Arrivati alla stazione mi viene indicata la marshrutka per Sary Mogul che partirà intorno alle 13. Lascio quindi lo zaino nel bagagliaio ed approfitto della sosta di qualche ora per fare un giro nei paraggi e sistemare un po’ di cose.
Vado a comprare il biglietto aereo di ritorno in una delle numerose agenzie presenti, nella classica strada asiatica dove si trovano decine di attività identiche. Prima di andar via la ragazza dell’agenzia mi chiede soddisfatta se può fare una foto alla copertina del mio passaporto italico. Ovviamente acconsento.
Altra fermata per cambiare il poco cash che mi sono portato dietro e scopro che anche cambiare i soldi non è facile come sembra. Faccio il giro di un paio di banche ed alla vista dei miei Euro fanno cenno negativo. Provo allora ai money exchange, ma anche qui sento un “No Euro” dietro l’altro, fino a che non torvo un’anima pia disposta a cambiarli. Infine faccio un paio di altri stop per ricaricare la sim locale e mangiare qualcosa, e poi torno alla stazione per prendere posto sulla marshrutka che partirà con un’accettabile mezz’ora di ritardo.
La strada, tratto kirghizo della Pamir Highway, è ben asfaltata e si inerpica man mano sempre di più sulle montagne, offrendo splendidi panorami.
Tutto ok se non fosse per la guida decisamente sportiva dell’autista, che sembra prediligere i sorpassi all’esterno, preferibilmente in curve cieche.
Arrivati al bivio di Sary Tash si hanno tre possbilità: girare a sinistra verso il confine cinese, proseguire sulla Pamir Highway verso il Tajikistan, o, come nel mio caso, andare a destra per ritrovarsi nella splendida Alay Valley, uno spettacolare altopiano che si estende per 150 km ad un’altitudine compresa tra il 2300 ed i 3500 metri, e ai cui lati si innalzano le catene montuose del Pamir e appunto degli Alay.
Dopo circa 4 ore di viaggio arriviamo a Sary Mogul. Prendo il mio zaino dalla marshrutka, che poi prosegue la sua corsa lungo la valle, e cerco di capire se già oggi sarà possibile trovare un passaggio che mi porti ad uno dei campi vicini al Lenin Peak.
Eccolo là In lontananza il Lenin Peak, 7134 metri. È considerato il 7000 più facile da scalare e per questo agognato da molti. Non è comunque il mio caso dato che parliamo pur sempre di un 7000, non certo una passeggiata di salute, che richiede un’ottima dose di preparazione e più tempo di quello che ho a disposizione.
Raggiungo l’ufficio CBT, agenzia locale che gestisce un campo nell’aerea, ed incontro uno dei responsabili intento a sistemare un vecchio fuoristrada Mitsubishi. Mi dice che l’intenzione è quella di andare su al campo, ma non sa se la macchina ce la farà ad arrivare. Per me va bene tentare e, dopo aver caricato le provviste, partiamo insieme ad altre persone che lavorano al campo. Dato che sarebbero comunque dovuti andare, mi accordo per 500 som invece dei canonici 2000 richiesti per questa tratta.
Ci avviamo verso le montagne del Pamir attraverso l’altopiano che sale gradualmente, facendo un paio di stop per controllare lo stato di salute macchina.
Dopo circa un’ora arriviamo al lago Tulpar, il più grande di circa 40 laghetti che si trovano incastonati tra queste colline, sulle cui sponde si trovano alcuni yurta camp che oltre al posto letto offrono colazione e cena.
Il tempo è pessimo e purtroppo le previsioni non sono incoraggianti.
Dato che l’unica altra ospite è una ragazza tedesca, ci viene data una yurta a testa.
Anche qua si deve ovviamente fare a meno dell’acqua corrente. Nelle yurte è invece presente una stufa che viene accesa durante la notte, mentre nella “stanza comune” si trova un piccolo generatore utile per poter ricaricare il telefono.
Il giorno seguente mi sveglio con l’intento di andare al Traveller’s Pass, situato proprio sotto il Lenin Peak ad un’altitudine di 4100 metri. Anche la ragazza tedesca ha in programma di andare là, per cui, nonostante il tempo inclemente, dopo colazione ci incamminiamo insieme sotto una leggera pioggia.
Nell’area sono presenti centinaia di marmotte che si vedono un po’ ovunque. E se non si vedono si sentono, con il loro inconfondibile fischio. E se non si sentono si rischia di inciampare in una delle loro buche.
