[TR] Sulla strada.


Che bel viaggio porca. Come mai ti vengono in mente queste destinazioni così particolari!?

Dovresti viaggiare con Dancrane. Lui ha addirittura ancora più fantasia di te. Adesso voglio vedere se hai preso l'AN 14 che
Gera nel piano!!

Beh sai, me l'ha consigliato un tizio, uno con una brutta fama. Non volevo dar retta ai pettegolezzi, però ho scoperto che era andato a Punta Cana da Gaucci con Blu Panorama all'andata e Air Italy al ritorno...

Il Tajik air è un An28, ma a quanto pare - sono andato a chiedere all'aeroporto - non vola più su Khorog, gli aerei (così mi hanno detto all'aeroporto) sono troppo vecchi. Se volevi potevi noleggiare il Mi-8 per farlo in elicottero alla modica cifra di $1800, ma a Khorog non ce n'erano, non sapevano quando ne sarebbero arrivati da Dušanbe e soprattutto non avevo 1800 carte da ricicciare così. Pure quelli dell'ONU hanno preso la macchina...

Accipicchia... niente male affatto!

Grazie console! L'anno prossimo molli Bali e ti fiondi qui, vero?

Sempre bellissimo, attendo con ansia il seguito!

Grazie Italo :)
 
In meno di venti minuti siamo già amici, anche se le discussioni si limitano a dire ”Kurwa!” e a ridere come minorati.

Vorrei ben sperare non in presenza di Frau Merkel...
Un Panienka o Piękna kobieta certo non era adatto alle condizioni stradali, ma sarebbe stato più chic...
:faccina:

Grandissimo TR. Non ce l'ho fatta ad aspettare la fine. Grazie per avercelo condiviso.
 
Meraviglia. Foto fantastiche i paesaggi mi ricordano molto il viaggio che feci qualche anno fa nel Ladakh.
Viaggio stupendo, well bloody done.
 
Vorrei ben sperare non in presenza di Frau Merkel...
Un Panienka o Piękna kobieta certo non era adatto alle condizioni stradali, ma sarebbe stato più chic...
:faccina:

Grandissimo TR. Non ce l'ho fatta ad aspettare la fine. Grazie per avercelo condiviso.

Ha onestamente iniziato lei! Komron ha chiesto "Ruski?" e lei ha tuonato "Kurwa!"

Foto fantastiche, racconto ancora di piu' :)! Grazie per farci vivere "vicariously" (come cappio si dice in Italiano non lo so) un'avventura fantastica!

Grazie Silvano, spero di concludere nel weekend.

Meraviglia. Foto fantastiche i paesaggi mi ricordano molto il viaggio che feci qualche anno fa nel Ladakh.
Viaggio stupendo, well bloody done.

Grazie mille G! :)
 
6. Khorog-Dušanbe

Ok, cerchiamo di finirlo, questo TR eterno.

Tra noi e la fine c’è la tratta più lunga del viaggio, quella da Khorog a Dušanbe. I reportages e le informazioni che riusciamo a raccogliere dicono diverse cose; chi parla di 14 ore, chi di 12, chi di 20 di auto. Sono 600 km e la strada è in condizioni pietose per almeno 2/3 della via.

C’è, però, una possibile via d’uscita. Usciamo in cerca di un bancomat funzionante, falliamo, cerchiamo una banca aperta (fallimento pure lì) e, non sapendo che altro fare, puntiamo verso l’aeroporto. La cittadina è gradevole, con un’aria urbana che non eravamo più abituati a vedere, almeno fino a quando il vento non cambia e inizia a scatenare tempeste di sabbia nella valle. Arriviamo a tentoni all’aeroporto, dove troviamo un omino seduto su uno sgabello, e un reticolato. Da qui dovrebbe, pare, partire un An28 della Tajik Air, uno dei pochi voli dove si viaggia tra le montagne, invece che sopra.

L’omino non sa nulla, e chiama un altro omino, il quale sa tre parole di inglese e una di tedesco. L’An28, a quanto pare, è ”Kaputt”. Spalmato contro una riva o rotto non è dato sapere. Volendo ci sarebbe un Mi8, charter, a $2000. Anche avendo i soldi, e non li abbiamo, non vediamo l’elicottero. ”Dušanbe, Dušanbe”. Vabbé, auto sarà.

