[TR] Al Baker aveva ragione


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26 Aprile 2012
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Ho ricevuto tantissime richieste (tre) da parte di moltissime persone (due) per raccontare questa mia disavventura, per cui eccomi qui. Non e' un TR nel senso classico del termine, ho pochissime foto e sono per lo più parole. Spero vi piaccia.

“First of all, we don't fly crap airplanes that are 35 years old.” Queste sono le parole che Akbar Al Baker, CEO e mammasantissima di Qatar Airways, ha usato per definire Delta a una conferenza non troppo tempo fa. Al Baker non mi sta per niente simpatico – ho sentito troppi racconti di prima mano dei suoi comportamenti, e della cultura aziendale di QR – ma, mentre finalmente m’imbarco sul terzo aereo di un viaggi iniziato 15 ore prima e ripenso alla mia avventura, non posso fare a meno di dargli ragione. Non ho volato Delta ma la nuova AA/US e gli aerei non avevano 35 anni, ma poco importa; oggi, per me, Akbar Al Baker ha ragione da vendere.

Tutto inizia con un ritorno al passato. Il mio vecchio team si è smembrato, dopo un anno e mezzo di lavoro a tutta forza premiato nemmeno con un rifiuto, ma con la messa in ghiacciaia del nostro progetto. Il capo ha lasciato l’azienda, io ho cambiato dipartimento, gli altri si trovano alle prese con l’ovvia e amara alternativa alla nostra idea: outsourcing.

Non tutto, però, è perduto. I giorni passati a lavorare dalle 7 alle 7, i viaggi, le presentazioni, i business case hanno cementato un’amicizia che sopravvive alle distanze e alle amarezze. Questo weekend è una rimpatriata, la ricostituzione del gruppo a diciotto mesi dalla nostra sconfitta, e inizia – ovviamente – da Madrid.

Nella vasta flotta di IAG, solo un tipo mi manca: l’A346 IB, un visitatore abbastanza abituale a Londra, se non fosse che – tutte le volte che ho prenotato un posto – mi sono trovato o sul 333 o sul 343. Oggi non è differente: il 346 viene cambiato con un 342 – un 343 con vecchi interni – il giorno prima della partenza, e cosi mi ritrovo su “Conception”, un ferrovecchio con i sedili senza IFE, duri come panche, di quelli in grado di squadrarti il culo in sole due ore e mezza di viaggio, figurarsi su un Madrid-Havana.

Sia come sia, il giorno seguente mi vede riunito con JC, la colonna spagnola del nostro vecchio gruppo. JC conosce l’intero gruppo di tecnici della manutenzione BA, e ci prendiamo un caffe con uno di loro. Il giorno prima i ragazzi hanno faticato fino all’una di notte per sistemare il 763 American per Miami, ripartito vuoto per la base dopo una riparazione alla bell’e meglio. “They’re getting worse than Concorde” è il commento dei ragazzi più stagionati, ed è qualcosa che non si sente tutti i giorni. Concorde era talmente inaffidabile che la prassi era di averne uno sempre in riserva, letteralmente a fianco di quello in partenza. I cambi dell’ultimo minuto erano la norma anziché l’eccezione.


La cancellazione del MIA mi preoccupa un po’. Stiamo volando standby, o non-rev come dicono in America, e una cancellazione causa sempre overbooking sugli altri aerei, specie su quelli della stessa compagnia. E il nostro A330-200, destinazione Charlotte, batte la stessa bandiera del 767 caduto sul fronte floridense. Per fortuna la maggior parte dei viaggiatori è stata riprotetta sui voli Iberia e su quello per New York, per cui riusciamo a salire senza troppi problemi. Purtroppo l’equipaggio si accorge di un problema – manca l’acqua – ed ecco le famigliari polo bordeaux BA che appaiono a bordo. Passa mezz’ora, un po’ di smanettamenti, un Ningún problema, jefe e siamo pronti.

Una volta in aria inizio a guardarmi intorno, prendendo le misure dell’aereo. Le hostess credo non siano più mestruate dalla seconda presidenza Reagan; la pulizia è un po’ approssimativa – la tasca del mio sedile è decorata con un interessante patchwork fatto di chewing gum e carta appiccicata - ; l’IFE e’ di buona qualità ma il touchscreen ha una responsività al tocco tale da meritagli il nomignolo di punch-screen; Dolly Parton figura nella sezione ‘Classical music’.



