Alitalia: Etihad compra, gli italiani pagano
Dal 2008 a oggi la compagnia di bandiera ci è costata 6,5 miliardi. Ma ora anche la vendita peserà su contribuenti e viaggiatori. Grazie a uno speciale sussidio
DI STEFANO VERGINE
13 giugno 2014
Che succede se la filiale tedesca di un’azienda italiana entra in crisi? Che i dipendenti incassano da Berlino un sussidio pubblico. Per il primo anno vale il 60 per cento dello stipendio medio. Poi la cifra diventa fissa: 330 euro al mese. Se però è la filiale italiana di un’azienda tedesca ad entrare in crisi, il risultato cambia. Almeno quando la società opera nel settore aeroportuale. Se ne sono accorti i lavoratori di Lufthansa. Il colosso tedesco dei cieli, che visti i bilanci degli ultimi anni gode di ottima salute, nell’ottobre del 2011 ha chiuso la sua filiale di Milano. Conseguenze per i 123 dipendenti? Sette anni di sussidio pubblico. Con un assegno mensile pari all’80 per cento della retribuzione dell’ultimo anno. Traduzione: un pilota Lufthansa in cassa integrazione può beneficiare di un aiuto di 7 mila euro al mese. Tutto pagato dallo Stato italiano grazie al Fondo speciale per il trasporto aereo, l’ultimo regalo offerto nel 2008 dal governo Berlusconi per far digerire ai sindacati gli esuberi della vecchia Alitalia.
La cassa integrazione speciale è solo una delle spese pazze sopportate dagli italiani per sostenere l’ex compagnia di bandiera. Va aggiunta agli aumenti di capitale andati in fumo, ai debiti con la pubblica amministrazione mai saldati, alle tasse non pagate, ai prezzi dei biglietti mantenuti alti per via del monopolio imposto per legge. La storia passata di Alitalia, di cui ora la compagnia araba Etihad si appresta a rilevare il 49 per cento delle quote per 560 milioni di euro, è piena di buchi finanziari. Così tanti da rendere impossibile una ricostruzione precisa. Non resta che affidarsi alle stime. Che, per quanto prudenti, consegnano un conto salatissimo. Solo negli ultimi sei anni, e cioè comprendendo i costi del fallimento della vecchia Alitalia, defunta nel 2008, la più grande compagnia aerea tricolore è costata ai contribuenti, tra spese dirette e indirette, circa 6,5 miliardi. Per capirci, quasi quanto il governo spenderà nel 2014 per la copertura degli 80 euro in busta paga.
Il Fondo speciale per il trasporto aereo è forse il capitolo meno conosciuto di questo libro degli sprechi. Uno strumento pensato per i dipendenti dell’ex Alitalia, ma di cui alla fine beneficiano tutti i lavoratori del settore. In totale sono oltre 13 mila, tra cui spiccano i dipendenti di parecchie compagnie straniere. Ci sono ad esempio quelli di Air France e British Airways, della russa Aeroflot e della Libyan Airlines, delle compagnie di Stato di Yemen e Siria.
Per capire come si è arrivati a questo punto bisogna tornare al 2008. Alitalia, allora controllata dallo Stato, si trova in rosso profondo. Ci sarebbe Air France disposta a rilevarla investendo 1 miliardo e accollandosi debiti per 1,4 miliardi. Ma Silvio Berlusconi, con le elezioni in vista, dice no. In nome della «italianità», la affida a un gruppo di imprenditori, guidati da Roberto Colaninno, che offrono investimenti praticamente identici ai francesi, ma con la differenza di non volersi far carico dei debiti.
I cosiddetti «capitani coraggiosi» creano Cai, una nuova azienda dove confluiscono le attività redditizie di Alitalia come aerei e slot. La vecchia società, con i debiti e il personale in eccesso, viene invece lasciata fallire. Perdita per il contribuente? Considerando solo i conti non saldati verso i fornitori pubblici e il capitale perso al momento del fallimento, uno studio dell’università di Milano Bicocca stima il fardello in 3 miliardi. A questi bisogna aggiungere i soldi spesi per assistere i circa 7 mila dipendenti di Alitalia e Airone (confluita in Cai) rimasti senza lavoro dopo la privatizzazione.