Il giorno dopo, essendoci accordati per una partenza alle 7.30 con l’amico del cognato della sorella della nostra padrona di casa, ci spaparanziamo su una specie letto-piattaforma rialzata e facciamo una colazione da campioni. Alle 7.00 qualcuno bussa al portone, urlando frasi incomprensibili. Nessuno in casa sembra farci caso e pure noi ce ne strafreghiamo, se non fosse che, quando la padrona va ad aprire alle 7.15, scopriamo che si tratta del nostro autista, già incazzato a morte malgrado fosse lui ad essere in anticipo clamoroso. Da queste parti, se vi dicono alle 9.00, fatevi vedere alle 8.00.

C’impiliamo a bordo dell’ennesima Land Cruiser e l’autista, che vanta una buona somiglianza con Nicola Berti, corre a perdifiato fino al parcheggio delle Land Cruiser perché questa, amici e vicini, è una marshrutka, un taxi collettivo.

Ci parcheggiamo di fianco a una casa da cui entrano ed escono cooperanti e altri stranieri, ma di compagni di viaggio non se ne vede l’ombra. Nicola Berti vuole caricare altre 5 persone oltre noi, ma una prima analisi di mercato fa propendere per una cronica sovracapacità sulla rotta Khorog-Dushanbe, con yield in sofferenza. Il parcheggio e la strada sono pieni di Land Cruiser, e non mi sembra che ci sia molta gente disposta a viaggiare. Dopo un’ora, Nicola Berti torna da dov’era andato a nascondersi e mi appoggia un telefono. Segue una quindicina di minuti di contrattazione frenetica, e raggiungiamo un accordo: per 1000 somoni, l’equivalente di 100 euro, M. ed io decidiamo di comprare altri posti, e prenderemo un altro compagno di viaggio. Risaliamo in auto e andiamo ad appostarci ad un distributore di benzina ai margini della città, in attesa del terzo uomo. Nicola, nel frattempo, rimane di umor nero.

Su tutto veglia lui, il Presidente Clamoroso Dott. Ing. Cav. di Gran Croc. Mascalzon. Farabutt. Visconte Emomalii Rahmon o, per gli amici, "The Founder of Peace and National Unity, Leader of the Nation, President of the Republic of Tajikistan, His Excellency Emomali Rahmon,". Ero stato in Oman, dove i ritratti di Qaboos erano abbastanza comuni, ma Rahmon è su un altro livello. Purtroppo fotografarli è vietato, anzi vietatissimo, ce n’erano alcuni – tipo quello di Rahmon nel campo di papaveri, Rahmon con Putin, Rahmon sul bagnasciuga – che erano epici.

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Mentre noi ammiriamo il presidente e il presidente ammira noi, una Land Cruiser ultimo modello, nera coi finestrini neri, si ferma di fianco alla nostra. Il finestrino del guidatore si abbassa, a rivelare tre facce da galera. Nicola Berti corricchia da loro e in maniera nemmeno troppo nascosta Faccia da Galera 1 passa a Berti una busta bianca bella rigonfia. Eccallà, come diceva la sora Lella ”annamo proprio bbene”. M. ed io iniziamo già a pregustare una recensione su Tripadvisor del gabbio tajiko. Pensiamo un po’ a che fare – fuggire, restare – ma un ragionamento ci convince a rimanere. Questo paese, non è poi così brutto dirlo, è quanto di più vicino a un narcostato ci sia al di fuori dell’America Latina, con almeno 90 tonnellate di eroina in transito ogni anno. Le chances che noi si venga beccati per quello che, pur assumendo sia droga, sarà meno di 100 grammi sono poche. Inoltre il nostro Nicola Berti non sembra granché preoccupato, piazzando la busta nel portaoggetti centrale. Certo, rimane sempre la possibilità che lui sia un cojone, ma mi sembra poco credibile.

Ad ogni modo, arriva il terzo passeggero che non è, come pensavamo, un donnone locale con sei valigie e due galline, ma una diciottenne olandese di nome Marieke; il pensiero di avere tre turisti a bordo getta Nicola nello sconforto più totale, ma partiamo.

