RYANAIR ALL'ATTACCO
LA CAMPAGNA D'ITALIA DELL'IRLANDESE O'LEARY IL BILANCIO
EUGENIO OCCORSIO
Male o bene, purché si parli di me. Questa dev’essere la policy comunicativa di Michael O’Leary, visto che erano passate solo poche ore dalla soluzione della vertenzadocumenti con l’Enac quando il sanguigno boss di Ryanair ha trovato un altro punto d’attacco ancora più impopolare: «Questa storia dei body scanner è una totale idiozia». Mentre l’emergenzaterrorismo sta affrettando l’installazione di questi strumenti riconosciuti dall’Fbi, dalla Cia, dalle polizie di tutto il mondo (Italia compresa) come l’unico modo sicuro per evitare l’immissione di armi o esplosivi a bordo, il fumantino irlandese tuonava: «Fanno perdere tempo e soldi», da sempre sua unica preoccupazione. Vito Riggio, presidente dell’Enac, non ce la fa più: «È uno stile da pagliaccio, sono pronto a ripeterlo in qualsiasi sede», sbotta venerdì sera.
Eppure solo un giorno prima fra Riggio e O’Leary sembrava pace fatta. La compagnia aveva accettato di rispettare le leggi italiane per i voli interni ammettendo a bordo chi è munito non di passaporto o carta d’identità ma di un documento comunque valido (solo sulle patenti verrà ora insediata una commissione congiunta con il ministero dell’Interno per verificarne la validità). Non senza violente polemiche. «Vogliono che accettiamo la licenza di pesca», era l’accusa di O’Leary. «Ma chi si è mai presentato all’imbarco con una licenza di pesca?», risponde Riggio. «Per esempio, le tessere professionali rilasciate a tutti i dipendenti pubblici e i loro familiari, equivalgono sicuramente a una carta d’identità». Così è stato, non prima che O’Leary minacciasse di lasciare l’Italia (con tanto di sospensione delle prenotazioni sul sito nei primi giorni dell’anno), facesse ricorso al Tar che gli ha dato torto, preparasse l’appello al Consiglio di Stato. «Ma non le sembra troppo solo perché gli avevamo chiesto di accettare le norme vigenti?», si chiede Riggio. «D’accordo che dovevano resettare il sistema informatico, che accetta solo i passaporti, ma è del tutto sproporzionata la reazione all’azione. Secondo me c’è qualcosa d’altro». Cosa? O’Leary la vocazione del provocatore ce l’ha nel sangue. «Diciamo che ha un carattere un po’ spigoloso», dice Fabio Petroni, proprietario di Terravision che lo conosce bene perché gestisce in esclusiva per la compagnia i pullman in molti scali europei comprese Londra e Roma. «Ma resta un signor manager. Credo che fosse seriamente preoccupato di vedersela con la burocrazia italiana». Se avesse veramente lasciato alcuni aeroporti, si era fatto il nome di Air Italy per rilevarli. «Beh, in effetti potevano determinarsi alcune buone opportunità», risponde Giuseppe Gentile che di Air Italy è titolare, «ma la verità è che è un momento difficile e tutti abbiamo i nervi tesi. Ora sembra che nel 2010 le cose andranno un po’ meglio». Di certo alcune iniziative di O’Leary sconcertano, come quando lanciò l’idea dei posti in piedi in aereo o quella delle toilette a pagamento. «Era solo pubblicità a costo zero», taglia corto Riggio. La controversia con l’aeroporto romano di Ciampino, che Regione ed enti locali vogliono chiudere per l’inquinamento acustico spostando i voli a Viterbo (o a Fiumicino dove però i diritti di transito costano di più), riempie le cronache laziali da anni. E’ bastato che per ora siano stati ridotti i voli notturni perché O’Leary pubblicasse sul sito le sue "dieci domande" al sindaco di Ciampino in cui lo accusa di ogni possibile malversazione e peculato.
Ma è stato in questa grana dei documenti che i toni si sono alzati ulteriormente, fino alle insinuazioni più odiose. Intanto le accuse di evasione fiscale: pare che Ryanair, compagnia di diritto irlandese, non paghi un euro di tasse in Italia neanche per i voli che cominciano e finiscono nel nostro paese. Il che, se è vero, sarebbe doppiamente imbarazzante visto che riceve contributi e sovvenzioni di varia natura. Secondo l’Aea, l’associazione delle compagnie aeree europee (di cui Ryanair non fa parte) la compagnia riceverebbe 190 milioni di euro l’anno a questo titolo, il che per un bilancio da 3 miliardi non è poca cosa.
