Ricorre oggi il quarantesimo anniversario della strage di Ustica, quando il DC-9-15 I-TIGI dell'Itavia esplose sopra il Tirreno provocando la morte delle 81 persone a bordo.
Si tratta, come ben noto, di una delle più controverse vicende della storia del nostro Paese, caratterizzata da un'indagine e da un procedimento giudiziario che ad oggi non sono riusciti a mettere la parola fine sull'intricata dinamica dei fatti che portò alla caduta dell'aereo.
Prendendo spunto da un mio post scritto alcuni fa, ripercorro brevemente le tappe di questa vicenda:
Il 7 gennaio 1998 il giudice Rosario Priore chiude l’inchiesta, trasmettendo gli atti ai PM Settembrino Nebbioso, Vincenzo Rosselli e Giovanni Salvi, che, il 31 luglio successivo chiedono il rinvio a giudizio per i generali dell’Aeronautica militare Lamberto Bartolucci, Zeno Tascio, Corrado Melillo e Franco Ferri, con l’accusa di attentato contro gli organi costituzionali. I magistrati precisano di non essere in possesso di elementi idonei per stabilire quali furono le cause della caduta del DC9.
Il 28 settembre 2000 si apre a Roma davanti alla sezione III della Corte d’Assise di Roma, il processo sui presunti depistaggi, che si conclude il 30 aprile del 2004
con l'assoluzione da tutte le accuse per i generali dell’Aeronautica Lamberto Bartolucci, Franco Ferri, Zeno Tascio e Corrado Melillo. Per un capo di imputazione, nei confronti di Ferri e Bartolucci, riguardante le informazione errate fornite al Governo in merito alla presenza di altri aerei la sera dell’incidente, il reato è considerato prescritto in quanto derubricato.
Con il deposito delle motivazioni, il successivo 27 novembre, i giudici chiariscono che a loro giudizio è errata l’ipotesi che il MiG trovato sulla Sila sia precipitato la stessa sera del disastro del DC9.
Il 3 novembre 2005 prende avvio il processo di appello contro i generali Bartolucci e Ferri perché rispondano del reato di omessa comunicazione al Governo di informazioni sul disastro di Ustica, che si conclude 15 dicembre successivo quando i giudici della prima Corte d’Assise d’Appello di Roma, presieduta da Antonio Cappiello, assolvono “perché il fatto non sussiste” Bartolucci e Ferri.
Il 10 maggio 2006 la Procura Generale di Roma propone ricorso per Cassazione, che, il 10 gennaio del 2007, assolve definitivamente i generali Bartolucci e Ferri.
Il 10 settembre 2011 la parola passa al tribunale civile di Palermo, dove il giudice Paola Proto Pisani condanna in sede civile i ministeri della Difesa e dei Trasporti al pagamento di oltre 100 milioni di euro in favore di ottanta familiari delle vittime della strage di Ustica. Secondo il giudice, che non dispone nuove indagini, la condanna per i i due ministeri è motivata dal non aver fatto abbastanza per prevenire il disastro. Passa in sintesi la linea del mancato controllo dello spazio aereo, in conseguenza del quale non fu garantita la sicurezza del volo. Di fatto si ribaltano le conclusioni dei procedenti giudizi in sede penale.
Secondo le conclusioni del tribunale civile di Palermo "sussistono comprovati elementi per ritenere" che l'aereo civile sarebbe sia stato abbattuto durante una azione di guerra svoltasi nei cieli italiani.
La Cassazione in data 28 gennaio 2013 ha confermato la condanna stabilita dal giudice di Palermo, sostenendo che "è abbondantemente e congruamente motivata "la tesi secondo la quale fu un missile ad abbattere l'aereo".
Si conclude, senza conclusioni, una storia tutta italiana.
Si tratta, come ben noto, di una delle più controverse vicende della storia del nostro Paese, caratterizzata da un'indagine e da un procedimento giudiziario che ad oggi non sono riusciti a mettere la parola fine sull'intricata dinamica dei fatti che portò alla caduta dell'aereo.