Per andare al Campo base dobbiamo attraversare un ponte, che il giorno precedente ci dicono essere stato impraticabile a causa del livello troppo alto dell'acqua
Ma mano che ci avviciniamo la pioggia inizia a farsi sempre più fitta
Quando arriviamo al campo base, da dove partono le varie spedizioni alpinistiche per raggiungere la vetta della montagna, sta venendo giù un nubifragio. Le nuvole sono basse ed il Picco è totalmente coperto
Ci ripariamo inizialmente sotto una pensilina e poi veniamo inviatati dai gestori del campo ad attendere dentro una yurta. Dopo un’oretta non si vede neanche l’ombra di un miglioramento, e dato che le previsioni continuano ad essere pessime, decidiamo a malincuore di tornare indietro.
Tornati al campo metto i vestiti ad asciugare e mi butto sul letto. Mi inizia a balenare il pensiero che forse neanche riuscirò a vederla per bene questa montagna.
Intorno alle 13 però mi bussano alla porta: “Adesso è sereno!”. Mi fiondo fuori ed eccolo là, sotto un cielo inaspettatamente azzurro!
Prendiamo velocemente le nostre cose e siamo pronti a rimetterci in marcia. Non verso il Traveller’s Pass questa volta, che a questo punto diventa troppo lontano, ma verso un punto panoramico più vicino. Senza contare il fatto che il tempo può peggiorare rapidamente, con il rischio di rimanere un'altra volta a bocca asciutta
Non credo che le foto possano rendere merito all’imponenza di questa stupenda montagna. Man mano che ci avviciniamo rimango sempre più inebriato dal panorama che si apre davanti ai miei occhi.
Il campo base si trova dall’altro lato del fiume
Scendiamo nel Canyon passando il tratto più difficoltoso del percorso, data la scivolosità del terreno causata dalla pioggia
Dopo circa un pio d'ore, con un ultimo sforzo ci arrampichiamo sulla collinetta per raggiungere il punto panoramico che si trova proprio di fronte al massiccio. Quale posto migliore per fermarsi a mangiare qualcosa, godendosi questa vista meravigliosa.
La ragazza tedesca decide di tornare verso il campo, mentre io proseguo per un altro piccolo pezzo cercando di avvicinarmi un po’ di più. Il panorama è mozzafiato
Gli impressionanti seracchi che ricoprono la montagna
Il tempo peggiora un’altra volta e, poco dopo aver ripreso la via del ritorno, comincia nuovamente a piovere
Sulla strada incontro i miei primi (ed unici) Yak
Arrivato alla yurta sistemo le cose e vado a cena. Questa volta siamo una decina di persone, tra cui una coppia di francesi che saranno i miei compagni di stanza per la notte, ed un ragazzo israeliano che sta percorrendo tutto il Kyrgyzstan a piedi per creare un percorso che lo attraversi in toto. È qui a fare un detour con i genitori che sono venuti a trovarlo, prima di riprendere il cammino da dove lo aveva lasciato.
Le due coppie che la mattina sono partite un paio d’ore dopo di noi hanno raggiunto il Traveller’s Pass nel momento in cui il cielo si è aperto. Un po’ rosico, ma a pensare che sarei potuto arrivare a Roma senza vedere il Papa sono comunque contento così.
Viene fuori che l’indomani al campo base si terrà un festival locale, il Too fest, con cibo, musica e giochi di vario tipo. Tutti speriamo di poter vedere il Kok boru, lo sport nazionale meglio conosciuto come “Polo con la capra morta”.
In tarda mattinata partiamo per il campo base, tanto per cambiare sotto la pioggia. Sulla nostra via incontriamo diversi Kirghizi che si stanno dirigendo al festival, molti dei quali venuti appositamente da Osh.
Ci fermiamo a mangiare qualcosa ai banchetti presenti e poi facciamo un giro tra la gente che ci chiede divertita di farsi una foto con loro. Per i ragazzi più giovani è anche l’occasione di far pratica con l’inglese e tutti vogliono sapere cosa ne pensiamo del loro paese.
Prima dell’inaugurazione ufficiale, posticipata causa pioggia, vengono fatti salire sul palco una delegazione russa ed una rappresentante del governo svizzero che è tra i finanziatori dell’evento.
I giochi sono del tipo braccio di ferro, tiro alla fune ed uno molto apprezzato dalla folla in cui i due avversari si devono contendere un bastone di legno. Con molta delusione, del Kok Boru neanche l’ombra.