Nel 2007 la Commissione di Bruxelles aprì un’indagine conoscitiva sulla questione, dalla quale tuttavia non emerse l’elementochiave: Ryanair si vale, quando apre un nuovo scalo, di accordi di comarketing con gli enti locali (dalle campagne pubblicitarie congiunte alla creazione di linee di autobus pubblici in coincidenza con i voli) e di intese finanziarie varie (compreso un abbattimento dei costi di decollo o atterraggio da una media del settore di 15002000 euro fino a 125200). Non è stato possibile però definire se questi accordi siano di lungo termine, comunque tali da prefigurare il passaggio da incentivo una tantum a sovvenzione duratura, che com’è noto cozza con le regole comunitarie. Il contenuto degli accordi è uno dei segreti meglio custoditi d’Europa ma sicure sono le conseguenze sui bilanci degli enti locali: la Sogeaal di Alghero (finanziata dai comuni della città e di Sassari) è andata mezza fallita per le agevolazioni a Ryanair, per la quale ha creato anche una linea di autobus fino a Cagliari, e pesanti sono gli oneri sulla pisana Ast (quotata in Borsa con maggioranza comune+provincia+regione), della Seap (scali pugliesi con analoghi soci) e della Camera di commercio di Perugia che, con altri soci pubblici, ha addirittura utilizzato i fondi per i 150 anni dell’unità d’Italia per affidare a Gae Aulenti la nuova aerostazione e negoziare con Ryanair l’avvio di rotte a partire appunto dal 2011 che dovrebbero portare a ben 500mila utenti. A Trapani l’ente di gestione si sta talmente svenando che non riesce a chiudere un bilancio in utile, il che gli darebbe paradossalmente il diritto di aprirsi a nuove compagnie. «Dobbiamo sapere commenta Lupo Rattazzi, gran conoscitore del trasporto aereo oggi capo della Neos che quando vediamo sul giornale la pubblicità di un volo per Londra a 10 euro, dobbiamo pensare che il biglietto è la voce minore fra le entrate di quella compagnia. È per questo che è inappropriato il paragone fra una compagnia "normale" di linea e una lowcost che si basa su una complessa architettura di marketing che va ben al di là della vendita dei posti».
http://www.repubblica.it/supplementi/af/1999/01/11/primopiano/002kric.html
"Nuova Alitalia, decollo riuscito"
MARCO PANARA
«Sono un amministratore delegato al quale è stato affidato un compito delicato, ma che gode di condizioni di cui nessun amministratore delegato precedente ha mai goduto, per la discontinuità con la situazione precedente, per il perimetro aziendale e, soprattutto, per l’assenza assoluta di interferenze». Dopodomani, mercoledì 13 gennaio, la nuova Alitalia compirà un anno, il primo in cui a gestirla è stato Rocco Sabelli.
Qual è il risultato di questa speciale condizione della quale lei ha potuto godere?
«L’efficienza e la credibilità».«Oggi l’Alitalia è un’azienda che sta sul mercato, che ha un futuro, che affronta la competizione con costi più bassi di altri, che non brucia cassa. E che ha credibilità presso i clienti e presso i partner internazionali».
Come la misuriamo questa maggiore efficienza?
«C’è un parametro internazionalmente riconosciuto, ed è il costo per ‘postochilometro di volo’, il nostro è di 7 centesimi, i grandi vettori sono intorno agli 1112, le low cost tra 4,5 e 6. Far volare gli aerei oggi a noi costa meno che alle compagnie comparabili».
Come avete fatto a ridurre i costi?
«Grazie a tre fattori. Il primo è l’orientamento verso un modello di business che ci consente un più elevato utilizzo degli aerei e del personale, ottenuto aumentando le tratte ‘puntopunto’. Prima il sistema si basava sulle connessioni che facevano perno su Roma e su Milano, ora abbiamo sette basi, Roma, Milano Linate, Malpensa, Torino, Venezia, Napoli e Catania. Abbiamo fatto questa scelta perché quello italiano è un mercato con flussi periferici forti, nel quale la gente vuole andare dal nord al sud e viceversa senza dover passare per forza da Roma o da Milano. Questi flussi non erano serviti da nulla, lo avevano capito le low cost e Toto con AirOne. Noi lo abbiamo fatto intercettando una esigenza dei viaggiatori e ottenendo considerevoli risparmi».
Come?
«Per la stessa ragione per la quale le low cost sono più efficienti: riducendo le connessioni aumentano la rotazione degli aerei e del personale, che vola di più nello stesso orario di lavoro».
Gli altri due fattori?
«Uno è la concentrazione della nostra attività nel trasporto passeggeri, lasciando all’esterno la manutenzione e il trasporto merci che richiedono economie di scala che la nostra dimensione non consentiva. L’altro è la riduzione del personale, che oggi è in linea con le esigenze della compagnia».