La strada costeggia per quasi metà percorso l’Afghanistan. La novità di vedere questo paese non se ne va per praticamente l’intero tragitto, e rimaniamo imbambolati a guardare l’altra sponda del fiume Panj per ore. La differenza tra “noi” e “loro” è come il giorno e la notte: di qui, una strada abbastanza ampia, a tratti persino asfaltata; tralicci dell’energia elettrica, case con bagni, negozi con frigoriferi, persino un paio di lampioni, muri dipinti a colori sgargianti, traffico. Di là, un tratturo, case di fango, gente in moto a coppie e in gruppi di tre, zero ‘padelle’ del satellite o tralicci. Spesso la valle si amplia, soprattutto sul lato afghano, e appaiono appezzamenti di terreno lussureggianti, di un verde meraviglioso, ombreggiati da alberi da frutto e tenuti con scrupolo calvinista. Lungo le spiagge si vedono bambini correre in bicicletta e, in un paio di casi, giocare a cricket, poracci loro, sotto il controllo di vegliardi dalla barba grigia. Chissà se ci notano, chissà cosa penseranno di noi.

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Dopo ore senza una sosta, passando villaggetti e pattuglie di soldati tajiki, arriva finalmente il momento di abbandonare l’Afghanistan. Nicola Berti ci aveva fatto chiaramente capire che le soste per le foto erano contrarie alla sua religione, ma la vista di ciò che si palesa di fronte a noi ci fa prendere il coraggio a tre mani e obblighiamo Marieke a chiedere una sosta pipì. Ci spariamo fuori dall’abitacolo tutti, e andiamo a vedere un panorama per me incredibile.

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Le foto non fanno giustizia al posto, per cui provo a descriverlo. Siamo alla confluenza di una vallata con quella del fiume Panj. La vallata è larga come la Valle d’Aosta a Donnaz, e va avanti per km. Eppure, qui, c’è solo una casa. Solo una. Il resto è completamente, totalmente vuoto. Il torrente ha scavato, con le piene, un alveo profondo, guardate le scarpate; sono almeno una ventina di metri, se non di più. Rimaniamo ancora un po’, poi Nicola Berti ne ha le palle piene e inizia a sgasare. Muovetevi, o parto senza di voi.

Facciamo a malapena 50 metri, ed ecco una coda. Nicolone nostro prova a farsi largo a sgasate, ma viene salutato con l’equivalente tajiko di “E secondo te siamo tutti qui in coda perché siamo stronzi?”. Scendiamo, e inizia l’ingorgo più divertente cui mi sia mai capitato di partecipare. In pratica, qualcuno sta rifacendo la strada, e per renderla più sicura stanno eliminando delle rocce dalle ripe che stanno sopra a noi. L’unico modo per farlo è di prendere due ruspe, farle salire in alto e buttare giù i massi, un po’ come facevano i salassi coi romani. Ovviamente, nel frattempo, la strada è chiusa al traffico.

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Tutti sembrano abbastanza tranquilli e rassegnati a rimanere fermi per un po’, fino alle 18.00 almeno, e allora tanto vale fare amicizia. Un tizio, proprietario del camion qui sotto, arriva e intavola una conversazione con me dalla quale capisco che si fa Shanghai – Dušanbe (un mese) con un carico di televisori, e poi un altro mese per il ritorno. Il nostro è molto premuroso, al punto da offrirmi un po’ di vodka fatta in casa, direttamente dal flacone di shampoo Nivea che usa come alambicco.

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All’inizio della coda, invece, fervono dei lavori. Un tizio ha deciso che l’interno del suo UAZ-452, che effettivamente è sotto il sole, è troppo caldo per i suoi gusti, per cui ha smontato schienale e cuscino del sedile e li ha piazzati all’ombra, contro la massicciata. Un altro, probabilmente un venditore itinerante di ferraglia, tira fuori pezzi di sospensioni ad arco e ingranaggi di una frizione; un altro appare, com’è ovvio, con una bilancia elettronica da salumeria. In un attimo la pesa è fatta, e si ritorna ad ascoltare la musica trasmessa dalla cabina dell’escavatore, piazzato di traverso a mo’ di posto di blocco.