Prendendo spunto da un mio post scritto alcuni fa, ripercorro brevemente le tappe di questa vicenda:
- Il giorno dopo l'incidente viene nominata dal Ministro dei Trasporti (Rino Formica, all'epoca) una commissione di inchiesta, presieduta dal Carlo Luzzatti. Nel team investigativo vengono invitati Antonio Ruscio (dirigente DGAC), Riccardo Peresempio (Civilavia), Francesco Bosman (ingegnere del RAI), Aldo Mosti (ufficiale dell'AM), Enzo Antonini (Cpt Itavia), Gaetano Manno e Bernardo Sclerandi (primi ufficiali Itavia), Pietro Fucci (medico legale) e Pietro De Luca (esperto sanitario). Prestano assistenza alla Commissione i delegati della Federal Aviation Administration e dell'NTSB.
- La commissione conclude i lavori il 16 marzo 1982, stabilendo che la causa del disastro possa verosimilmente addebitarsi ad una esplosione. Che tuttavia è impossibile collocare all'interno o all'esterno dell'aereo. Si suggerisce quindi il recupero del relittoper condurre indagini più precise.
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- Il Pubblico Ministero Giorgio Santacroce nel frattempo commissiona ad un esperto dell'NSB americano, John Micidull, un'altra perizia. Viene richiesta in quanto la compagnia Itavia, soprattutto per iniziativa di Mario Cinti (Direttore delle Relazioni Esterne di Itavia ed ex ufficiale dell'AM), sostiene che la causa della strage sia da identificarsi in un missile. La perizia, consegnata il 25 novembre del 1980, viene svolta sui pochissimi frammenti rinvenuti in mare e sulle ipotesi formulate dalle parti, e conferma, in termini di possibilità, l'ipotesi del missile.
- Il Giudice Istruttore Vittorio Bucarelli commissiona il 21 novembre del 1984 una nuova perizia al Prof. Massimo Blasi, ed iniziano i lavori di recupero del relitto del DC-9. Il 10 giugno del 1987 viene recuperata la scatola nera,il CVR ed alcune altre componenti del relitto, che vengono quindi prese in esame dalla Commissione Blasi.
- Il 16 marzo del 1989 la commissione Blasi nella prima relazione conclusiva ritiene maggiormente probabile l'ipotesi del missile. Al momento della consegna della relazione finale, solo il 30% del relitto è stato recuperato.
- Proseguono nel frattempo le operazioni di recupero del relitto, e il GI dispone una serie di quesiti supplementari alla luce dei nuovi reperti individuati. Viene poi completata la perizia radaristica della Selenia, che fornisce il quadro interpretativo dei tracciati e dei tabulati. La commissione Blasi a questo punto si spacca, e due componenti su cinque (lo stesso Blasi e Massimo Cerra della Selenia. il sesto è Carlo Romano, il medico legale, che non si esprime) rigettano la prima conclusione affermando come alla luce dei nuovi reparti e delle nuove perizie l'ipotesi più verosimile sia quella dell'esplosione interna. Si schierano contro, sostenendo invece l'ipotesi del missile, Ennio Imbimbo, Leonardo Lecce, Mariano Migliaccio.
- Viene quindi chiesto alla Commissione Blasi di produrre una nuova perizia, le cui conclusioni vengono presentate il 26 maggio del 1990. Si tratta ancora una volta di una doppia e completamente discordante valutazione. Blasi e Cerra parlando di bomba a bordo e ritengono che non siano visibili altri aerei dalle tracce radar; Imbimbo, Lecce e Migliaccio sostengono invece la tesi del missile e della presenza di tracce riconducibili ad altri aerei.
- Nel 1990, dopo un duro scontro con l'allora Sottosegretario alla PdC Giuliano Amato, Bucarelli si dimette e viene sostituito da Rosario Priore. Questi nomina una nuova commissione, presieduta dal Prof. Aurelio Misiti, che dispone adesso del 90% del relitto.
- La commissione Misiti presenta le sue conclusioni il 23 luglio del 1994, affermando che la sola ipotesi di una esplosione a bordo, con ordigno collocato nella toilette, risulta accettabile. Due membri della commissione, il Prof. Casarosa e il Prof. Held, chiedono che venga allegata una nota aggiuntiva. In questa nota aggiuntiva concordano in linea di massima con le conclusioni di Misiti e degli altri periti, ma sostengono anche che l'ipotesi della bomba presenta dei margini d'errore, non potendosi quindi attribuire un margine di certezza completo. Dagli atti dell'inchiesta: "Casarosa e Held, membri del collegio peritale, che distinguevano parzialmente le proprie conclusioni dagli altri periti in quanto, nella loro nota aggiuntiva alla relazione finale, sostenevano che l'alta probabilità dell'ipotesi di un'esplosione interna non doveva portare ad escludere categoricamente altre ipotesi (in particolare la semi-collisione), la cui coerenza dipendeva tuttavia dalla eventuale acquisizione di nuovi elementi circa la presenza di altri velivoli. Casarosa ed Held ritenevano pertanto l'ipotesi esplosione interna "molto probabile ma affetta da non trascurabili livelli di incertezza".