Ai cassintegrati, come detto, non è andata troppo male. Almeno se il paragone si fa con chi in questi anni di crisi ha perso il posto. Escludendo i precari, che alla cassa integrazione piena non hanno proprio accesso, il confronto è impari anche con chi ha un contratto a tempo indeterminato. Per un normale lavoratore, il sussidio può durare al massimo due anni, con altri eventuali due di mobilità. La cifra pagata mensilmente dall’Inps è pari all’80 per cento dello stipendio. Ma c’è un massimale di circa 1.100 euro. Non funziona così per i lavoratori dell’Alitalia. Per loro esiste, appunto, il Fondo speciale per il trasporto aereo, che proprio a partire dal 2008 concede due vantaggi. Primo: il sussidio non dura due anni (di cassa integrazione) più due (di mobilità), ma quattro più tre. Secondo: non esiste un limite massimo, cioè il lavoratore percepisce ogni mese l’80 per cento di quella che è stata la sua retribuzione nell’ultimo anno di lavoro.
Si dirà: ok, ma quelli sono soldi versati dal dipendente sotto forma di contributi durante gli anni di lavoro. Vero solo in minima parte. Il fondo, infatti, è alimentato da due voci. Un contributo dello 0,5 per cento calcolato sulle retribuzioni di tutti gli impiegati del settore. E una tassa, pari a 3 euro, pagata da ogni passeggero che prende un aereo in Italia. È questa gabella la vera fonte di ricchezza del fondo. Basti dire che nel 2012, secondo i più recenti dati Inps, dei 210 milioni giunti alla speciale gestione dell’istituto previdenziale, 203 sono arrivati dalla tassa di tre euro sui biglietti, e solo 7 milioni dai contributi dei lavoratori. Come detto, però, i privilegiati non sono solo i dipendenti di Alitalia. Non potendo regalare loro un vantaggio del genere, pena le bacchettate della Commissione Europea, le modifiche apportate nel 2008 da Berlusconi riguardavano tutti gli impiegati del trasporto aereo. «La decisione di creare una cassa integrazione speciale è stata voluta dal sindacato, che ha scelto così di proteggere ulteriormente i già tutelati e tralasciare ancora una volta i precari», dice Dario Balotta, già allora, da segretario della Cisl Trasporti Lombardia, contrario all’accordo.
Il risultato finale è che tra i beneficiari del Fondo ci sono oggi dipendenti delle più svariate compagnie, alcune nemmeno italiane. Nulla di irregolare, per carità: si tratta di gente assunta con contratto di lavoro italiano. Il problema è che tutto questo è costato, dal 2008 a oggi, circa un miliardo di euro. Senza considerare nel calcolo i furbetti. Alcuni piloti hanno infatti pensato di farsi assumere per sedersi alla cloche di aerei delle compagnie straniere. Ovviamente senza comunicarlo all’Inps. E incassando così, contemporaneamente, contributo pubblico e stipendio. Un pilota, ad esempio, si è portato a casa la doppia paga per due anni: 175mila euro di cassa integrazione e 161mila da un concorrente mediorientale dell’Alitalia. Di casi del genere la Guardia di Finanza ne ha scoperti 18, con un danno totale di 1,8 milioni per i contribuenti.
Al di là della cassa integrazione stratosferica, per raggiungere i 6,5 miliardi spesi dagli italiani per l’Alitalia mancano ancora parecchie voci. Innanzitutto ci sono le tasse evase dalla vecchia compagnia di bandiera, quella precedente alla gestione dei patrioti. Secondo le verifiche fiscali condotte dal Nucleo di polizia tributaria di Roma, tra il 2004 e il 2009 Alitalia avrebbe infatti gonfiato alcuni costi evitando di versare al fisco oltre 1 miliardo di euro. Difficile recuperare quei quattrini, visto che ad evadere sono state le società Alitalia Linee Aeree Italiane e Alitalia Servizi, entrambe in amministrazione straordinaria. E difficile sarà anche recuperare gli altri denari persi per strada. Ci sono quelli investiti da Poste Italiane, azienda pubblica che, per dare ossigeno alle casse dei capitani coraggiosi, alla fine dell’anno scorso comprò il 20 per cento di Cai, sborsando 75 milioni di euro e intestandosi di fatto anche un quinto del debito della compagnia, cioè 200 milioni di euro. L’iniezione di liquidità oggi si è già volatilizzata. E, visto che Etihad dovrebbe entrare in Alitalia con un aumento di capitale riservato, è molto probabile che alla fine la quota di Poste venga diluita, con conseguente perdita dell’investimento, pochi mesi dopo il suo ingresso nel capitale.
