nel comparto degli aerei da trasporto commerciale, l’attuale “transizione” è caratterizzata da tre questioni principali. La prima riguarda i grandi programmi di Airbus (il “super Jumbo” A380, da poco entrato in servizio, ed il futuro A350) e di Boeing (il 787, che volerà tra poco, ed il prossimo 747-8, ultima versione dell’ormai storico 747 “Jumbo”). Essi hanno creato gravi problemi industriali ai due costruttori, che nel caso di Airbus si aggiungono a quelli dovuti ai (disastrosi) ritardi del trasporto militare A400M. La seconda questione è quella delle future nuove famiglie di aerei a corridoio unico (narrowbody), chieste da molte compagnie, per sostituire gli Airbus A320 e i Boeing 737. Ma Airbus e Boeing, provati dai guai dei nuovi widebody, non hanno urgenza di impegnarsi con una nuova generazione di narrowbody tanto più che quelli di oggi continuano a vendere. La terza questione, infine, è quella dei prossimi “new entrants” canadesi, brasiliani, russi, giapponesi e cinesi nel segmenti dei più di 100 posti, e l’impatto che essi possono avere nei prossimi decenni sul mercato e sugli assetti industriali. Oggi, alcuni analisti americani ostentano scarsa considerazione per questi possibili competitori non americani e non europei. Ma ancora a metà degli anni ’90, quando gli americani Boeing e MacDonnell Douglas (che poi si sarebbero fusi) avevano assieme l’80% del mercato mondiale degli aerei commerciali, negli Usa si parlava dell’europeo Airbus con notevole sarcasmo, rivelatosi poi fuor di luogo.
Nel comparto militare, e in particolare in quello degli aerei da caccia e affini, la “transizione” riguarda il crescente ruolo degli aerei senza pilota e, nel caso dei caccia veri e propri, l’arrivo, fra pochi anni, dell’F-35 americano, che qualcuno negli Stati Uniti ha già definito “l’ultimo caccia con pilota”, e l’impatto competitivo che esso può avere sui caccia oggi in produzione in Europa, l’Eurofighter Typhoon (Germania, Italia, Regno Unito, Spagna), il Saab Gripen (Svezia) e il Dassault Rafale (Francia). Anch’essi potrebbero essere gli ultimi caccia (europei) con pilota, e forse gli ultimi caccia europei tout court: l’industria europea dei caccia ha a che fare con la propria frammentazione (tre modelli rivali di caccia di 4a generazione sono davvero un lusso rischioso), con la competizione di caccia americani “classici” ma continuamente aggiornati, come l’F-15, l’F-16 e l’F/A-18 , e col futuro F-35, che secondo alcuni potrebbe minacciare seriamente la sopravvivenza della produzione europea. In più, nel prossimo futuro arriveranno sui mercati dell’export i nuovi caccia russi e cinesi.
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Le Bourget è anche uno dei luoghi preferiti dai costruttori per dare notizia di nuovi ordini per i loro aerei. E quest’anno, alla vigilia del Salone, è stata anticipato l’annuncio che Qatar Airways ha ordinato di 20 Airbus A320, e confermato un precedente ordine di quattro A321. Nel settore militare ci si chiedeva se, a Le Bourget, la Francia avrebbe finalmente annunciato ordini esteri per il suo caccia Rafale.
Le Bourget 2009 ha aperto i cancelli in un clima poco o niente euforico per via di una crisi economica globale che provoca drastici tagli nella domanda di aerei commerciali, di executive jet e di aerei militari. Il tutto ha colto l’industria aerospaziale in una fase di transizione, per così dire, davvero speciale.
Per prima cosa, fino a poco fa l’aerospazio era nel pieno di un “boom” che durava da anni e sembrava destinato a prolungarsi nel lungo termine. L’aerospazio è anche interessato ad un vasto processo di globalizzazione, e forse è oggi il comparto industriale maggiormanete globalizzato. E sicuramente rappresenta la frontiera più avanzata della tecnologia, dell’industria, della gestione di programmi complessi. Acquisire un ruolo nell’aerospazio globale è ormai per molti paesi una priorità nazionale in quanto certifica la qualità del loro potenziale tecnologico e industriale in senso generale e la loro affidabilità come attori sullla scena globale.
