[TR] Kyrgyzstan: Cavalli, yak e cani pazzi


WB

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17 Novembre 2007
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Splendido.
Mi sono fermato anche io nellla stessa yurta a metà percorso con la ragazza che a settembre avrebbe iniziato a studiare a Bishkek.
Penso ci siamo mancati di davvero pochi giorni e sono contento che tu non sia stato male per i samsa pieni di burro che sono capitati a me
 

FLR86

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29 Aprile 2017
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Wow! Giro fantastico, mi hai fatto venire in mente l'ultima volta che sono andato a cavallo (peferisco non contare quanti anni sono passati :unsure: 😇)
Enti, enta o anta? :)

Anche a me hai fatto ricordare un viaggio di moltissimi anni fà, in un certo senso simile ( notte in tenda, non ho chiuso occhio)
Bello, davvero molto bello!
Bellissimo!
Grazie per averlo condiviso.

ciao
Marco
TR strepitoso, che riesce ad essere ancora una volta unico!
Bellissimo! Grande! Io e un altro ebete di questi lidi siamo stati in Kyrgyzstan ma solo in aree urbane.
Bellissimo TR, e paesaggi strepitosi!
TR Fantastico!!
Finito ora. Fantastico!
Vi ringrazio!

Splendido.
Mi sono fermato anche io nellla stessa yurta a metà percorso con la ragazza che a settembre avrebbe iniziato a studiare a Bishkek.
Penso ci siamo mancati di davvero pochi giorni e sono contento che tu non sia stato male per i samsa pieni di burro che sono capitati a me
Anche tu a cavallo?
 

FLR86

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Per raggiungere Osh da Bishkek ci sono sostanzialmente due modi: via terra, in circa 13 ore di viaggio con taxi condiviso o un mezzo proprio, o con un breve volo di 40 minuti. Io opto per la seconda opzione, un po’ per motivi di tempo, un po’ per la curiosità di volare con una compagnia locale, anche se con un po’ di rammarico per essermi perso un piccolo road trip tra le montagne che, a quanto mi hanno detto, offre degli splendidi scorci panoramici.

La partenza del volo è prevista per le 8 ed intorno alle 6 sono fuori dall’ostello dove, per l’appunto, trovo una coppia di ragazzi tedeschi in procinto di salire su un taxi per l’aeroporto. Alla mia richiesta di unirmi a loro mi offrono gentilmente un passaggio.
Arriviamo al Manas Airport dopo circa 30 minuti e veniamo lasciati al piano superiore, quello delle partenze internazionali.

Prima di entrare nel terminal si passa dal prefiltraggio







L’aeroporto è abbastanza standard, con un paio di punti ristoro e qualche negozio. Dato che mi ero dimenticato di mettere in carica il telefono, sfrutto per un po’ le colonnine presenti e poi vado al piano inferiore dove si trovano le partenze nazionali.







Russia e Turchia la fanno da padrona



Il mio volo sarà con compagnia locale TezJet, black listed come tutte quelle del paese, che ha in flotta 2 Avro RJ85 e 1 MD-83. Lo screenshot del biglietto che mi aveva inviato l’ostello era tutto in cirillico, dunque non ho idea su cosa volerò, ma ovviamente spero nel Mad Dog!
Mi dirigo dunque ai banchi del check in dove lascio il bagaglio e mi viene consegnata la carta d’imbarco che, sotto mia richiesta, riporta un posto finestrino



Passati i controlli di sicurezza sono al gate, classico stanzone con un bar ed una vetrata sul piazzale, dove spicca un Il-76 russo e poco altro














Mentre ci dirigiamo al piazzale col Cobus, vedo sullo sfondo l’Avro RJ85 che ci porterà a destinazione. Un po’ di delusione c’è, ma è pur sempre un momento amarcord di quando il già BAe 146 (Jumbolino per gli amici) era l’ammiraglia dell’aeroporto di casa, prima dell’arrivo degli Airbus 319.





