A Lenny ma cosa hai bevuto stasera??
Probabilmente stava gozzovigliando con Raimondo Bultrini di Repubblica.
Tragedie prevenibili e opinioni pubbliche distratte
Eccoci di nuovo a parlare di un incidente aereo e del fatto che potrebbero esserci delle responsabilità umane a monte dell’uscita fuori pista di un grande Boeing 737 spaccato in due cadendo in un dirupo nell’aeroporto di Kozhikode in Kerala. Stavolta possiamo quantomeno escludere le colpe del pilota, un comandante veterano che probabilmente ha fatto del suo meglio per evitare una tragedia ancora più grande viste le condizioni disastrose delle piste d’atterraggio e gli errori di valutazione della Torre di controllo che non lo ha avvisato delle condizioni atmosferiche e dei problemi tecnici fin dalla partenza del volo da Dubai.
Basterebbe partire da un dato incontrovertibile, riferito in un passaggio dell’articolo sul Times of India online: “Lo scorso luglio – è spiegato - all'aeroporto di Calicut (altro nome per Kozhikode, ndr) era stato notificato un avviso di verifica dalla Direzione Generale dell'Aviazione Civile (DGCA),
a seguito di una serie di aerei che si allontanavano dalla pista per atterrare su piste allagate. L'ispezione della DGCA a Calicut aveva rivelato preoccupazioni come ‘eccessivi depositi di gomma’, oltre a trovare crepe e ristagni d'acqua su parti della pista. Aveva anche evidenziato in alcune zone una pendenza superiore a quella consentita”.
ALLUVIONI E TEMPLI
Sarà forse cinico ricordare che nel mese di luglio e nello stesso giorno dell’incidente i media nazionali, gli intellettuali e perfino i capi di Stato erano assai meno preoccupati degli allagamenti dei monsoni che hanno costretto all’esodo milioni di poveri abitanti del nord est che del dibattito acceso sul nuovo tempio induista di Ayodhya nell’Uttar Pradesh. Piuttosto che andare a verificare le condizioni degli alluvionati o quelle della pista di Calicut, il premier Narendra Modi ha preferito recarsi a posare la prima pietra di una costruzione religiosa che costerà parecchi milioni di dollari, raccolti attraverso collette di fedeli e devoti del dio Ram.
Vogliamo ricordare che per quel tempio non solo un’enorme quantità di ore in dibattiti, ma anche molte vite sono andate perse fin da quando – nel 1993 - una folla di fanatici uccise migliaia di musulmani per distruggere la precedente moschea di Babri sorta – a loro dire – sul presunto luogo di nascita del dio hindu.
Seguirono stragi di vendetta in diversi cinema di Mumbai attribuite alla mafia musulmana, nonché infinite discussioni e interventi della Corte Suprema sulla necessità di costruire al posto della moschea distrutta il tempio a Ram, “necessità” supportata da numerosi pellegrinaggi religiosi nella città dell’UP. Poi Il 27 febbraio 2002 uno di questi gruppi di cosiddetti “karsevak” (o servitori volontari della religione) di ritorno in treno da Ayodhya dove si erano recati a pregare per la costruzione del tempio hindu, vennero uccisi da un incendio all'interno di una delle carrozze del Sabarmati Express vicino alla stazione ferroviaria di Godhra, nello stato indiano del Gujarat. Ci furono 59 vittime, e l’incidente venne attribuito a un vasto gruppo di musulmani dei quali 31 furono processati e condannati per la strage considerata una “cospirazione premeditata”.
LE STRAGI DEL GUJARAT
Il giorno dopo, il 28 febbraio, folle di induisti inferociti si misero alla caccia di musulmani, senza distinguere tra uomini, donne e bambini, colpevoli o meno. Accadde ad Ahmedabad, la capitale dello stato del Gujarat a quel tempo governato dal capo ministro Narendra Modi, oggi premier dell’intera India. Molti lo accusarono di aver chiuso un occhio sulle violenze durate per tre lunghi giorni, ma a prescindere dalla responsabilità politiche un numero tra i 1000 e i 2000 esseri umani, soprattutto islamici e anche induisti, persero la vita in modo atroce. Il tempio di Ayodhya, dopo un periodo di apparente oblìo del dibattito, ritorno’ nell’agenda politica nazionale quando Modi fin dalla prima campagna elettorale per la poltrona di premier nazionale promise la sua costruzione come punto d’onore di una nuova politica nazionalista e religiosa, opposta a dieci anni di “secolarismo” del Partito del Congresso.