Dicevo appunto delle hostess. Al di là della non più verdissima età, bisogna aggiungere che la simpatia non è il loro forte. Prendi la signora che si sta lavorando il pezzo di corridoio intorno al mio sedile, per esempio. Sul suo grembiule ha appuntato alcune grosse spille, che suppongo non siano di provenienza US Airways, di cui una proclama ‘I LUV my job, don’t make me HATE it’, un’altra sostiene ‘I know and you know that you are the most important person on the plane. But who’s gonna tell all the others?’ e il tocco di grazia ‘Jumpseat therapist’.

Oltre a pattugliare il corridoio, la nostra è anche responsabile per gli annunci, che effettua in inglese e spagnolo da madrelingua. Prendiamo ad esempio l’annuncio fatto dopo una buona quarantina di minuti dal decollo: il volo è tranquillo, niente turbolenze ne’ scossoni, ma il segnale ‘allacciate le cinture’ rimane acceso. Siccome sono un cinico suppongo che sia dovuto più al desiderio degli AAVV di non aver gente tra le balle mentre preparano il pranzo, invece che al desiderio di evitarci gli effetti di una CAT. Qualunque sia la verità rimango seduto, mentre altri iniziano i pellegrinaggi ai bagni; la nostra, sempre vigile, annuncia urbi et orbi “The seatbelts are still on. I am gonna count from three to one and I want everyone seated by the two. You don’t wanna make me go down to one”, con relativa traduzione letterale in spagnolo.

Vabbè, esploriamo il sedile.


La prima nota dolente è il sedile stesso: è molto simile a quello che Alitalia usa sugli A320 di corto, quindi poco profilato, senza un poggiatesta regolabile e rivestito in pelle o simile. Tutto bene se stessimo facendo un Lamezia Terme-Linate, ma su un volo di otto/nove ore un sedile del genere è criminale. Scenderò a Charlotte con la colonna vertebrale reimpostata a forma di “L”. Quanto al legroom, invece, niente da eccepire, molto meglio di certe europee.


Dell’IFE, avevo già detto, buona la scelta dei film e la qualità dell’audio; certo, le scelte musicali sono un po’ dubbie, ma comunque godibili. La rivista di bordo è quella standard di American che, a confrontarla anche solo con quello che producono north of the border in casa Air Canada, sembra messa insieme da Alberto Malesani e con Antonio Razzi come correttore di bozze. A rendere più distopico il tutto sono gli annunci pubblicitari, a metà tra le inserzioni che si possono trovare sull’Eco di Biella e i giornalini parrocchiali. Consigliatissimo a chi ha un forte gusto dell’orrido, ecco giusto due chicche: una pubblicità per veterani interessati a diventare idraulici e il miglior ortopedico d’America. You couldn’t make this stuff up.






Gli annunci mi tengono occupato fino all’arrivo del pranzo, preannunciato da un perentorio “Pasta or chicken?” che mi riempie di aspettative ed eccitazione. A onor del vero, invece, il cibo non è male, o forse sono cinque anni nella perfida Albione (e anni di mensa dalle suore prima ancora) ad avermi fottuto le papille gustative. L’unica cosa un po’ strana è l’insalata fredda di lenticchie, ma non stiamo a sindacare. Da bere ci sono vino, birra (quattro scelte), succhi, superalcolici a pagamento e guai a chiedere un refill di alcol come il tizio seduto davanti a me ha avuto l’ardire di chiedere. Credo che pagherà milioni in terapia.