Il mio posto è il 5A. Appena entro nel corridoio intravedo una cara signora Kirghiza che lo sta occupando. Le mostro quindi la mia carta d’imbarco facendole gentilmente notare, in una lingua a lei incomprensibile, che quello sarebbe il mio posto. Con occhioni dolci e grandi sorrisi, mi fa capire che lei avrebbe il desiderio di rimanere dov’è. La vecchia babbiona ancora non sa che dei 96 posti disponibili, ha scelto quello del gringo sbagliato. Purtroppo per lei sono iscritto ad aviazionecivile.it quindi potrò far finta di niente e lasciar correre? Col cazzo.
Vista la mia insistenza, con aria scocciata, la gentile signora scorre nel posto centrale senza neanche mettersi in corridoio per farmi passare, dovendola quindi scavalcare per raggiungere l’agognato finestrino. Kirgyzstan 0 Italia 1.





Il volo è brevissimo, giusto il tempo per godermi un po’ di montagne dall’alto







Dopo un breve excursus sopra il suolo uzbeko, entriamo in finale con una stretta virata



Sul piazzale una serie di Il-76 in apparente dismissione



Sbarchiamo e vado al nastro bagagli in attesa di recuperare lo zaino.





Dopo un breve attesa prendo le mie cose ed esco fuori dal terminal, dove chiedo ad un tassista di portarmi alla stazione dei bus. La mia intenzione è quella di andare direttamente a Sary Mogul, un piccolo villaggio al confine col Tajikistan, nonché ultimo avamposto per chi vuole dirigersi verso il Lenin Peak. (CONTINUA)
 
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FLR86

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Arrivati alla stazione mi viene indicata la marshrutka per Sary Mogul che partirà intorno alle 13. Lascio quindi lo zaino nel bagagliaio ed approfitto della sosta di qualche ora per fare un giro nei paraggi e sistemare un po’ di cose.
Vado a comprare il biglietto aereo di ritorno in una delle numerose agenzie presenti, nella classica strada asiatica dove si trovano decine di attività identiche. Prima di andar via la ragazza dell’agenzia mi chiede soddisfatta se può fare una foto alla copertina del mio passaporto italico. Ovviamente acconsento.
Altra fermata per cambiare il poco cash che mi sono portato dietro e scopro che anche cambiare i soldi non è facile come sembra. Faccio il giro di un paio di banche ed alla vista dei miei Euro fanno cenno negativo. Provo allora ai money exchange, ma anche qui sento un “No Euro” dietro l’altro, fino a che non torvo un’anima pia disposta a cambiarli. Infine faccio un paio di altri stop per ricaricare la sim locale e mangiare qualcosa, e poi torno alla stazione per prendere posto sulla marshrutka che partirà con un’accettabile mezz’ora di ritardo.

La strada, tratto kirghizo della Pamir Highway, è ben asfaltata e si inerpica man mano sempre di più sulle montagne, offrendo splendidi panorami.





Tutto ok se non fosse per la guida decisamente sportiva dell’autista, che sembra prediligere i sorpassi all’esterno, preferibilmente in curve cieche.
Arrivati al bivio di Sary Tash si hanno tre possbilità: girare a sinistra verso il confine cinese, proseguire sulla Pamir Highway verso il Tajikistan, o, come nel mio caso, andare a destra per ritrovarsi nella splendida Alay Valley, uno spettacolare altopiano che si estende per 150 km ad un’altitudine compresa tra il 2300 ed i 3500 metri, e ai cui lati si innalzano le catene montuose del Pamir e appunto degli Alay.

Dopo circa 4 ore di viaggio arriviamo a Sary Mogul. Prendo il mio zaino dalla marshrutka, che poi prosegue la sua corsa lungo la valle, e cerco di capire se già oggi sarà possibile trovare un passaggio che mi porti ad uno dei campi vicini al Lenin Peak.







