Aerei, l’ad di Air France: «Servono sacrifici per ripartire, Alitalia entri nel patto transatlantico»
Anne Rigail, 51 anni, amministratrice delegata di Air France non si illude. Vaccino o no la ripresa del trasporto aereo richiederà sacrifici e una certa visione per poter non soltanto sopravvivere al coronavirus. «Stiamo affrontando una crisi lunga e incerta: nessuno può prevedere i tempi della ripartenza», dice durante un’intervista al Corriere della Sera durante la sua giornata trascorsa a Milano. Ma quando quella ripartenza avverrà i francesi vorrebbero aver di fianco anche Alitalia, vettore che negli anni è stata croce e delizia dei transalpini.
Quali sono le conseguenze del coronavirus su Air France?
«Dopo lo stop totale — durante il quale abbiamo comunque rimpatriato più di 250 mila francesi — a metà giugno abbiamo riavviato alcune rotte. Ad agosto abbiamo volato al 70% della capacità di un anno prima sulle tratte nazionali, al 55% su quelle di medio raggio (in particolare Italia, Grecia, Spagna, Portogallo), mentre a causa delle diverse restrizioni nei Paesi il segmento intercontinentale non è andato oltre il 30%. Il tutto con tassi di riempimento più bassi (inferiori del 20-30% rispetto al periodo) e ricavi scesi del 70%».
Quali sono i piani per i prossimi mesi?
«Prima dell’estate avevamo previsto una ripresa graduale arrivando fino al 70% delle attività a dicembre. Ma a settembre abbiamo visto che le prenotazioni turistiche sono calate rapidamente e non notiamo alcuna ripresa del traffico business per ovvie ragioni (sanitarie, aziendali ed economiche)».
Siete preoccupati per questa seconda ondata di coronavirus in Europa?
«Abbiamo notato sempre più restrizioni, più quarantene e test obbligatori. Prima di avere un vaccino potremmo riaprire alcune rotte con test rapidi come state sperimentando a
Milano e Roma. Una maggiore armonizzazione delle misure sanitarie e delle restrizioni a livello europeo è un prerequisito per la ripresa del traffico».
Cosa ne pensa della proposta della Iata di test rapidi in partenza per tutti i passeggeri internazionali?
«Sono totalmente d’accordo e può essere fatto velocemente. Assieme alle misure sanitarie adottate, al ricambio dell’aria e ai sistemi di filtraggio all’interno dei nostri aeromobili questo è l’unico modo per far ripartire il traffico aereo in tempi brevi».
E in Francia come vi state muovendo?
«Abbiamo chiesto al governo di certificare i test rapidi, ma ci servono laboratori in aeroporto. Bisogna poi convincere tutti i Paesi, a partire da quelli europei, a concordare su questa misura. Poi si può pensare ad aprire dei “corridoi” con Stati come gli Usa: ne stiamo parlando con il nostro partner Delta Air Lines».
Ma chi dovrebbe pagare i test rapidi in aeroporto: il governo locale o il passeggero?
«Non sono sicura che tutti i governi accetterebbero di pagare i test. Ma sono sicura che se avessero un costo ragionevole molte persone sarebbero disposte a farsene carico per poter viaggiare in tutta tranquillità»
Le compagnie europee puntavano molto sull’estate appena passata per recuperare qualcosa. Sembra che le cose non siano andate benissimo.
«Per noi l’attività è stata di poco inferiore alle previsioni. Guardando avanti non ci aspettiamo una ripresa del traffico business per questo limiteremo l’offerta al 50% di un anno fa fino alla fine del 2020 e fino a quando non avremo una procedura condivisa a livello europeo sullo screening in partenza».
Come sta cambiando la vostra connettività?
«Operiamo su 170 rotte e ci adeguiamo alla domanda modulando le frequenze. Quello di Air France-Klm è un network bilanciato. In attesa che riaprano gli Usa e l’Asia abbiamo una forte presenza nei Caraibi, nell’Oceano Indiano e in Africa: per i prossimi mesi vediamo una forte domanda in queste aree. Ai passeggeri offriamo la massima flessibilità: chi prenota con noi potrà cambiare volo e destinazione oppure ottenere un rimborso per qualsiasi motivo».
A proposito di rimborsi: a quanto ammontano?
«Finora come Air France abbiamo restituito 1,1 miliardi di euro. Abbiamo ancora pratiche da concludere, ma stiamo accelerando i processi digitalizzando le richieste ed aumentando il numero di persone dedicate all’assistenza clienti che ora è di 700».
Quanta liquidità consuma Air France?
«Circa 10 milioni di euro al giorno, ma stiamo lavorando per limitare le perdite adottando tutte le misure possibili».
Il coronavirus sembra aver azzerato le differenze tra le compagnie...
«Penso che soltanto i vettori che sapranno trasformarsi profondamente potranno continuare a volare. Bisogna sopravvivere a questa lunga crisi ed essere pienamente competitivi quando sarà il momento di ripartire. Del resto è anche una condizione del governo francese in cambio dei 7 miliardi di euro di prestito: sostenibilità e competitività. Per questo abbiamo avviato la ristrutturazione».
In che senso?