Sul personale e i rapporti sindacali torneremo, rimanendo invece su quel numeretto magico dei 7 centesimi per ‘postochilometro di volo’, avendo un costo più basso delle altre compagnie di bandiera dovreste guadagnare di più di loro, perché non accade?
«Perché il costo per ‘postochilometro di volo’ è solo il primo dei tre elementi che consentono la redditività, il secondo è il ‘load factor’, ovvero con quanti posti pieni gli aerei volano perché il costo vale anche per quelli vuoti e il terzo è il ricavato medio per viaggiatore. Abbiamo calcolato che con un costo di 7 centesimi, un ‘load factor’ del 70 per cento e un ricavato medio per viaggiatore di 120 euro Alitalia sarà in pareggio, e contiamo di arrivarci, come da programma, nel 2011».
La nuova Alitalia compie un anno, qual è il bilancio?
«Abbiamo assolto la missione di riportare questo gruppo ai nastri di partenza sul suo mercato naturale, abbiamo progressivamente recuperato clientela e quote di mercato, abbiamo stabilizzato la regolarità del servizio e ridotto, anche se non ancora abbastanza, i disagi creati dai ritardi nei voli e nel ritiro dei bagagli».
Ma i conti?
«Abbiamo chiuso il primo semestre con circa 300 milioni di perdite e alla fine dell’anno confermeremo quel dato, il che vuol dire che nel secondo semestre c’è stato un sostanziale pareggio operativo. Abbiamo cassa per oltre 300 milioni e solo debiti ipotecari legati all’acquisto degli aerei. Tenga conto che la partenza è stata davvero difficile, con Alitalia ed AirOne che negli ultimi mesi del 2009 praticamente non raccoglievano più prenotazioni, e che abbiamo dovuto affrontare tutti i problemi della fusione e riorganizzazione della compagnia».
Se il secondo semestre si è chiuso in sostanziale pareggio operativo perché il break even è rinviato al 2011 e non ci sarà già nel 2010?
«Perché il 2010 sarà un anno difficile. La cosa migliore che ci possiamo aspettiamo è che il mercato sia piatto, mentre aumenteranno i costi, a cominciare da quello del petrolio che inciderà per circa 150 milioni di euro in più, per finire con il costo del lavoro, per il quale non potremo contare sulle agevolazioni legate all’assunzione del personale in cassa integrazione che nel 2009 hanno contribuito per 4050 milioni di euro. Poi ci sono gli investimenti, per il lancio di nuove rotte e di nuovi servizi e l’ammodernamento e il completamento della flotta».
Quindi per il 2010 che previsioni fa?
«Nonostante il mercato ancora condizionato dalla crisi Alitalia aumenterà i suoi ricavi, perché non dovrà scontare i problemi che abbiamo avuto nei primi sei mesi del 2009, il che bilancerà in parte, ma non del tutto, i maggiori costi».
Lei si è detto soddisfatto della regolarità dei voli. Qual è la situazione?
«Abbiamo ormai da molti mesi una regolarità intorno al 99,5 per cento, il che vuol dire che i voli cancellati sono meno di uno ogni cento. E’ un risultato importante, che abbiamo ottenuto grazie al fatto che non abbiamo avuto un giorno di sciopero, del che va dato grande merito al personale e al sindacato; al lavoro che abbiamo fatto sugli aeroplani e al fatto che la manutenzione che prima si faceva di giorno ora per il 95 per cento viene fatta di notte. L’aumento della regolarità peraltro va insieme all’aumento progressivo, anche se ancora insufficiente, del tasso di puntualità, che è superiore stabilmente all’80 per cento e in numerosi casi anche al 90 per cento in tutti gli aeroporti salvo Fiumicino».
Ma Fiumicino è uno snodo chiave, come mai non si riesce a risolvere il problema?
«Perché ci vuole tempo. Noi abbiamo fatto la nostra parte incrementando gli organici, riorganizzando i processi ed aumentando l’automazione. Insieme ad Adr abbiamo avviato la creazione di un terminale unico per Alitalia e i suoi alleati in Sky Team, ma ci sono ancora alcuni interventi infrastrutturali necessari per completare il processo che richiederanno uno o due anni».
Vale anche per i bagagli?
«Il terminal unico ridurrà i tempi, però è necessario anche completare il sistema di gestione automatica dei bagagli».
Veniamo ai rapporti sindacali, che sono uno dei problemi storici dell’Alitalia.