Nel computo delle spese di Stato, stimano gli economisti della Bicocca, c’è anche un ulteriore miliardo di euro, che deriva dalle minori entrate fiscali che lo Stato avrebbe potuto incassare dal 2009 a oggi. È l’effetto della trasformazione di Alitalia in Alitalia-Cai, una compagnia molto più piccola, con relativa diminuzione di fatturato e versamenti di tributi e imposte. Infine, ci sono i costi aggiuntivi che i viaggiatori hanno dovuto sopportare in seguito al passaggio di Alitalia nelle mani di Colaninno e soci. Tra i vari effetti della privatizzazione, infatti, c’è stato il monopolio garantito su alcune tratte. La Milano-Roma, ad esempio, ma anche la Roma-Palermo, la Milano-Napoli e altre. Direttrici su cui Alitalia, diventata un tutt’uno con Airone, ha di fatto esercitato un monopolio per tre anni, dal 2008 al 2011, senza che l’Antitrust potesse intervenire perché così aveva deciso per decreto il governo. L’effetto è stato quello di avere prezzi dei biglietti bloccati. Una situazione costata 50 milioni di euro all’anno ai viaggiatori, cioè 200 milioni in totale, ha calcolato l’università Bicocca. E che alla fine non è servita neppure per garantire la sopravvivenza e l’autonomia dell’ex compagnia di bandiera, visto che i consumatori hanno reagito scegliendo sempre più spesso i treni ad alta velocità, entrati nel frattempo in funzione sul tragitto Milano-Roma-Napoli.
Ora che Alitalia dovrebbe passare sotto il controllo di fatto di Etihad, la compagnia di Stato di Abu Dhabi, una delle migliori al mondo in termini di servizi ed efficienza, c’è chi spera nella fine degli sprechi pubblici. Di certo, in sordina, un ultimo regalo è già stato preparato. È scritto a pagina 152 della legge Destinazione Italia, entrata in vigore lo scorso febbraio, quando al governo c’era Enrico Letta e il ministro dei Trasporti era Maurizio Lupi, lo stesso in carica oggi. La legge dice, in sostanza, che per allungare di altri tre anni la vita del Fondo speciale, se necessario il governo alzerà la tassa aeroportuale oggi fissata a 3 euro. Perché prepararsi ad un aumento? Perché Etihad l’ha detto fin da subito: per rilevare Alitalia, vuole ridurre il personale di 2.200 unità. Se i soldi del Fondo non basteranno, ci penserà ancora una volta Pantalone
Il fondo speciale per il personale del trasporto aereo e le compagnie beneficiarie
Ecco chi beneficia del Fondo, che integra cassa integrazione straordinaria, mobilità e contratto di solidarietà. Ai lavoratori, per un totale di sette anni, spetta un assegno pari all'80% dello stipendio percepito nell'ultimo anno di lavoro
13 giugno 2014
Principali società italiane beneficiarie
Tutte le società straniere beneficiarie
http://espresso.repubblica.it/affar...ia-etihad-compra-gli-italiani-pagano-1.168970
http://espresso.repubblica.it/affar...per-il-personale-del-trasporto-aereo-1.168998
Dal 2008 a oggi la compagnia di bandiera ci è costata 6,5 miliardi. Ma ora anche la vendita peserà su contribuenti e viaggiatori. Grazie a uno speciale sussidio
DI STEFANO VERGINE
13 giugno 2014
Che succede se la filiale tedesca di un’azienda italiana entra in crisi? Che i dipendenti incassano da Berlino un sussidio pubblico. Per il primo anno vale il 60 per cento dello stipendio medio. Poi la cifra diventa fissa: 330 euro al mese. Se però è la filiale italiana di un’azienda tedesca ad entrare in crisi, il risultato cambia. Almeno quando la società opera nel settore aeroportuale. Se ne sono accorti i lavoratori di Lufthansa. Il colosso tedesco dei cieli, che visti i bilanci degli ultimi anni gode di ottima salute, nell’ottobre del 2011 ha chiuso la sua filiale di Milano. Conseguenze per i 123 dipendenti? Sette anni di sussidio pubblico. Con un assegno mensile pari all’80 per cento della retribuzione dell’ultimo anno. Traduzione: un pilota Lufthansa in cassa integrazione può beneficiare di un aiuto di 7 mila euro al mese. Tutto pagato dallo Stato italiano grazie al Fondo speciale per il trasporto aereo, l’ultimo regalo offerto nel 2008 dal governo Berlusconi per far digerire ai sindacati gli esuberi della vecchia Alitalia.