Un tizio mi dà un buffetto sulla spalla. Mi giro e finisco addosso al classico paisà della zona, pantaloni di acrilico, camicia rigida di materiale plastico possibilmente infiammabile, canotta, ciabatte e occhiali da sole alla Gabry Ponte. Parte una raffica di russo, le cui uniche parole che riesco a capire sono “Marco Polosky” o roba simile. Sospetto che si riferisca alla Marco Polo Sheep, un ovino indigeno provvisto di un paio di corna degne di uno stambecco, ma nel dubbio mi fingo tonto. Per niente scoraggiato, il nostro estrae il suo Samsung Galaxy 180 e, come sfondo del desktop – o come diavolo si chiama – ecco per l’appunto un grosso esemplare di pecora Marco Polo. Ci invita a seguirlo.

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Subodoro qualche pacco, ma decidiamo di seguirlo su per un sentiero da capre, che dà su uno strapiombo vertiginoso. Assieme a lui, spuntati da chissà dove, sono almeno una mezza dozzina di persone, per niente sorprese dell’arrivo di due italiani e un’olandese. Un tizio – immaginatevi il ragioner Filini senza gli occhiali, infagottato in una divisa mimetica tipo quella italiana degli anni ’90 – ci allunga un binocolo. Dopo i plane e train, ecco i goat spotters.

La pecora, però, è sparita dietro il declivio della montagna apposta. Prosti, prosti ripete Filini, quasi fosse colpa sua. Lo assicuriamo del fatto che non gliene vorremo, e ridiscendiamo. La strada è finalmente riaperta.

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Nicola Berti è incazzatissimo, e si vede. Parte una corsa tipo Wacky Races con tutte le Land Cruiser, schivando buchi random, gente che attraversa la strada e mucche suicide. Veniamo fermati ad almeno nove posti di blocco, e a ognuno di questi Nicola Berti dovrà pagare una tangente, cosa che aumenterà a dismisura il suo buonumore. Passiamo attraverso Kulob, ci fermiamo brevissimamente per una cena in un localaccio adornato da una limousine Cadillac parcheggiata all’ingresso, e poi facciamo una tirata fino a Dušanbe, che raggiungiamo alle 21, dopo 14 ore e 47 minuti. Ci fermiamo a consegnare la famosa busta, che si rivela contenere solo soldi, e a prendere un paio di birre. Pamir Highway, sei stata meravigliosa.

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…Continua, manca poco!
 
Meraviglia, bravo fabbbri.
Vedo che le strade sono rimaste le stesse di 10 anni fa però almeno i mezzi si sono evoluti. Mi ero addentrato nel Pamir su una Lada Niva di almeno 30 anni con altri 4 compagni di viaggio.
 
Posto, racconto e foto semplicemente stupendi!
Standing ovation...

Grazie per la condivisione.
 
7. Dušanbe e il ritorno

Non ho chissà che esperienza di città post-sovietiche, ma quel poco che ho visto del city planning dell’Unione (Almaty, Jerevan) non m’è poi dispiaciuto molto: vie larghe, tanto verde, case tutto sommato dignitose; insomma, a Londra vendono a milionate baracche in condizioni molto peggiori. Dušanbe non è poi tutto sommato diversa, solo più, come dire, schizofrenica.

Cumuli di spazzatura in decomposizione e statue tirate a lucido, nuovi palazzoni di appartamenti che sembrano meringhe alte venti piani e casupole con tetti in Eternit, il palo portabandiera più alto del mondo – serio, eh – e carne di mucca appesa sotto il sole, con tanto di nugoli di mosche. Però c'è anche il bazaar più bello che vuoi, dove un secchiello di lamponi viene un euro, e il pane 50 cent.

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Alloggiamo per qualche giorno in un ostello, Hello Dushanbe, che mi sento di consigliare a chiunque, soprattutto per il giardino, la pulizia e il fatto di avere cose per niente tipiche di un ostello (camere con bagno privato, aria condizionata, colazione). Il resto della clientela è diversa dalla solita gente che si trova in posti del genere ma, alla fin fine, non siamo a Koh Samui ed è meglio così.