«Noi ci siamo attenuti agli accordi siglati il 31 ottobre del 2008 a Palazzo Chigi, e intendiamo continuare su questa linea che ci garantisce la necessaria competitività e una struttura di costi che ci consente di essere competitivi. Abbiamo 14 mila 60 dipendenti, un migliaio in più di quelli previsti dal piano e abbiamo assunto 700 persone dalla cassa integrazione. Abbiamo introdotto il part time diminuendo così l’assenteismo e venendo incontro alle esigenze di una parte del personale, soprattutto femminile. Abbiamo salvato Atitech garantendo per cinque anni la manutenzione in esclusiva per tutti i nostri aerei e ci accingiamo a fare lo stesso con Ams per i motori».
Tutto rose e fiori quindi?
«Mi sento di dire che non esistono problemi di merito, dobbiamo far evolvere un sistema di relazioni industriali per perfezionare un contratto nato per creare una discontinuità, è una questione di messa a punto».
Molti analisti vi criticano perché puntate troppo sul mercato nazionale dove è più forte la competizione, e troppo poco su quello intercontinentale, che è più redditizio.
«Il network di questa Alitalia segna una novità: i precedenti venivano costruiti in base ai vincoli industriali dell’azienda, il che vuol dire che rispondevano alle esigenze dei piloti e del personale viaggiante e alla struttura della flotta più che alla domanda del mercato. Noi abbiamo invertito questa logica, la nostra rete è costruita sulla base di due criteri: andare dove il mercato lo chiede ed essere sostenibile economicamente. Per queste due ragioni abbiamo scelto le destinazioni intercontinentali per noi naturali e un hub, Fiumicino, per noi naturale. Lo stesso vale per la rete internazionale. Quanto alle critiche degli analisti, la mia risposta è che c’è una ragione per la quale tutte le compagnie di bandiera hanno il 50 per cento e più del mercato nazionale, ed è che se non fai viaggiare i tuoi clienti con te in Italia non viaggeranno con te <\n>quando dovranno andare fuori. Ma <\n>c’è anche una seconda ragione: se <\n>non avessimo un flusso adeguato di <\n>passeggeri nazionali su Fiumicino <\n>non avremmo la massa critica per <\n>sostenere il servizio internazionale <\n>e intercontinentale».
Ma la rete crescerà?
«Quello che le posso dire già ora è che riapriremo le rotte per Malaga e Vienna, per Miami da Milano e per Los Angeles da Roma. Abbiamo già lanciato nuove rotte da Torino e altre, in seguito, saranno lanciate da altre basi. Da marzo o aprile con il marchio AirOne partirà un nuovo servizio da Malpensa, dove puntiamo su una clientela sensibile al prezzo, e svilupperemo altre rotte puntopunto dagli aeroporti minori con aerei di più piccole dimensioni».
Farete quindi concorrenza alle low cost?
«Seguiamo il nostro modello, che prevede massima efficienza e lo sforzo di servire i flussi dove ci sono».
In questo quadro le alleanze che ruolo svolgono?
«Sono fondamentali. Nessuno può pensare di coprire il mondo intero con un’unica gigantesca compagnia, la strada per offrire ai propri clienti tutte le destinazioni possibili mantenendo la sostenibilità economica del business è sviluppare un sistema di alleanze, come quello che abbiamo costruito con Air FranceKlm e Delta Northwest, con Aeroflot, su basi diverse con Etihad e probabilmente, in un prossimo futuro, anche con Air Vietnam».
La privatizzazione dell’Alitalia è costata assai cara al contribuente italiano, continuiamo a chiederci se ne sia valsa la pena e cosa sarà Alitalia di qui a cinque anni. Ci dia lei una risposta.
«Sarà una compagnia con una base nazionale forte all’interno di un solido sistema di alleanze, potrà arrivare a trasportare 2830 milioni di passeggeri con qualche rotta internazionale e intercontinentale in più, starà bene sul mercato e guadagnerà soldi. Quanto alla proprietà non sta a me deciderlo, valuteranno gli azionisti se quotarla in Borsa, mantenere le loro quote di capitale oppure cederla d altri. Ma comunque sia strutturata la proprietà resterà una compagnia con una forte base nazionale, senza la non avrebbe più valore».
Un’ultima domanda: come state affrontando il problema della sicurezza?