La cassa integrazione speciale è solo una delle spese pazze sopportate dagli italiani per sostenere l’ex compagnia di bandiera. Va aggiunta agli aumenti di capitale andati in fumo, ai debiti con la pubblica amministrazione mai saldati, alle tasse non pagate, ai prezzi dei biglietti mantenuti alti per via del monopolio imposto per legge. La storia passata di Alitalia, di cui ora la compagnia araba Etihad si appresta a rilevare il 49 per cento delle quote per 560 milioni di euro, è piena di buchi finanziari. Così tanti da rendere impossibile una ricostruzione precisa. Non resta che affidarsi alle stime. Che, per quanto prudenti, consegnano un conto salatissimo. Solo negli ultimi sei anni, e cioè comprendendo i costi del fallimento della vecchia Alitalia, defunta nel 2008, la più grande compagnia aerea tricolore è costata ai contribuenti, tra spese dirette e indirette, circa 6,5 miliardi. Per capirci, quasi quanto il governo spenderà nel 2014 per la copertura degli 80 euro in busta paga.
Il Fondo speciale per il trasporto aereo è forse il capitolo meno conosciuto di questo libro degli sprechi. Uno strumento pensato per i dipendenti dell’ex Alitalia, ma di cui alla fine beneficiano tutti i lavoratori del settore. In totale sono oltre 13 mila, tra cui spiccano i dipendenti di parecchie compagnie straniere. Ci sono ad esempio quelli di Air France e British Airways, della russa Aeroflot e della Libyan Airlines, delle compagnie di Stato di Yemen e Siria.
Per capire come si è arrivati a questo punto bisogna tornare al 2008. Alitalia, allora controllata dallo Stato, si trova in rosso profondo. Ci sarebbe Air France disposta a rilevarla investendo 1 miliardo e accollandosi debiti per 1,4 miliardi. Ma Silvio Berlusconi, con le elezioni in vista, dice no. In nome della «italianità», la affida a un gruppo di imprenditori, guidati da Roberto Colaninno, che offrono investimenti praticamente identici ai francesi, ma con la differenza di non volersi far carico dei debiti.
I cosiddetti «capitani coraggiosi» creano Cai, una nuova azienda dove confluiscono le attività redditizie di Alitalia come aerei e slot. La vecchia società, con i debiti e il personale in eccesso, viene invece lasciata fallire. Perdita per il contribuente? Considerando solo i conti non saldati verso i fornitori pubblici e il capitale perso al momento del fallimento, uno studio dell’università di Milano Bicocca stima il fardello in 3 miliardi. A questi bisogna aggiungere i soldi spesi per assistere i circa 7 mila dipendenti di Alitalia e Airone (confluita in Cai) rimasti senza lavoro dopo la privatizzazione.
Ai cassintegrati, come detto, non è andata troppo male. Almeno se il paragone si fa con chi in questi anni di crisi ha perso il posto. Escludendo i precari, che alla cassa integrazione piena non hanno proprio accesso, il confronto è impari anche con chi ha un contratto a tempo indeterminato. Per un normale lavoratore, il sussidio può durare al massimo due anni, con altri eventuali due di mobilità. La cifra pagata mensilmente dall’Inps è pari all’80 per cento dello stipendio. Ma c’è un massimale di circa 1.100 euro. Non funziona così per i lavoratori dell’Alitalia. Per loro esiste, appunto, il Fondo speciale per il trasporto aereo, che proprio a partire dal 2008 concede due vantaggi. Primo: il sussidio non dura due anni (di cassa integrazione) più due (di mobilità), ma quattro più tre. Secondo: non esiste un limite massimo, cioè il lavoratore percepisce ogni mese l’80 per cento di quella che è stata la sua retribuzione nell’ultimo anno di lavoro.