Così, mentre una decina d’anni fa, dopo una lunga serie di ristrutturazioni negli Stati Uniti e in Europa, si pensava che nel prossimo futuro in tutto il mondo non ci sarebbero stati più di tre o quattro grandi gruppi aerospaziali (naturalmente americani e europei), oggi ci sono le nuove ambizioni di Canada (Bombardier) e Brasile (Embraer), che già dominano il settore degli aerei “regionali” fino a 100 posti, il ritorno della Russia (e non solo nel settore dei caccia), il significativo potenziale della Corea del Sud, le crescenti capacità del Giappone (per esempio col suo prossimo aereo “regionale” MRJ70 e 90, con una possibile versione a più di 100 posti, motorizzato da un turbofan Pratt&Whitney tecnologicamente innovativo), i successi dell’India (soprattutto nei settori missilistici e spaziali, ma anche col programma di sviluppare una propria industria aeronautica), e la volontà della Cina di essere attivamente presente in tutti i comparti dell’attività aerospaziale, dagli aerei di linea (per ora sui 100 posti, ma domani nella fascia dei 150, poi in quella dei widebody in competizione con Airbus e Boeing) ai caccia di 4a generazione (come il J-10), alle imprese spaziali, tra cui il programma di una stazione orbitante con equipaggio. E naturalmente l’Italia, che alla fine degli anni ’90 sembrava a rischio di emarginazione e ora ha un ruolo sempre più vivace tra i big dell’aerospazio globale, cui tuttavia non sempre i media nazionali sembrano prestare grande attenzione.
Nel comparto degli aerei da trasporto commerciale, l’attuale “transizione” è caratterizzata da tre questioni principali. La prima riguarda i grandi programmi di Airbus (il “super Jumbo” A380, da poco entrato in servizio, ed il futuro A350) e di Boeing (il 787, che volerà tra poco, ed il prossimo 747-8, ultima versione dell’ormai storico 747 “Jumbo”). Essi hanno creato gravi problemi industriali ai due costruttori, che nel caso di Airbus si aggiungono a quelli dovuti ai (disastrosi) ritardi del trasporto militare A400M. La seconda questione è quella delle future nuove famiglie di aerei a corridoio unico (narrowbody), chieste da molte compagnie, per sostituire gli Airbus A320 e i Boeing 737. Ma Airbus e Boeing, provati dai guai dei nuovi widebody, non hanno urgenza di impegnarsi con una nuova generazione di narrowbody tanto più che quelli di oggi continuano a vendere. La terza questione, infine, è quella dei prossimi “new entrants” canadesi, brasiliani, russi, giapponesi e cinesi nel segmenti dei più di 100 posti, e l’impatto che essi possono avere nei prossimi decenni sul mercato e sugli assetti industriali. Oggi, alcuni analisti americani ostentano scarsa considerazione per questi possibili competitori non americani e non europei. Ma ancora a metà degli anni ’90, quando gli americani Boeing e MacDonnell Douglas (che poi si sarebbero fusi) avevano assieme l’80% del mercato mondiale degli aerei commerciali, negli Usa si parlava dell’europeo Airbus con notevole sarcasmo, rivelatosi poi fuor di luogo.
Nel comparto militare, e in particolare in quello degli aerei da caccia e affini, la “transizione” riguarda il crescente ruolo degli aerei senza pilota e, nel caso dei caccia veri e propri, l’arrivo, fra pochi anni, dell’F-35 americano, che qualcuno negli Stati Uniti ha già definito “l’ultimo caccia con pilota”, e l’impatto competitivo che esso può avere sui caccia oggi in produzione in Europa, l’Eurofighter Typhoon (Germania, Italia, Regno Unito, Spagna), il Saab Gripen (Svezia) e il Dassault Rafale (Francia). Anch’essi potrebbero essere gli ultimi caccia (europei) con pilota, e forse gli ultimi caccia europei tout court: l’industria europea dei caccia ha a che fare con la propria frammentazione (tre modelli rivali di caccia di 4a generazione sono davvero un lusso rischioso), con la competizione di caccia americani “classici” ma continuamente aggiornati, come l’F-15, l’F-16 e l’F/A-18 , e col futuro F-35, che secondo alcuni potrebbe minacciare seriamente la sopravvivenza della produzione europea. In più, nel prossimo futuro arriveranno sui mercati dell’export i nuovi caccia russi e cinesi.
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