«Seguendo le direttive dell’Enac, che prevede per le partenze verso destinazioni ‘sensibili’ un controllo minuzioso di persone e bagagli sia al varco di sicurezza dell’aeroporto che al momento dell’imbarco, controlli doppi assoluti e totali. Fino ad oggi questo non ha determinato la cancellazione di alcun volo ma un ritardo medio di 90 minuti. Per eliminarlo stiamo chiedendo ai clienti di giungere in aeroporto tre ore prima e, insieme alle autorità aeroportuali, stiamo predisponendo salette ‘preimbarco’ che ci consentano anticipare le operazioni».
http://www.repubblica.it/supplementi/af/1999/01/11/copertina/001grolla.html
LA CAMPAGNA D'ITALIA DELL'IRLANDESE O'LEARY IL BILANCIO
EUGENIO OCCORSIO
Male o bene, purché si parli di me. Questa dev’essere la policy comunicativa di Michael O’Leary, visto che erano passate solo poche ore dalla soluzione della vertenzadocumenti con l’Enac quando il sanguigno boss di Ryanair ha trovato un altro punto d’attacco ancora più impopolare: «Questa storia dei body scanner è una totale idiozia». Mentre l’emergenzaterrorismo sta affrettando l’installazione di questi strumenti riconosciuti dall’Fbi, dalla Cia, dalle polizie di tutto il mondo (Italia compresa) come l’unico modo sicuro per evitare l’immissione di armi o esplosivi a bordo, il fumantino irlandese tuonava: «Fanno perdere tempo e soldi», da sempre sua unica preoccupazione. Vito Riggio, presidente dell’Enac, non ce la fa più: «È uno stile da pagliaccio, sono pronto a ripeterlo in qualsiasi sede», sbotta venerdì sera.
Eppure solo un giorno prima fra Riggio e O’Leary sembrava pace fatta. La compagnia aveva accettato di rispettare le leggi italiane per i voli interni ammettendo a bordo chi è munito non di passaporto o carta d’identità ma di un documento comunque valido (solo sulle patenti verrà ora insediata una commissione congiunta con il ministero dell’Interno per verificarne la validità). Non senza violente polemiche. «Vogliono che accettiamo la licenza di pesca», era l’accusa di O’Leary. «Ma chi si è mai presentato all’imbarco con una licenza di pesca?», risponde Riggio. «Per esempio, le tessere professionali rilasciate a tutti i dipendenti pubblici e i loro familiari, equivalgono sicuramente a una carta d’identità». Così è stato, non prima che O’Leary minacciasse di lasciare l’Italia (con tanto di sospensione delle prenotazioni sul sito nei primi giorni dell’anno), facesse ricorso al Tar che gli ha dato torto, preparasse l’appello al Consiglio di Stato. «Ma non le sembra troppo solo perché gli avevamo chiesto di accettare le norme vigenti?», si chiede Riggio. «D’accordo che dovevano resettare il sistema informatico, che accetta solo i passaporti, ma è del tutto sproporzionata la reazione all’azione. Secondo me c’è qualcosa d’altro». Cosa? O’Leary la vocazione del provocatore ce l’ha nel sangue. «Diciamo che ha un carattere un po’ spigoloso», dice Fabio Petroni, proprietario di Terravision che lo conosce bene perché gestisce in esclusiva per la compagnia i pullman in molti scali europei comprese Londra e Roma. «Ma resta un signor manager. Credo che fosse seriamente preoccupato di vedersela con la burocrazia italiana». Se avesse veramente lasciato alcuni aeroporti, si era fatto il nome di Air Italy per rilevarli. «Beh, in effetti potevano determinarsi alcune buone opportunità», risponde Giuseppe Gentile che di Air Italy è titolare, «ma la verità è che è un momento difficile e tutti abbiamo i nervi tesi. Ora sembra che nel 2010 le cose andranno un po’ meglio». Di certo alcune iniziative di O’Leary sconcertano, come quando lanciò l’idea dei posti in piedi in aereo o quella delle toilette a pagamento. «Era solo pubblicità a costo zero», taglia corto Riggio. La controversia con l’aeroporto romano di Ciampino, che Regione ed enti locali vogliono chiudere per l’inquinamento acustico spostando i voli a Viterbo (o a Fiumicino dove però i diritti di transito costano di più), riempie le cronache laziali da anni. E’ bastato che per ora siano stati ridotti i voli notturni perché O’Leary pubblicasse sul sito le sue "dieci domande" al sindaco di Ciampino in cui lo accusa di ogni possibile malversazione e peculato.
Ma è stato in questa grana dei documenti che i toni si sono alzati ulteriormente, fino alle insinuazioni più odiose. Intanto le accuse di evasione fiscale: pare che Ryanair, compagnia di diritto irlandese, non paghi un euro di tasse in Italia neanche per i voli che cominciano e finiscono nel nostro paese. Il che, se è vero, sarebbe doppiamente imbarazzante visto che riceve contributi e sovvenzioni di varia natura. Secondo l’Aea, l’associazione delle compagnie aeree europee (di cui Ryanair non fa parte) la compagnia riceverebbe 190 milioni di euro l’anno a questo titolo, il che per un bilancio da 3 miliardi non è poca cosa.