Si dirà: ok, ma quelli sono soldi versati dal dipendente sotto forma di contributi durante gli anni di lavoro. Vero solo in minima parte. Il fondo, infatti, è alimentato da due voci. Un contributo dello 0,5 per cento calcolato sulle retribuzioni di tutti gli impiegati del settore. E una tassa, pari a 3 euro, pagata da ogni passeggero che prende un aereo in Italia. È questa gabella la vera fonte di ricchezza del fondo. Basti dire che nel 2012, secondo i più recenti dati Inps, dei 210 milioni giunti alla speciale gestione dell’istituto previdenziale, 203 sono arrivati dalla tassa di tre euro sui biglietti, e solo 7 milioni dai contributi dei lavoratori. Come detto, però, i privilegiati non sono solo i dipendenti di Alitalia. Non potendo regalare loro un vantaggio del genere, pena le bacchettate della Commissione Europea, le modifiche apportate nel 2008 da Berlusconi riguardavano tutti gli impiegati del trasporto aereo. «La decisione di creare una cassa integrazione speciale è stata voluta dal sindacato, che ha scelto così di proteggere ulteriormente i già tutelati e tralasciare ancora una volta i precari», dice Dario Balotta, già allora, da segretario della Cisl Trasporti Lombardia, contrario all’accordo.
Il risultato finale è che tra i beneficiari del Fondo ci sono oggi dipendenti delle più svariate compagnie, alcune nemmeno italiane. Nulla di irregolare, per carità: si tratta di gente assunta con contratto di lavoro italiano. Il problema è che tutto questo è costato, dal 2008 a oggi, circa un miliardo di euro. Senza considerare nel calcolo i furbetti. Alcuni piloti hanno infatti pensato di farsi assumere per sedersi alla cloche di aerei delle compagnie straniere. Ovviamente senza comunicarlo all’Inps. E incassando così, contemporaneamente, contributo pubblico e stipendio. Un pilota, ad esempio, si è portato a casa la doppia paga per due anni: 175mila euro di cassa integrazione e 161mila da un concorrente mediorientale dell’Alitalia. Di casi del genere la Guardia di Finanza ne ha scoperti 18, con un danno totale di 1,8 milioni per i contribuenti.
Al di là della cassa integrazione stratosferica, per raggiungere i 6,5 miliardi spesi dagli italiani per l’Alitalia mancano ancora parecchie voci. Innanzitutto ci sono le tasse evase dalla vecchia compagnia di bandiera, quella precedente alla gestione dei patrioti. Secondo le verifiche fiscali condotte dal Nucleo di polizia tributaria di Roma, tra il 2004 e il 2009 Alitalia avrebbe infatti gonfiato alcuni costi evitando di versare al fisco oltre 1 miliardo di euro. Difficile recuperare quei quattrini, visto che ad evadere sono state le società Alitalia Linee Aeree Italiane e Alitalia Servizi, entrambe in amministrazione straordinaria. E difficile sarà anche recuperare gli altri denari persi per strada. Ci sono quelli investiti da Poste Italiane, azienda pubblica che, per dare ossigeno alle casse dei capitani coraggiosi, alla fine dell’anno scorso comprò il 20 per cento di Cai, sborsando 75 milioni di euro e intestandosi di fatto anche un quinto del debito della compagnia, cioè 200 milioni di euro. L’iniezione di liquidità oggi si è già volatilizzata. E, visto che Etihad dovrebbe entrare in Alitalia con un aumento di capitale riservato, è molto probabile che alla fine la quota di Poste venga diluita, con conseguente perdita dell’investimento, pochi mesi dopo il suo ingresso nel capitale.