Il resto del volo passa allegramente guardando film di guerra (US Air ha un arsenale di pellicole che fanno “bum” nell’IFE) finche’ non arriva il momento di riempire la landing card. Come sempre, sbaglio la prima. So che hanno detto, ridetto e ri-ripetuto che non avrebbero dato altre cards, ma il bisogno è supremo: raccolgo il coraggio a due mani e, con la mia miglior faccia da bravo ragazzo e sorrisone accattiva-nonne, provo a chiederne un’altra a LUV, che passa di lì di ritorno dalla raccolta dei vassoi. Un gruppone di landing cards troneggia sul trolley. La domanda alla mia richiesta è: “Were you sleeping when I handed ‘em out the first time, huh?”. Gioco la carta dell’onestà (coopera con le autorità, sempre!) e ammetto l’errore. “This is PRECISELY the reason why we said we weren’t gonna give out more. You folks make mistakes and we run out of cards”. Faccio notare che ne ha almeno una sessantina in bilico sul trolley e, sbuffando, me ne recapita una in spagnolo. Faccio notare che, in spagnolo, so a malapena chiedere una birra. Altro sbuffo degno di un capodoglio, e arriva quella inglese. Per il resto del volo verrò ignorato da LUV, cosa che mi va più che bene; all’atterraggio, salutandola, riceverò solo un roteamento di occhi. Onestamente, se chiedere una landing card basta a mandarla fuori dai gangheri, non oso immaginare cosa potrebbe succedere qualora dovesse andare, che so, alla Motorizzazione civile o all’Agenzia delle Entrate.

Comunque, tra noi e le Forche Caudine dell’immigrazione c’è ancora la colazione che consiste in una specie di piadina-crepe non troppo cotta, con basilico e abbondante spruzzata di conservanti (scadenza aprile 2016) e tortino al cocco che suppongo abbia sostituito il waterboarding come tecnica per estorcere informazioni ai cattivi di Al Qaeda. Ritirato il tutto, siamo a terra e pronti a quest’ennesima permanenza nella Land of the Free.
 
Il ritorno

Il tempo vola quando ci si diverte. Non ero mai stato a sud della Mason-Dixon prima d’ora e devo ammettere che avrei dovuto farlo prima. Si potrà dire tanto degli abitanti delle Carolinas – che sono hillbillies, rednecks, illetterati e via dicendo – ma l’ospitalità, la cortesia e il genuino interesse nel vedere e conoscere stranieri è stato rinfrescante. Purtroppo è domenica, ed è ora di tornare. Ci districhiamo da un party di condominio dopo aver contribuito a finire la scorta di Olde Mecklenburg Brewery della città e andiamo di Uber verso CLT.

Come la maggior parte degli aeroporti americani, CLT è un po’ tipo Gatwick, solo peggio. Arriviamo ai D gates, dove tre terribili notizie ci colpiscono. Uno, hanno cancellato il volo per Dublino e tutti gli altri, da liberissimi che erano, sono oramai in overbooking; due, anche qui c’è la moquette; tre, non hanno l’aria condizionata.

Sudiamo per due ore, in attesa. Il mio collega riesce miracolosamente a salire a bordo del volo per Madrid, per poi rimanere a bordo un’altra ora e mezza mentre sistemano l’IFE e qualche altro dettaglio tecnico. Io, invece, vengo rimbalzato dal primo volo per LHR, pure lui in ritardo. Il secondo volo sembra quello giusto: l’imbarco inizia e finisce, rimangono cinque posti e cinque staff. Io sono terzo. Sale il primo, sale il secondo… ed ecco che arrivano tre passeggeri in connessione. Sono le 11:00, il volo doveva essere partito mezz’ora fa, e se lo fosse stato io sarei stato a bordo. Invece sorry folks, you ain’t going on this one.

Io e gli altri tre forzati aspettiamo che il gate team finisca tutta la trafila burocratica, e veniamo messi in standby sul primo US per LHR del giorno dopo. Partirò lunedì, il che vuol dire che avrò bisogno di un giorno extra di vacanza; non è la prima volta che accade, è lo standby bellezza, ma dover risistemare quattro riunioni fa comunque girare le palle.

Torno in città sconfitto ma non ancor pronto a gettare la spugna. Considero diversi scenari, e decido di comprare standby sui voli US per CDG e MAD, oltre ai due LHR su cui già sono. US opera sei voli al giorno per l’Europa, e ne copro 4; non so bene dove, ma conto di arrivare martedì da qualche parte sul lato giusto dell’Atlantico.

Altro giro, altro regalo: Uber, triplo check-in, e vado a cercare qualcuno con l’aria di ticket agent. Landside è uno zoo, ma alla fine trovo un’addetta che mi comunica che, si, il primo LHR ha quaranta posti disponibili, ma anche 45 staff e io sono in posizione 38. Parigi, invece, ha posti da vendere. Ho sempre amato Parigi.