Seguono poi sfilate in abiti tradizionali ed una rappresentazione del poema epico di Manas, un’opera che sta al Kyrghizstan come la Divina commedia sta all’Italia.
Per concludere, concertone finale di alcuni idoli locali che ricordano molto Il Volo ma con sotto la cassa da discoteca che spinge forte.
La pioggia inizia nuovamente a scendere forte e la gente si dilegua rapidamente. Chi, come noi, torna ai rispettivi campi, chi alle macchine lasciate nei posti più disparati, chi alle tende che una compagna locale ha fornito, incluse in un pacchetto che comprendeva trasporto da/per Osh e biglietto d’ingresso.
Peccato che non ci fosse alcun biglietto da pagare e, come ho saputo successivamente, che molti siano rimasti all’addiaccio con temperature notturne vicino allo zero, perché non c’erano tende per tutti o il materiale fornito non era adeguato. Il tutto ha generato un gran tamtam sui social locali, finendo quindi per diventare una sorta di Fyre Festival in salsa Kirghiza.
Arriviamo alla yurta completamente zuppi e notiamo che non siamo i soli ad aver imbarcato acqua. Anche i letti sono infatti bagnati e non resta altro da fare che trasferirci in un’altra yurta.
La mattina successiva ci svegliamo così
Oggi ho in programma di tornare a Sary Mogul, e possibilmente proseguire per Osh. Prima però c’è il tempo per un ultimo giro.
Partiamo in 6 alla ricerca di un punto panoramico che viene segnalato su una cartina
Il paesaggio è magico ma gli altri, non riuscendo bene a capire dove sia questo posto, complice anche la neve fresca che limita il percorso, decidono di tornare indietro. Io invece, che non riesco a resistere alla coltre bianca, proseguo ancora un pezzo finchè la neve non mi arriva ben oltre le caviglie.
Mi fermo per un po’ a godere del silenzio di questo posto, interrotto solo da un boato in lontananza (probabilmente di una slavina) che mi dà il là per tornare indietro.
Sulla via del ritorno incontro una simpatica famiglia francese conosciuta il giorno prima al festival. Il più piccolo dei due figli ha sì e no sei anni. Li metto in guardia sul rumore che ho sentito e proseguo verso il campo.
Dato che siamo in 4 a voler andare direttamente ad Osh, optiamo per prendere un taxi una volta arrivati a Sary Mogul.
Un ultimo sguardo al Lenin Peak e saliamo sulla macchina che ci sta aspettando per scendere a valle
Davanti a noi la catena degli Alay, ed appena prima Sary Mogul
Ciao Pamir, spero di rivederti presto
Ci fermiamo alla guest house del CBT dove chiediamo di chiamarci un taxi per Osh. Ci dicono che è fattibile ma dovremo aspettare un po’ perché la macchina deve arrivare da lontano. Per ammazzare il tempo giochiamo e carte e andiamo a prendere qualcosa da mangiare in un mini market
Dopo un paio d’ore arriva il taxi ed in serata arriviamo ad Osh. Mi sistemo in ostello con molte difficoltà dato che la ragazza non parla una parola d’inglese e per farle capire che volevo restare due notti ci ha messo venti minuti buoni. Immaginatevi per chiedere informazioni sulla lavanderia. Tutta laserata passa più o meno così.
Il giorno dopo faccio un giro per la città. Dal punto di vista turistico Osh non offre niente di particolarmente eccitante, ma devo dire che a me piace girare in questi posti in cui “non c’è niente”, semplicemente passeggiando, osservando e conoscendo qualche persona del posto. Nonostante siano più conservatori rispetto a Bishkek, mi sembra un posto vivace in cui avrei potuto passare tranquillamente qualche giorno in più.
Faccio un giro per il mercato dove mi fermo a mangiare qualcosa
Il Trono di Salomone è l’unica vera attrattiva turistica di Osh. Una montagna sacra che sorge al centro della città, il cui profilo ricorda un corpo di donna e dove sono presenti diversi siti ai quali le credenze locali attribuiscono poteri curativi per diversi acciacchi come mal di testa, mal di schiena, problemi di vista etc. Dalla cima si ha una vista a 360 gradi della città.
Tornato in ostello trovo il ragazzo israeliano che ha lasciato i genitori e l’indomani sarà pronto a ripartire per il suo cammino, mentre io tornerò a Bishkek per gli ultimi giorni del mio viaggio.