Il Tajikistan è un paese autoritario, che non vede di buon occhio giornalisti e ficcanaso in genere; se, finora, c’è stato facile dimenticarlo, un paio di episodi ce lo fanno ricordare subito, e con gli interessi. La faccio breve e concisa, anche per evitare drammatizzazioni che non hanno luogo di esistere: se siete fotografi, avete macchine Canon lunghe un braccio, o GoPro con quelle manopole stabilizzatrici che fanno tanto figo, avete voglia di evitare che ve le sequestrino e non avete un compagno di viaggio con un po’ di faccia da culo e la fotocopia dei contatti dell’ambasciata italiana più vicina (a Taškent, per cui inutilissima), non andate a Dušanbe.

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I giorni passano in fretta, e passo il penultimo a seguire le elezioni inglesi con corbynista di Brentford, praticamente mio vicino di casa dato che abito ad Acton. Festeggiamo la brillantissima mossa tattica di Theresa May con una solenne bevuta e, alle due di notte dell’ultimo giorno, raccatto armi e bagagli e cammino fino all’aeroporto di Dušanbe, che si trova a pochissimi chilometri di distanza dal centro, per di più in discesa. Ah, nota di servizio: siccome le foto successive sono fatte con un Nokia, le ho fatte di dimensioni più ridotte.

A dispetto delle mie più nobili intenzioni aviatorie e tripreportistiche il ritorno sarà effettuato con la stessa compagnia che ha fornito l’andata, ossia Turkish Airlines. Avevo accarezzato l’idea di provare Tajik Air, Somon Air oppure qualche oscura compagnia russa, ma l’incertezza su visti per le connessioni fai-da-te – c’è chi dice si, c’è no, c’è chi dice mboh – e il vile denaro fanno propendere per la più democratica delle compagnie.

A DYU si può accedere ai banchi del check-in solo se il volo è aperto, e l’on-line check-in non è possibile. Per puro culo arrivo nell’esatto istante in cui viene dato l’OK ad approcciare i banchi, e sono il terzo a essere processato. L’addetto mi consente di avere un posto corridoio e, con un gesto alla Gigi Sabani che offre un TV color assieme al Garelli, butta lì che mi darà l’uscita d’emergenza.

Mi metto in fila ai controlli radiogeni assieme a un pattuglione di emigranti diretti in Russia, come d’altronde una buona % degli adulti di questo paese. Come spesso mi capita di vedere da queste parti, gli addetti ai controlli sembrano tutto tranne che attenti: quello al metal detector si fissa i piedi, l’altro allo schermo è intento a massaggiarsi la pancia. Mi metto in fila, e quello davanti a me passa. All’improvviso il massaggiatore di stomaci salta in piedi come una suricata quando si alzano a controllare che non arrivino i predatori, e scoppia un piccolo parapiglia; da una stanza spuntano altri tre guardiani che interrogano brevemente il tizio prima di me, poi lo prendono sottobraccio, prelevano il suo bagaglio e lo portano da dove sono usciti. Il tutto dura cinque minuti, in cui io rimango collo zaino in mano, iPad telefono portafogli passaporto nella vaschetta, e uno sguardo da perfetto cretino.

Passo il controllo, e guardo l’uomo del metal detector con aria interrogativa. ”Bad man” mi fa, indicando col mento la porta dove il tizio prima di me è sparito. ”Drug’. Ed io che pensavo fossero fancazzisti!

DYU, airside, rivaleggia con Changi:

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Aspetto per un paio d’ore sotto l’occhio vigile di questa pubblicità, e poi è il momento di salire a bordo.

Quando ho comprato il biglietto l’aereo era un A330, ed ora è un A321 e di quelli con gl’interni diabolici. Pitch da pigmeo, una sbarra d’acciaio che sporge dalla tasca portaoggetti, sedili reclinati, braccioli bassissimi, niente intrattenimento. Ovviamente la mia ‘uscita d’emergenza’ si scopre essere la fila immediatamente dietro a quella d’emergenza. Si preannunciano sei ore di volo molto, ma molto divertenti.

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Facciamo un po’ di taxiing e mi riesce di intravedere il famoso An28, oggettivamente fermo, e pure dei Mi8 coperti da teloni.

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Il volo si svolge tranquillo, con la stessa colazione di un anno fa sull’Isfahan-Istanbul. L’unica differenza è quel piccolo peperone, che tutti reputiamo innocuo ed innocente ed invece si rivela essere stronzissimamente piccante. Lo addento per primo e subito inizio una lenta e dolorosa agonia. Provo ad avvertire i vicini, ma troppo tardi: soffochiamo in sei.