Molti potranno ritenere eccessivo un accostamento tra Ayodhya e l’incidente del Kerala, e forse da un certo punto di vista lo è. Ma il principio è lo stesso che dovrebbe farci riflettere – con un parallelo sguardo all’Italia e al Libano – sulle vere priorità che ogni governo dovrebbe tenere in mente quando si pensa al benessere della collettività, e sull’attenzione che i “governati”, cio’ tutti noi, dovrebbero concentrare su problemi assai più pratici degli infiniti dibattiti sul vuoto che caratterizzano le pagine di molti media nazionali.
DIBATTITI E SUPERFICIALITA'
Se nel nostro Paese ancora si discute di tanto in tanto sulle responsabilità di chi non ha ispezionato la sicurezza del ponte di Genova e di tante altre opere pubbliche che necessitano di severe ristrutturazioni e consolidamenti, molto più tempo è stato di certo speso a preoccuparci dei singoli membri di questa o quella coalizione politica, delle loro azioni e battute più o meno infelici, perfino dei loro costumi da bagno. Gli stessi problemi creati dal coronavirus sembrano a un’osservazione attenta affrontati molto più superficialmente di quanto non si faccia con le parole e i gesti di Salvini.
Quantomeno a Beirut, alla vigilia della tragica esplosione nel deposito di nitrato d’ammonio, non si parlava altro che della drammaticità della crisi economica e del progressivo aumento della povertà tra strati sempre più larghi della popolazione. A sua discolpa il pubblico libanese puo’ invocare l’attenuante di essere rimasto del tutto ignaro di quel terribile rischio quotidiano, a causa del lungo silenzio e disinteresse delle autorità verso una miccia perennemente accesa nel cuore della metropoli.
Tornando all’India, l’assenza di un dibattito sullo stato delle opere pubbliche, dagli aeroporti alle strade, ai ponti e ai palazzi che continuano a crollare da Mumbai a Delhi, da Calcutta a Chennai, è ancora più paradossale considerando la impressionante quantità di articoli e servizi tv dedicati al suicidio di un attore di Bollywood, Sushant Rajput Singh, trovato impiccato nella sua casa a metà giugno e ancora oggetto di animate ipotesi sui veri motivi del gesto, inclusi i sospetti di una morte per “magia nera” e la sua vera o presunta depressione.
ARMAMENTI E OPERE PUBBLICHE
Di certo più serie sono state le analisi del confronto armato che sta avvenendo sui confini himalayani tra India e Cina, e molto si è detto e scritto sulle implicazioni internazionali di un conflitto che vede Delhi schierata con gli Usa nella guerra fredda contro Pechino. Ma non trovo affatto secondario porsi il problema dell’enorme dispendio di soldi ed energie usati per costruire strade e aeroporti per carri armati e caccia militari a quote vertiginose per tenere sotto controllo un territorio brullo e inospitale, mentre strutture civili importanti dentro le rispettive nazioni avrebbero bisogno di costante monitoraggio e aggiustamento. E in questo l’India non è meno responsabile della Cina che ha speso miliardi in dighe regolarmente travolte da inondazioni che distruggono coltivazioni e la vita di milioni di persone. Non a caso entrambi i Paesi, senza contare gli Stati Uniti alle prese con tifoni e virus, continuano a preferire le spese per la sicurezza militare (India, Cina e Usa sono insieme alla Russia i maggiori acquirenti di armamenti bellici) agli investimenti per la salvaguardia dei propri cittadini dal ricorrere di incidenti come quello di Kozhikode.
Eccoci di nuovo a parlare di un incidente aereo e del fatto che potrebbero esserci delle responsabilità umane a monte dell’uscita fuori pista di un grande Boeing 737 spaccato in due cadendo in un dirupo nell’aeroporto di Kozhikode in Kerala. Stavolta
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