- Nel 1993, invece, un collegio di parte civile presieduto dall'esperto americano Robert Sewell aveva ipotizzato l'impatto con due missili.
- Nel maggio del 1995 i periti del collegio radaristico presieduto dal Prof. Enzo Delle Mese, e composto anche dai colleghi Donali e Tiberio, presenta conclusioni altamente contraddittorie, che comprendono sia l'ipotesi della presenza di tre aerei militari nelle immediate vicinanze del DC-9 Itavia, sia in realtà l'assoluta assenza nell'arco di circa 50/60 miglia. Escludono inoltre la manomissione dei tracciati forniti dall'AM agli inquirenti.
Il 7 gennaio 1998 il giudice Rosario Priore chiude l’inchiesta, trasmettendo gli atti ai PM Settembrino Nebbioso, Vincenzo Rosselli e Giovanni Salvi, che, il 31 luglio successivo chiedono il rinvio a giudizio per i generali dell’Aeronautica militare Lamberto Bartolucci, Zeno Tascio, Corrado Melillo e Franco Ferri, con l’accusa di attentato contro gli organi costituzionali. I magistrati precisano di non essere in possesso di elementi idonei per stabilire quali furono le cause della caduta del DC9.
Il 28 settembre 2000 si apre a Roma davanti alla sezione III della Corte d’Assise di Roma, il processo sui presunti depistaggi, che si conclude il 30 aprile del 2004
con l'assoluzione da tutte le accuse per i generali dell’Aeronautica Lamberto Bartolucci, Franco Ferri, Zeno Tascio e Corrado Melillo. Per un capo di imputazione, nei confronti di Ferri e Bartolucci, riguardante le informazione errate fornite al Governo in merito alla presenza di altri aerei la sera dell’incidente, il reato è considerato prescritto in quanto derubricato.
Con il deposito delle motivazioni, il successivo 27 novembre, i giudici chiariscono che a loro giudizio è errata l’ipotesi che il MiG trovato sulla Sila sia precipitato la stessa sera del disastro del DC9.
Il 3 novembre 2005 prende avvio il processo di appello contro i generali Bartolucci e Ferri perché rispondano del reato di omessa comunicazione al Governo di informazioni sul disastro di Ustica, che si conclude 15 dicembre successivo quando i giudici della prima Corte d’Assise d’Appello di Roma, presieduta da Antonio Cappiello, assolvono “perché il fatto non sussiste” Bartolucci e Ferri.
Il 10 maggio 2006 la Procura Generale di Roma propone ricorso per Cassazione, che, il 10 gennaio del 2007, assolve definitivamente i generali Bartolucci e Ferri.
Il 10 settembre 2011 la parola passa al tribunale civile di Palermo, dove il giudice Paola Proto Pisani condanna in sede civile i ministeri della Difesa e dei Trasporti al pagamento di oltre 100 milioni di euro in favore di ottanta familiari delle vittime della strage di Ustica. Secondo il giudice, che non dispone nuove indagini, la condanna per i i due ministeri è motivata dal non aver fatto abbastanza per prevenire il disastro. Passa in sintesi la linea del mancato controllo dello spazio aereo, in conseguenza del quale non fu garantita la sicurezza del volo. Di fatto si ribaltano le conclusioni dei procedenti giudizi in sede penale.
Secondo le conclusioni del tribunale civile di Palermo "sussistono comprovati elementi per ritenere" che l'aereo civile sarebbe sia stato abbattuto durante una azione di guerra svoltasi nei cieli italiani.
La Cassazione in data 28 gennaio 2013 ha confermato la condanna stabilita dal giudice di Palermo, sostenendo che "è abbondantemente e congruamente motivata "la tesi secondo la quale fu un missile ad abbattere l'aereo".
Si conclude, senza conclusioni, una storia tutta italiana.