Pronti via, ottengo quasi subito il mio posto al gate: corridoio, A330-300 che, a giudicare dalle cappelliere, deve aver visto la seconda Guerra Punica. Stavolta, a fare gli annunci al posto di LUV, c’è una ottuagenaria francofona con una voce alla Pink Martini, e pure il capitano si mette a parlare in francese. Pushback in orario, e atmosfera rilassata: che sia l’inizio di un buon volo?

Ehm, no. Ci fermiamo in taxiway col buon capitano che c’informa che c’è qualcosa, nei freni, che non gli piace e torneremo al gate. Attracchiamo alla jetway alle 19:20, un’ora abbondante dopo essere partiti. Passa un po’ di tempo, arriva qualche uomo in hi-vis American, e arrivano anche le cattive notizie: bisogna cambiare i freni a una ruota, ci vorranno due ore, tutti a terra. Di fianco a me, lo sposino in luna di miele inizia a sbattere la testa contro il sedile davanti a lui: è la terza volta che cercano di partire per Parigi.

Esco nell’ormai famigliare atmosfera stantia dei D Gates e considero il da farsi. Che ci mettano due ore per sistemare dei freni è qualcosa che ci può stare in un aeroporto secondario, ma non in un hub. Dalla supposta partenza è passata un’ora almeno, il che vuol dire che ne passeranno tre prima del probabile decollo, assumendo che siano in orario. Non so come siano le regole in America, ma in Europa l’equipaggio sarebbe al limite delle ore legali. Insomma, per farla breve, sono quasi pronto a scommettere che l’US786 per CDG sarà cancellato.

Mi scaravento al gate D11, dove lo stesso agente che mi aveva dato il biglietto per CDG ora sta lavorandosi il MAD. C’è posto, e in breve sono sul 748 per MAD, con tempo a sufficienza per riflettere su quanto siano gentili i gate agents di US, a differenza dei loro colleghi naviganti. Imbarco il secondo aereo della giornata, lo stesso 332 che mi aveva portato a CLT all’andata, e trovo il mio posto; lungo la via vengo ignorato dagli AAVV, che appaiono immersi in attività quali togliersi la cravatta, mettere via le valigie o telefonare col proprio iPhone (con tanto di “Gotta go now, they’re boarding them now” intercettata a mezz’aria).

Fuori cala la notte, e c’è una discreta coda per i decolli, ma non siamo ancora pronti. Guardo fuori, verso il 333 su cui ero seduto poco prima, intorno al quale non sembra affannarsi chissà quanta gente. L’imbarco è completato, porte chiuse, sento il mio polso aumentare. Il capitano appare all’interfono, una cargo door non sembra essersi chiusa, sta chiamando maintenance.


L’aereo erutta in esclamazioni di vario tenore, Fuck e Joder si sprecano, ma io rimango calmo. A quanto ne so io la spia della cargo door è un trucco vecchio come il mondo per allungare un po’ il duty, qualcosa che i piloti BA facevano sempre su rotte al limite delle 12 ore, come la NRT-LHR, per passare quel confine e ricevere un po’ di extra: non richiede di riaprire le porte della cabina passeggeri, al massimo di riaprire e chiudere la stiva cargo. Cosi è, e anche questa è fatta. Ciononostante, ancora non ci muoviamo: ci sono temporali nella zona dell’aeroporto e, come spiegato dallo skipper, i rampisti non possono uscire in presenza di fulmini. Aspettiamo ancora, con niente da fare se non guardare il 333 dall’altro lato dello stand.

Alla fine, quaranta minuti dopo lo scheduled departure time, siamo pronti a muovere. Un po’ di taxi e via, siamo in volo. Sono sporco, sudato e stanco, ho dormito poco e niente da ieri, ma sono finalmente in aria.

Nonostante i sedili dormo arrotolato come un contorsionista per quasi tutto il volo, svegliandomi in tempo per la colazione (yogurt, succo, biscotti e frutta secca).