Nel 2007 la Commissione di Bruxelles aprì un’indagine conoscitiva sulla questione, dalla quale tuttavia non emerse l’elementochiave: Ryanair si vale, quando apre un nuovo scalo, di accordi di comarketing con gli enti locali (dalle campagne pubblicitarie congiunte alla creazione di linee di autobus pubblici in coincidenza con i voli) e di intese finanziarie varie (compreso un abbattimento dei costi di decollo o atterraggio da una media del settore di 15002000 euro fino a 125200). Non è stato possibile però definire se questi accordi siano di lungo termine, comunque tali da prefigurare il passaggio da incentivo una tantum a sovvenzione duratura, che com’è noto cozza con le regole comunitarie. Il contenuto degli accordi è uno dei segreti meglio custoditi d’Europa ma sicure sono le conseguenze sui bilanci degli enti locali: la Sogeaal di Alghero (finanziata dai comuni della città e di Sassari) è andata mezza fallita per le agevolazioni a Ryanair, per la quale ha creato anche una linea di autobus fino a Cagliari, e pesanti sono gli oneri sulla pisana Ast (quotata in Borsa con maggioranza comune+provincia+regione), della Seap (scali pugliesi con analoghi soci) e della Camera di commercio di Perugia che, con altri soci pubblici, ha addirittura utilizzato i fondi per i 150 anni dell’unità d’Italia per affidare a Gae Aulenti la nuova aerostazione e negoziare con Ryanair l’avvio di rotte a partire appunto dal 2011 che dovrebbero portare a ben 500mila utenti. A Trapani l’ente di gestione si sta talmente svenando che non riesce a chiudere un bilancio in utile, il che gli darebbe paradossalmente il diritto di aprirsi a nuove compagnie. «Dobbiamo sapere commenta Lupo Rattazzi, gran conoscitore del trasporto aereo oggi capo della Neos che quando vediamo sul giornale la pubblicità di un volo per Londra a 10 euro, dobbiamo pensare che il biglietto è la voce minore fra le entrate di quella compagnia. È per questo che è inappropriato il paragone fra una compagnia "normale" di linea e una lowcost che si basa su una complessa architettura di marketing che va ben al di là della vendita dei posti».
http://www.repubblica.it/supplementi/af/1999/01/11/primopiano/002kric.html
"Nuova Alitalia, decollo riuscito"
MARCO PANARA
«Sono un amministratore delegato al quale è stato affidato un compito delicato, ma che gode di condizioni di cui nessun amministratore delegato precedente ha mai goduto, per la discontinuità con la situazione precedente, per il perimetro aziendale e, soprattutto, per l’assenza assoluta di interferenze». Dopodomani, mercoledì 13 gennaio, la nuova Alitalia compirà un anno, il primo in cui a gestirla è stato Rocco Sabelli.
Qual è il risultato di questa speciale condizione della quale lei ha potuto godere?
«L’efficienza e la credibilità».«Oggi l’Alitalia è un’azienda che sta sul mercato, che ha un futuro, che affronta la competizione con costi più bassi di altri, che non brucia cassa. E che ha credibilità presso i clienti e presso i partner internazionali».
Come la misuriamo questa maggiore efficienza?
«C’è un parametro internazionalmente riconosciuto, ed è il costo per ‘postochilometro di volo’, il nostro è di 7 centesimi, i grandi vettori sono intorno agli 1112, le low cost tra 4,5 e 6. Far volare gli aerei oggi a noi costa meno che alle compagnie comparabili».
Come avete fatto a ridurre i costi?
«Grazie a tre fattori. Il primo è l’orientamento verso un modello di business che ci consente un più elevato utilizzo degli aerei e del personale, ottenuto aumentando le tratte ‘puntopunto’. Prima il sistema si basava sulle connessioni che facevano perno su Roma e su Milano, ora abbiamo sette basi, Roma, Milano Linate, Malpensa, Torino, Venezia, Napoli e Catania. Abbiamo fatto questa scelta perché quello italiano è un mercato con flussi periferici forti, nel quale la gente vuole andare dal nord al sud e viceversa senza dover passare per forza da Roma o da Milano. Questi flussi non erano serviti da nulla, lo avevano capito le low cost e Toto con AirOne. Noi lo abbiamo fatto intercettando una esigenza dei viaggiatori e ottenendo considerevoli risparmi».
Come?
«Per la stessa ragione per la quale le low cost sono più efficienti: riducendo le connessioni aumentano la rotazione degli aerei e del personale, che vola di più nello stesso orario di lavoro».
Gli altri due fattori?
«Uno è la concentrazione della nostra attività nel trasporto passeggeri, lasciando all’esterno la manutenzione e il trasporto merci che richiedono economie di scala che la nostra dimensione non consentiva. L’altro è la riduzione del personale, che oggi è in linea con le esigenze della compagnia».