Eccolo là In lontananza il Lenin Peak, 7134 metri. È considerato il 7000 più facile da scalare e per questo agognato da molti. Non è comunque il mio caso dato che parliamo pur sempre di un 7000, non certo una passeggiata di salute, che richiede un’ottima dose di preparazione e più tempo di quello che ho a disposizione.



Raggiungo l’ufficio CBT, agenzia locale che gestisce un campo nell’aerea, ed incontro uno dei responsabili intento a sistemare un vecchio fuoristrada Mitsubishi. Mi dice che l’intenzione è quella di andare su al campo, ma non sa se la macchina ce la farà ad arrivare. Per me va bene tentare e, dopo aver caricato le provviste, partiamo insieme ad altre persone che lavorano al campo. Dato che sarebbero comunque dovuti andare, mi accordo per 500 som invece dei canonici 2000 richiesti per questa tratta.

Ci avviamo verso le montagne del Pamir attraverso l’altopiano che sale gradualmente, facendo un paio di stop per controllare lo stato di salute macchina.







Dopo circa un’ora arriviamo al lago Tulpar, il più grande di circa 40 laghetti che si trovano incastonati tra queste colline, sulle cui sponde si trovano alcuni yurta camp che oltre al posto letto offrono colazione e cena.
Il tempo è pessimo e purtroppo le previsioni non sono incoraggianti.



Dato che l’unica altra ospite è una ragazza tedesca, ci viene data una yurta a testa.
Anche qua si deve ovviamente fare a meno dell’acqua corrente. Nelle yurte è invece presente una stufa che viene accesa durante la notte, mentre nella “stanza comune” si trova un piccolo generatore utile per poter ricaricare il telefono.

Il giorno seguente mi sveglio con l’intento di andare al Traveller’s Pass, situato proprio sotto il Lenin Peak ad un’altitudine di 4100 metri. Anche la ragazza tedesca ha in programma di andare là, per cui, nonostante il tempo inclemente, dopo colazione ci incamminiamo insieme sotto una leggera pioggia.





Nell’area sono presenti centinaia di marmotte che si vedono un po’ ovunque. E se non si vedono si sentono, con il loro inconfondibile fischio. E se non si sentono si rischia di inciampare in una delle loro buche.



Per andare al Campo base dobbiamo attraversare un ponte, che il giorno precedente ci dicono essere stato impraticabile a causa del livello troppo alto dell'acqua





Ma mano che ci avviciniamo la pioggia inizia a farsi sempre più fitta





Quando arriviamo al campo base, da dove partono le varie spedizioni alpinistiche per raggiungere la vetta della montagna, sta venendo giù un nubifragio. Le nuvole sono basse ed il Picco è totalmente coperto



Ci ripariamo inizialmente sotto una pensilina e poi veniamo inviatati dai gestori del campo ad attendere dentro una yurta. Dopo un’oretta non si vede neanche l’ombra di un miglioramento, e dato che le previsioni continuano ad essere pessime, decidiamo a malincuore di tornare indietro.
Tornati al campo metto i vestiti ad asciugare e mi butto sul letto. Mi inizia a balenare il pensiero che forse neanche riuscirò a vederla per bene questa montagna.
Intorno alle 13 però mi bussano alla porta: “Adesso è sereno!”. Mi fiondo fuori ed eccolo là, sotto un cielo inaspettatamente azzurro!



Prendiamo velocemente le nostre cose e siamo pronti a rimetterci in marcia. Non verso il Traveller’s Pass questa volta, che a questo punto diventa troppo lontano, ma verso un punto panoramico più vicino. Senza contare il fatto che il tempo può peggiorare rapidamente, con il rischio di rimanere un'altra volta a bocca asciutta





Non credo che le foto possano rendere merito all’imponenza di questa stupenda montagna. Man mano che ci avviciniamo rimango sempre più inebriato dal panorama che si apre davanti ai miei occhi.