Nel computo delle spese di Stato, stimano gli economisti della Bicocca, c’è anche un ulteriore miliardo di euro, che deriva dalle minori entrate fiscali che lo Stato avrebbe potuto incassare dal 2009 a oggi. È l’effetto della trasformazione di Alitalia in Alitalia-Cai, una compagnia molto più piccola, con relativa diminuzione di fatturato e versamenti di tributi e imposte. Infine, ci sono i costi aggiuntivi che i viaggiatori hanno dovuto sopportare in seguito al passaggio di Alitalia nelle mani di Colaninno e soci. Tra i vari effetti della privatizzazione, infatti, c’è stato il monopolio garantito su alcune tratte. La Milano-Roma, ad esempio, ma anche la Roma-Palermo, la Milano-Napoli e altre. Direttrici su cui Alitalia, diventata un tutt’uno con Airone, ha di fatto esercitato un monopolio per tre anni, dal 2008 al 2011, senza che l’Antitrust potesse intervenire perché così aveva deciso per decreto il governo. L’effetto è stato quello di avere prezzi dei biglietti bloccati. Una situazione costata 50 milioni di euro all’anno ai viaggiatori, cioè 200 milioni in totale, ha calcolato l’università Bicocca. E che alla fine non è servita neppure per garantire la sopravvivenza e l’autonomia dell’ex compagnia di bandiera, visto che i consumatori hanno reagito scegliendo sempre più spesso i treni ad alta velocità, entrati nel frattempo in funzione sul tragitto Milano-Roma-Napoli.
Ora che Alitalia dovrebbe passare sotto il controllo di fatto di Etihad, la compagnia di Stato di Abu Dhabi, una delle migliori al mondo in termini di servizi ed efficienza, c’è chi spera nella fine degli sprechi pubblici. Di certo, in sordina, un ultimo regalo è già stato preparato. È scritto a pagina 152 della legge Destinazione Italia, entrata in vigore lo scorso febbraio, quando al governo c’era Enrico Letta e il ministro dei Trasporti era Maurizio Lupi, lo stesso in carica oggi. La legge dice, in sostanza, che per allungare di altri tre anni la vita del Fondo speciale, se necessario il governo alzerà la tassa aeroportuale oggi fissata a 3 euro. Perché prepararsi ad un aumento? Perché Etihad l’ha detto fin da subito: per rilevare Alitalia, vuole ridurre il personale di 2.200 unità. Se i soldi del Fondo non basteranno, ci penserà ancora una volta Pantalone
Il fondo speciale per il personale del trasporto aereo e le compagnie beneficiarie
Ecco chi beneficia del Fondo, che integra cassa integrazione straordinaria, mobilità e contratto di solidarietà. Ai lavoratori, per un totale di sette anni, spetta un assegno pari all'80% dello stipendio percepito nell'ultimo anno di lavoro
13 giugno 2014
Principali società italiane beneficiarie
Nome Società | Numero addetti |
---|---|
Alitalia (pubblica) | 3920 |
Alitalia-Cai | 3259 |
Meridiana | 1455 |
Sea | 679 |
Ata Italia | 460 |
Windjet | 440 |
Livingstone | 343 |
Aeroporti di Roma | 294 |
Alha Airport | 279 |
Volare | 215 |
Avio | 210 |
Air Italy | 184 |
Myair | 178 |
Air One | 174 |
Tutte le società straniere beneficiarie
Nome Compagnia | Numero addetti |
---|---|
Lufthansa + Air Dolomiti | 239 |
Ocean Airlines | 48 |
Japan Airlines | 32 |
Klm | 18 |
Menzies Aviation | 16 |
Air France | 13 |
Aegean Airlines | 8 |
Olympic Airlines | 8 |
Aerolineas Argentinas | 8 |
Air Seychelles | 8 |
British Airways | 8 |
Malev Hungarian Airlines | 8 |
Air Mauritius | 7 |
Jet Airways | 7 |
Aeroflot | 6 |
Brussels Airlines | 5 |
Continental Airlines | 4 |
Libyan Airlines | 4 |
Syrian Arab Airlines | 7 |
Yemen Airways | 4 |
Scandinavian Airlines | 3 |
Air Mailta | 2 |
United Airlines | 2 |
http://espresso.repubblica.it/affar...ia-etihad-compra-gli-italiani-pagano-1.168970
http://espresso.repubblica.it/affar...per-il-personale-del-trasporto-aereo-1.168998