Sul personale e i rapporti sindacali torneremo, rimanendo invece su quel numeretto magico dei 7 centesimi per ‘postochilometro di volo’, avendo un costo più basso delle altre compagnie di bandiera dovreste guadagnare di più di loro, perché non accade?
«Perché il costo per ‘postochilometro di volo’ è solo il primo dei tre elementi che consentono la redditività, il secondo è il ‘load factor’, ovvero con quanti posti pieni gli aerei volano perché il costo vale anche per quelli vuoti e il terzo è il ricavato medio per viaggiatore. Abbiamo calcolato che con un costo di 7 centesimi, un ‘load factor’ del 70 per cento e un ricavato medio per viaggiatore di 120 euro Alitalia sarà in pareggio, e contiamo di arrivarci, come da programma, nel 2011».
La nuova Alitalia compie un anno, qual è il bilancio?
«Abbiamo assolto la missione di riportare questo gruppo ai nastri di partenza sul suo mercato naturale, abbiamo progressivamente recuperato clientela e quote di mercato, abbiamo stabilizzato la regolarità del servizio e ridotto, anche se non ancora abbastanza, i disagi creati dai ritardi nei voli e nel ritiro dei bagagli».
Ma i conti?
«Abbiamo chiuso il primo semestre con circa 300 milioni di perdite e alla fine dell’anno confermeremo quel dato, il che vuol dire che nel secondo semestre c’è stato un sostanziale pareggio operativo. Abbiamo cassa per oltre 300 milioni e solo debiti ipotecari legati all’acquisto degli aerei. Tenga conto che la partenza è stata davvero difficile, con Alitalia ed AirOne che negli ultimi mesi del 2009 praticamente non raccoglievano più prenotazioni, e che abbiamo dovuto affrontare tutti i problemi della fusione e riorganizzazione della compagnia».
Se il secondo semestre si è chiuso in sostanziale pareggio operativo perché il break even è rinviato al 2011 e non ci sarà già nel 2010?
«Perché il 2010 sarà un anno difficile. La cosa migliore che ci possiamo aspettiamo è che il mercato sia piatto, mentre aumenteranno i costi, a cominciare da quello del petrolio che inciderà per circa 150 milioni di euro in più, per finire con il costo del lavoro, per il quale non potremo contare sulle agevolazioni legate all’assunzione del personale in cassa integrazione che nel 2009 hanno contribuito per 4050 milioni di euro. Poi ci sono gli investimenti, per il lancio di nuove rotte e di nuovi servizi e l’ammodernamento e il completamento della flotta».
Quindi per il 2010 che previsioni fa?
«Nonostante il mercato ancora condizionato dalla crisi Alitalia aumenterà i suoi ricavi, perché non dovrà scontare i problemi che abbiamo avuto nei primi sei mesi del 2009, il che bilancerà in parte, ma non del tutto, i maggiori costi».
Lei si è detto soddisfatto della regolarità dei voli. Qual è la situazione?
«Abbiamo ormai da molti mesi una regolarità intorno al 99,5 per cento, il che vuol dire che i voli cancellati sono meno di uno ogni cento. E’ un risultato importante, che abbiamo ottenuto grazie al fatto che non abbiamo avuto un giorno di sciopero, del che va dato grande merito al personale e al sindacato; al lavoro che abbiamo fatto sugli aeroplani e al fatto che la manutenzione che prima si faceva di giorno ora per il 95 per cento viene fatta di notte. L’aumento della regolarità peraltro va insieme all’aumento progressivo, anche se ancora insufficiente, del tasso di puntualità, che è superiore stabilmente all’80 per cento e in numerosi casi anche al 90 per cento in tutti gli aeroporti salvo Fiumicino».
Ma Fiumicino è uno snodo chiave, come mai non si riesce a risolvere il problema?
«Perché ci vuole tempo. Noi abbiamo fatto la nostra parte incrementando gli organici, riorganizzando i processi ed aumentando l’automazione. Insieme ad Adr abbiamo avviato la creazione di un terminale unico per Alitalia e i suoi alleati in Sky Team, ma ci sono ancora alcuni interventi infrastrutturali necessari per completare il processo che richiederanno uno o due anni».
Vale anche per i bagagli?
«Il terminal unico ridurrà i tempi, però è necessario anche completare il sistema di gestione automatica dei bagagli».
Veniamo ai rapporti sindacali, che sono uno dei problemi storici dell’Alitalia.