Il campo base si trova dall’altro lato del fiume



Scendiamo nel Canyon passando il tratto più difficoltoso del percorso, data la scivolosità del terreno causata dalla pioggia



Dopo circa un pio d'ore, con un ultimo sforzo ci arrampichiamo sulla collinetta per raggiungere il punto panoramico che si trova proprio di fronte al massiccio. Quale posto migliore per fermarsi a mangiare qualcosa, godendosi questa vista meravigliosa.



La ragazza tedesca decide di tornare verso il campo, mentre io proseguo per un altro piccolo pezzo cercando di avvicinarmi un po’ di più. Il panorama è mozzafiato







Gli impressionanti seracchi che ricoprono la montagna





Il tempo peggiora un’altra volta e, poco dopo aver ripreso la via del ritorno, comincia nuovamente a piovere



Sulla strada incontro i miei primi (ed unici) Yak





Arrivato alla yurta sistemo le cose e vado a cena. Questa volta siamo una decina di persone, tra cui una coppia di francesi che saranno i miei compagni di stanza per la notte, ed un ragazzo israeliano che sta percorrendo tutto il Kyrgyzstan a piedi per creare un percorso che lo attraversi in toto. È qui a fare un detour con i genitori che sono venuti a trovarlo, prima di riprendere il cammino da dove lo aveva lasciato.
Le due coppie che la mattina sono partite un paio d’ore dopo di noi hanno raggiunto il Traveller’s Pass nel momento in cui il cielo si è aperto. Un po’ rosico, ma a pensare che sarei potuto arrivare a Roma senza vedere il Papa sono comunque contento così.
Viene fuori che l’indomani al campo base si terrà un festival locale, il Too fest, con cibo, musica e giochi di vario tipo. Tutti speriamo di poter vedere il Kok boru, lo sport nazionale meglio conosciuto come “Polo con la capra morta”.

In tarda mattinata partiamo per il campo base, tanto per cambiare sotto la pioggia. Sulla nostra via incontriamo diversi Kirghizi che si stanno dirigendo al festival, molti dei quali venuti appositamente da Osh.







Ci fermiamo a mangiare qualcosa ai banchetti presenti e poi facciamo un giro tra la gente che ci chiede divertita di farsi una foto con loro. Per i ragazzi più giovani è anche l’occasione di far pratica con l’inglese e tutti vogliono sapere cosa ne pensiamo del loro paese.










Prima dell’inaugurazione ufficiale, posticipata causa pioggia, vengono fatti salire sul palco una delegazione russa ed una rappresentante del governo svizzero che è tra i finanziatori dell’evento.
I giochi sono del tipo braccio di ferro, tiro alla fune ed uno molto apprezzato dalla folla in cui i due avversari si devono contendere un bastone di legno. Con molta delusione, del Kok Boru neanche l’ombra.



Seguono poi sfilate in abiti tradizionali ed una rappresentazione del poema epico di Manas, un’opera che sta al Kyrghizstan come la Divina commedia sta all’Italia.









Per concludere, concertone finale di alcuni idoli locali che ricordano molto Il Volo ma con sotto la cassa da discoteca che spinge forte.

La pioggia inizia nuovamente a scendere forte e la gente si dilegua rapidamente. Chi, come noi, torna ai rispettivi campi, chi alle macchine lasciate nei posti più disparati, chi alle tende che una compagna locale ha fornito, incluse in un pacchetto che comprendeva trasporto da/per Osh e biglietto d’ingresso.
Peccato che non ci fosse alcun biglietto da pagare e, come ho saputo successivamente, che molti siano rimasti all’addiaccio con temperature notturne vicino allo zero, perché non c’erano tende per tutti o il materiale fornito non era adeguato. Il tutto ha generato un gran tamtam sui social locali, finendo quindi per diventare una sorta di Fyre Festival in salsa Kirghiza.

Arriviamo alla yurta completamente zuppi e notiamo che non siamo i soli ad aver imbarcato acqua. Anche i letti sono infatti bagnati e non resta altro da fare che trasferirci in un’altra yurta.