«Abbiamo intanto avviato le uscite volontarie: ad agosto hanno aderito 368 piloti, circa il 10% della categoria. Altri 1.151 membri dell’equipaggio hanno annunciato che lasceranno l’azienda entro la fine di ottobre ai quali potrebbero aggiungersi nei prossimi mesi fino a 3.640 tra il personale di terra».
Con quante persone ripartirete dopo il Covid-19?
«Oggi abbiamo attorno ai 45 mila dipendenti, il piano di ristrutturazione prevede circa 7.600 esuberi: 6.560 in Air France e 1.020 nella divisione regional Hop. Un taglio del 16-17%».
E Transavia France, la vostra divisione a basso costo?
«La faremo crescere sul medio raggio e anche sul mercato domestico per meglio competere con le low cost».
Il governo francese vi ha chiesto anche di ridurre alcune rotte nazionali...
«Quelle sulle tratte che si possono raggiungere in treno da Parigi in meno di 2 ore e mezzo. Non sono coinvolti i voli di connessione. Questo vuol dire che non cambia nulla sull’attività al “Charles de Gaulle”, ma all’aeroporto di Orly — dove operiamo più punto a punto —non riattiveremo i voli per Bordeaux, Lione e Nantes. Questo ci aiuterà a raggiungere l’obiettivo di ridurre le emissioni di CO2 sulla rete domestica rispetto al 2019 del 50% entro il 2024».
Delta Air Lines e Virgin Atlantic sono assieme a voi i membri della nuova joint venture transatlantica. Dove sta Alitalia in tutto questo?
«Lo
scorso maggio è terminata la precedente alleanza che avevamo con loro, ma nonostante questo consideriamo Alitalia un partner di vecchia data. Abbiamo ancora un accordo commerciale attraverso il codeshare. Proporremo ad Alitalia di unirsi a questa joint venture come “membro associato”. Voglio mantenere un forte rapporto con la compagnia italiana».
«Membro associato» sembra però più un partner di secondo livello. Perché non di primo livello?
«Perché la joint venture è di fatto a tre: Air France-Klm, Delta e Virgin. Per me Alitalia non sarebbe di certo di secondo livello. Proporremo anche ad altri vettori di unirsi a noi come “membri associati”».
Immagino che ogni investimento nella nuova Alitalia sia fuori discussione.
«In questo momento nessuno pensa a mettere soldi altrove, nemmeno la compagnia più potente del mondo a livello finanziario come Delta. Tutti si stanno concentrando sulla sopravvivenza. A un certo punto il consolidamento riprenderà, ma per ora dobbiamo gestire le conseguenze economiche della pandemia. Nel 2021 saremo in una realtà completamente diversa: alcune compagnie falliranno, per questo la trasformazione è importante».
L’impatto ambientale sta diventando sempre più rilevante.
«Ho tre attivisti sul tema nella mia famiglia (il marito e i due figli, ndr). I francesi premono molto sulla questione, come gli olandesi e gli scandinavi. Dobbiamo accelerare i nostri piani e comunicare meglio le nostre azioni che intraprenderemo. Air France si impegna da molti anni a ridurre il proprio impatto. Tra il 2005 e il 2019 abbiamo ridotto le nostre emissioni nette globali di CO2 del 15% mentre il traffico è cresciuto del 32%».
Come ridurrete le emissioni?
«Per ora non abbiamo soluzioni innovative nel trasporto aereo. Per questo il primo passo è il rinnovo della flotta, utilizzando gli Airbus A350 (per i voli intercontinentali, ndr) e gli A220 (per le rotte nazionali ed europee, ndr). Entrambi i velivoli emettono oltre il 20% in meno di anidride carbonica. La seconda fase è l’introduzione del biocarburante derivante dalla lavorazione dei rifiuti o l’introduzione di combustibili sintetici. Ma entrambi devono essere disponibili a un costo inferiore rispetto a oggi».
Quale la convince di più l’aereo a idrogeno proposto da poco da Airbus o quello elettrico?
«Non ho preferenze, il primo che arriva lo compriamo. L’aereo elettrico sembrerebbe oggi in fase più avanzata, ma quello a idrogeno potrebbe avere più capacità e autonomia. Penso che entrambe le soluzioni vadano bene. Noi europei dobbiamo essere i primi a introdurre i nuovi aerei green».
Lei è una delle poche donne nell’aviazione a ricoprire l’incarico di amministratrice delegata: il settore continua a essere dominato dai maschi. Il Covid-19 aiuterà a risolvere la disparità di genere?
«Noi in Air France comunque abbiamo diverse donne ai vertici. Il coronavirus ha di certo accelerato il dibattito su diverse cose, ma di certo non su questo tema e non so come potrebbe. Io ad esempio sono ingegnere e in Francia le studentesse iscritte ai corsi di Ingegneria sono davvero poche, non più del 20-25% del totale. Se vogliamo più donne ai vertici delle compagnie aeree dobbiamo andare nelle scuole elementari e dire alle ragazzine di iscriversi ai percorsi scientifici altrimenti non cambierà nulla».
Intervista del «Corriere» all’amministratrice delegata Anne Rigail: «Necessari 7.600 esuberi. Sì ai test rapidi in aeroporto per far ripartire i viaggi. Più investimenti sul volo green»
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