Atterriamo di nuovo a Madrid, il T4S mi sembra un vecchio amico. Durante il taxiing prenoto in fretta il primo volo BA disponibile per Londra, l’Embraer per City, e poi dò un’occhiata a flightradar: come previsto, US786 è stato cancellato.


Corro alle connessioni e resisto alla tentazione di abbracciare il primo dipendente Iberia che trovo, anche perché le notizie che mi comunica non sono molto buone: LCY è chiuso, hanno trovato un buco in pista. Di sua spontanea volontà il buon uomo chiama un collega per spostarmi sul primo Iberia, in partenza alle 13:30, e mi augura buon viaggio. Al gate altre due signore di Iberia mi confermano il posto, un bel 7F in Business che è anche il primo colpo di culo da domenica sera. “Buen viaje colega” è il loro augurio, e io mi domando se questa è davvero la stessa compagnia i cui dipendenti si rifiutavano di parlarmi insieme solo qualche anno fa.


L’A320 è nuovo e winglettato, ma anche qui non si va da nessuna parte. Mezz’ora di slot delay, causa congestione a LHR. Una volta in volo passeremo un’altra mezz’ora di holding, dentro e fuori nuvole da fungo nucleare che rovesciano secchiate di acqua su Londra per la gran gioia della mia vicina di posto che, a ogni sobbalzo, branca i braccioli e si raccomanda agli dei.








Alla fine, giunti al settantatreesimo madrededios, ci allineiamo per l’atterraggio. Alle quattro di martedì, con trentatré ore di ritardo, arrivo a Londra. Mentre rulliamo verso il Terminal 5 vedo la famigliare sagoma di un A330, la deriva con la bandiera americana e la fusoliera grigio chiaro. A mai più, cari miei.
 
Come sempre hai una dialettica che rende i tuoi TR spassosi e gustosi nella lettura!

Bravissimo Fabri, complimenti
 
Ci sarebbe da piangere per l'accaduto e le fatiche di Ercole che hai intrapreso tra simpaticissime AAVV, ritardi e problemi a ripetizioni...ma per come l'hai raccontato mi sono sbellicato come non mai in un TR, i miei complimenti anche per l'aplomb che hai dimostrato. Voto come racconto dell'anno:D
 
Grande F., era da un po' che non ti si leggeva, ed e' sempre un piacere poterlo fare!
 
Divertentissimo, ma le aavv US sono davvero così? Meno male che il concetto di customer service è più sviluppato negli States...

Una volta in volo passeremo un’altra mezz’ora di holding, dentro e fuori nuvole da fungo nucleare che rovesciano secchiate di acqua su Londra per la gran gioia della mia vicina di posto che, a ogni sobbalzo, branca i braccioli e si raccomanda agli dei.

Questo lo faccio anche io :D

DaV
 
Te mi fai sganasciare. Ma di quello sganascio tipico dei locali dove proiettano le partite di calcio e non lo sganasciare composto che, in quanto A/V, ho imparato ad avere a bordo. Sono una persona a modino ma porca mignotta me fai sgarà.

Quanto a sfiga io ti seguo a ruota perciò credo che, per il bene dell'umanità intera, non dovremmo mai nemmeno transitare nello stesso aeroporto allo stesso momento.
 
Grande F. Racconto come al solito stupendo da leggere. Oltretutto essendo del settore riesci a raccontare gli aneddoti in maniera perfetta.
All in all peró ammazza che sfiga.
 
Come sempre hai una dialettica che rende i tuoi TR spassosi e gustosi nella lettura!

Bravissimo Fabri, complimenti

Grazie Termosifone :)

Bravo ma poche foto :)

Eh lo so, ma prevedendo lo sfracello di foto a millemila pixel che farai tu quest'estate con BA non mi andava di strafare...

La lettura di questo TR è stata spassosissima, grazie.

Prego, grazie a te per leggere!

Gran report, solo non capisco se sei tu che hai una nera che metà basta o se è AA che sta presa con le atomiche...

Entrambe, ma soprattutto la seconda. Diciamo che e' stata una specie di congiuntura cosmica.

Bravo Fabri. Bel TR. Ammazza che sfiga però. Spero di non volare mai con te! :)

E invece mi sa che potremmo volare insieme quest'anno... ;)

Complimenti Fabrizio, hai uno stile fantastico.