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Atterriamo a Istanbul in orario, e sono praticamente da solo a fare il transito, mai visto prima. Passo un’oretta e poi arriva il momento di imbarcarsi per Londra.

Londra, come saprete, è nel Regno Unito, altrimenti conosciuto come il paese che copia tutto ciò che arriva dall’America, a prescindere da quanto (poco) abbia senso ciò che arriva da oltre-Atlantico. L’ultima trovata, per esempio, riguarda il famosissimo laptop ban. Non importa che nessun altro paese, manco San Marino, abbia avuto la mezza idea di copiarli; non importa che gli ultimi tre attentati siano stati compiuti senza l’ausilio di anche solo mezzo iPad; e non importa che l’ICAO – e che volete che ne sappiano quelli là - ne scoraggi l’imbarco in stiva, Teresina May ha deciso che la probabilità di un hold fire è preferibile alla remota possibilità dell’esplosione di una bomba, e quindi dobbiamo adattarci.

Comunque, nel caso vogliate saperlo, il sistema a Istanbul funziona così. All’arrivo al gate, il vostro bagaglio a mano verrà ispezionato da dei cortesi addetti alla sicurezza, e iPad, laptop, power bank e via dicendo verranno identificati e numerati. Fatto questo, porterete i pericolosissimo oggetti ad un altro banchetto, dove un altro addetto ha già stampato un numero di rush tags pari al numero dei pericolosissimi oggetti in vostro possesso. La vostra carta d'imbarco, poi, verrà adornata con un prezioso glifo.

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Tali pericolosissimi oggetti verranno poi avvolti in pellicola con le bolle (dopo esser stati spenti) e saranno infine messi in valigie apposite marchiate Turkish Airlines. A voi verrà data la ricevuta della bag tag e un buono per il Wi-Fi, che però su questo aereo (un A321 con IFE e sedili decenti, grazie a Dio) non ci sarà. Imbarco praticamente per ultimo e, sbirciando sul taccuino di un tizio della sicurezza, conto una ventina di laptop, 30 tablet e 15 power bank. Dovrei sentirmi più sicuro grazie a Teresina e alla sua strong and stable leadership, ma la realtà è che mettere una sessantina di batterie al litio in stiva, dove l’equipaggio non può arrivare, è un rischio gratuito. Prima o poi succederà un casino.

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Per fortuna il giorno non è oggi, e il volo scorre tranquillo. Guardo un paio di film, mangio una colazione che, miracolo, non è l’ennesimo piatto di köfte e bulgur wheat, e poi siamo arrivati.

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Come funziona il recupero dei pericolosissimi oggetti? Beh, non ve lo so proprio dire; spinto dalla voglia di documentare tutto per AC, e solo da quella, decido di andare a casa, infilarmi sotto la doccia e farmi un caffè prima di ricordarmi del mio pericolosissimo oggetto e di ritornare al Terminal 2. Qui, in biglietteria, un gentilissimo signore in divisa TK mi porterà al pianterreno, nelle segrete del T2, e mi ridarà l’agognato, pericolosissimo, iPad.

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Come disse Enrico la Talpa, That’s all bifolks!
 
Meraviglia, bravo fabbbri.
Vedo che le strade sono rimaste le stesse di 10 anni fa però almeno i mezzi si sono evoluti. Mi ero addentrato nel Pamir su una Lada Niva di almeno 30 anni con altri 4 compagni di viaggio.

Questa???

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Se sì il proprietario mi ha detto che gli devi ancora tutti i soldi del pranzo...

Che cosa dire... wow... e ripeto quello che ho gia' detto. Fantastico! A parte le foto con panorami fantastici, lo racconti in un modo che ti fa sembrare li!

Grazie mille Silvano :)

Posto, racconto e foto semplicemente stupendi!
Standing ovation...

Grazie per la condivisione.

Obrigado!
 
Ho aspettato la fine, per poi rileggerlo di nuovo tutto d'un fiato... un TR, anzi un reportage spettacolare. Tanti tanti complimenti!
 
Veramente un gran bel lavoro Biella, è proprio un piacere leggere le cronache dei tuoi viaggi!
 
Bellissimo Fabri. Gran bel TR e commento irresistibile. Dovresti dare qualche lezione a GP. :)