«Noi ci siamo attenuti agli accordi siglati il 31 ottobre del 2008 a Palazzo Chigi, e intendiamo continuare su questa linea che ci garantisce la necessaria competitività e una struttura di costi che ci consente di essere competitivi. Abbiamo 14 mila 60 dipendenti, un migliaio in più di quelli previsti dal piano e abbiamo assunto 700 persone dalla cassa integrazione. Abbiamo introdotto il part time diminuendo così l’assenteismo e venendo incontro alle esigenze di una parte del personale, soprattutto femminile. Abbiamo salvato Atitech garantendo per cinque anni la manutenzione in esclusiva per tutti i nostri aerei e ci accingiamo a fare lo stesso con Ams per i motori».
Tutto rose e fiori quindi?
«Mi sento di dire che non esistono problemi di merito, dobbiamo far evolvere un sistema di relazioni industriali per perfezionare un contratto nato per creare una discontinuità, è una questione di messa a punto».
Molti analisti vi criticano perché puntate troppo sul mercato nazionale dove è più forte la competizione, e troppo poco su quello intercontinentale, che è più redditizio.
«Il network di questa Alitalia segna una novità: i precedenti venivano costruiti in base ai vincoli industriali dell’azienda, il che vuol dire che rispondevano alle esigenze dei piloti e del personale viaggiante e alla struttura della flotta più che alla domanda del mercato. Noi abbiamo invertito questa logica, la nostra rete è costruita sulla base di due criteri: andare dove il mercato lo chiede ed essere sostenibile economicamente. Per queste due ragioni abbiamo scelto le destinazioni intercontinentali per noi naturali e un hub, Fiumicino, per noi naturale. Lo stesso vale per la rete internazionale. Quanto alle critiche degli analisti, la mia risposta è che c’è una ragione per la quale tutte le compagnie di bandiera hanno il 50 per cento e più del mercato nazionale, ed è che se non fai viaggiare i tuoi clienti con te in Italia non viaggeranno con te <\n>quando dovranno andare fuori. Ma <\n>c’è anche una seconda ragione: se <\n>non avessimo un flusso adeguato di <\n>passeggeri nazionali su Fiumicino <\n>non avremmo la massa critica per <\n>sostenere il servizio internazionale <\n>e intercontinentale».
Ma la rete crescerà?
«Quello che le posso dire già ora è che riapriremo le rotte per Malaga e Vienna, per Miami da Milano e per Los Angeles da Roma. Abbiamo già lanciato nuove rotte da Torino e altre, in seguito, saranno lanciate da altre basi. Da marzo o aprile con il marchio AirOne partirà un nuovo servizio da Malpensa, dove puntiamo su una clientela sensibile al prezzo, e svilupperemo altre rotte puntopunto dagli aeroporti minori con aerei di più piccole dimensioni».
Farete quindi concorrenza alle low cost?
«Seguiamo il nostro modello, che prevede massima efficienza e lo sforzo di servire i flussi dove ci sono».
In questo quadro le alleanze che ruolo svolgono?
«Sono fondamentali. Nessuno può pensare di coprire il mondo intero con un’unica gigantesca compagnia, la strada per offrire ai propri clienti tutte le destinazioni possibili mantenendo la sostenibilità economica del business è sviluppare un sistema di alleanze, come quello che abbiamo costruito con Air FranceKlm e Delta Northwest, con Aeroflot, su basi diverse con Etihad e probabilmente, in un prossimo futuro, anche con Air Vietnam».
La privatizzazione dell’Alitalia è costata assai cara al contribuente italiano, continuiamo a chiederci se ne sia valsa la pena e cosa sarà Alitalia di qui a cinque anni. Ci dia lei una risposta.
«Sarà una compagnia con una base nazionale forte all’interno di un solido sistema di alleanze, potrà arrivare a trasportare 2830 milioni di passeggeri con qualche rotta internazionale e intercontinentale in più, starà bene sul mercato e guadagnerà soldi. Quanto alla proprietà non sta a me deciderlo, valuteranno gli azionisti se quotarla in Borsa, mantenere le loro quote di capitale oppure cederla d altri. Ma comunque sia strutturata la proprietà resterà una compagnia con una forte base nazionale, senza la non avrebbe più valore».
Un’ultima domanda: come state affrontando il problema della sicurezza?
«Seguendo le direttive dell’Enac, che prevede per le partenze verso destinazioni ‘sensibili’ un controllo minuzioso di persone e bagagli sia al varco di sicurezza dell’aeroporto che al momento dell’imbarco, controlli doppi assoluti e totali. Fino ad oggi questo non ha determinato la cancellazione di alcun volo ma un ritardo medio di 90 minuti. Per eliminarlo stiamo chiedendo ai clienti di giungere in aeroporto tre ore prima e, insieme alle autorità aeroportuali, stiamo predisponendo salette ‘preimbarco’ che ci consentano anticipare le operazioni».
http://www.repubblica.it/supplementi/af/1999/01/11/copertina/001grolla.html