Grazie Silvano, e complimenti per il tuo TR!

Ci sarebbe da piangere per l'accaduto e le fatiche di Ercole che hai intrapreso tra simpaticissime AAVV, ritardi e problemi a ripetizioni...ma per come l'hai raccontato mi sono sbellicato come non mai in un TR, i miei complimenti anche per l'aplomb che hai dimostrato. Voto come racconto dell'anno:D

Diciamo che l'aplomb non e' stato sempre al massimo. Al momento della notifica delle due ore di ritardo + sbarco qualcuno, intorno alla fila 20, ha commentato con un "What a f*****g joke of a f*****g airline" a voce piuttosto alta, e quel qualcuno ero io. Alla fin fine, pero', incazzarsi serve a poco (anche se aiuta a stare bene).

Grande F., era da un po' che non ti si leggeva, ed e' sempre un piacere poterlo fare!

Grazie console!

Cavolo che dis-avventura!
Mancavano i tuoi TR. ;)
Mi spiace per il tuo progetto.

Grazie mauro... Quella del progetto e' stata una brutta botta, purtroppo capita. Andrà peggio a chi e' rimasto.

Lettura davvero piacevole e divertente!

Grazie :)

Quoto, hai sempre pubblicato cose di grande valore. E anche molto ben scritte!

Azz, sembra il mio epitaffio! Grazie.

Divertentissimo, ma le aavv US sono davvero così? Meno male che il concetto di customer service è più sviluppato negli States...

Parrebbe di si, credo che influisca coll'aver avuto AAMilan come collega per tanto tempo.

Questo lo faccio anche io :D

DaV

Debole!

Grande! ...ma che Sfaiga!!

Grazie :)

Te mi fai sganasciare. Ma di quello sganascio tipico dei locali dove proiettano le partite di calcio e non lo sganasciare composto che, in quanto A/V, ho imparato ad avere a bordo. Sono una persona a modino ma porca mignotta me fai sgarà.

Quanto a sfiga io ti seguo a ruota perciò credo che, per il bene dell'umanità intera, non dovremmo mai nemmeno transitare nello stesso aeroporto allo stesso momento.

Grazie, gentilissimo! :)
 
Che dire, Fabrizio, la tua innegabile ars scribendi, molto molto piacevole, mette in ombra per un attimo il dubbio che alla lettura istintivamente si insinua: non sarà che niente niente porti un pochino di sfiga? :D
 
Dicevo appunto delle hostess. Al di là della non più verdissima età, bisogna aggiungere che la simpatia non è il loro forte. Prendi la signora che si sta lavorando il pezzo di corridoio intorno al mio sedile, per esempio. Sul suo grembiule ha appuntato alcune grosse spille, che suppongo non siano di provenienza US Airways, di cui una proclama ‘I LUV my job, don’t make me HATE it’, un’altra sostiene ‘I know and you know that you are the most important person on the plane. But who’s gonna tell all the others?’ e il tocco di grazia ‘Jumpseat therapist’.

Oltre a pattugliare il corridoio, la nostra è anche responsabile per gli annunci, che effettua in inglese e spagnolo da madrelingua. Prendiamo ad esempio l’annuncio fatto dopo una buona quarantina di minuti dal decollo: il volo è tranquillo, niente turbolenze ne’ scossoni, ma il segnale ‘allacciate le cinture’ rimane acceso. Siccome sono un cinico suppongo che sia dovuto più al desiderio degli AAVV di non aver gente tra le balle mentre preparano il pranzo, invece che al desiderio di evitarci gli effetti di una CAT. Qualunque sia la verità rimango seduto, mentre altri iniziano i pellegrinaggi ai bagni; la nostra, sempre vigile, annuncia urbi et orbi “The seatbelts are still on. I am gonna count from three to one and I want everyone seated by the two. You don’t wanna make me go down to one”, con relativa traduzione letterale in spagnolo.
In tanti anni di onorata e miserabile carriera non ho mai volato con nessuna collega così... eppure ogni volta che effettuavo una tratta verso gli USA avevo sempre la sensazione che i passeggeri statunitensi ci considerassero maleducati e assolutamente inefficienti. Evidentemente mi sbagliavo, se il livello delle americane è questo....