La mattina successiva ci svegliamo così



Oggi ho in programma di tornare a Sary Mogul, e possibilmente proseguire per Osh. Prima però c’è il tempo per un ultimo giro.
Partiamo in 6 alla ricerca di un punto panoramico che viene segnalato su una cartina







Il paesaggio è magico ma gli altri, non riuscendo bene a capire dove sia questo posto, complice anche la neve fresca che limita il percorso, decidono di tornare indietro. Io invece, che non riesco a resistere alla coltre bianca, proseguo ancora un pezzo finchè la neve non mi arriva ben oltre le caviglie.









Mi fermo per un po’ a godere del silenzio di questo posto, interrotto solo da un boato in lontananza (probabilmente di una slavina) che mi dà il là per tornare indietro.



Sulla via del ritorno incontro una simpatica famiglia francese conosciuta il giorno prima al festival. Il più piccolo dei due figli ha sì e no sei anni. Li metto in guardia sul rumore che ho sentito e proseguo verso il campo.

Dato che siamo in 4 a voler andare direttamente ad Osh, optiamo per prendere un taxi una volta arrivati a Sary Mogul.
Un ultimo sguardo al Lenin Peak e saliamo sulla macchina che ci sta aspettando per scendere a valle



Davanti a noi la catena degli Alay, ed appena prima Sary Mogul











Ciao Pamir, spero di rivederti presto



Ci fermiamo alla guest house del CBT dove chiediamo di chiamarci un taxi per Osh. Ci dicono che è fattibile ma dovremo aspettare un po’ perché la macchina deve arrivare da lontano. Per ammazzare il tempo giochiamo e carte e andiamo a prendere qualcosa da mangiare in un mini market







Dopo un paio d’ore arriva il taxi ed in serata arriviamo ad Osh. Mi sistemo in ostello con molte difficoltà dato che la ragazza non parla una parola d’inglese e per farle capire che volevo restare due notti ci ha messo venti minuti buoni. Immaginatevi per chiedere informazioni sulla lavanderia. Tutta laserata passa più o meno così.

Il giorno dopo faccio un giro per la città. Dal punto di vista turistico Osh non offre niente di particolarmente eccitante, ma devo dire che a me piace girare in questi posti in cui “non c’è niente”, semplicemente passeggiando, osservando e conoscendo qualche persona del posto. Nonostante siano più conservatori rispetto a Bishkek, mi sembra un posto vivace in cui avrei potuto passare tranquillamente qualche giorno in più.
Faccio un giro per il mercato dove mi fermo a mangiare qualcosa



Il Trono di Salomone è l’unica vera attrattiva turistica di Osh. Una montagna sacra che sorge al centro della città, il cui profilo ricorda un corpo di donna e dove sono presenti diversi siti ai quali le credenze locali attribuiscono poteri curativi per diversi acciacchi come mal di testa, mal di schiena, problemi di vista etc. Dalla cima si ha una vista a 360 gradi della città.





Tornato in ostello trovo il ragazzo israeliano che ha lasciato i genitori e l’indomani sarà pronto a ripartire per il suo cammino, mentre io tornerò a Bishkek per gli ultimi giorni del mio viaggio.
 
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FLR86

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Di prima mattina sono pronto per andare in aeroporto e prendere il volo che mi riporterà a Bishkek. Mi faccio chiamare dalla ragazza della reception uno “Yandex Taxi”, l’Uber russo molto comodo da utilizzare per girare in città, la cui applicazione non è però presente negli store europei, motivo per il quale per utilizzarlo bisogna affidarsi a qualcuno del posto.

Dopo circa mezz’ora arrivo all’Osh International Airport







Mi dirigo ai banchi del check-in Tezjet dove trovo una comitiva di ragazzi indiani che presumibilmente sta tornando verso casa. Mi avevano infatti detto che molti indiani vengono a studiare presso l’università locale per ragioni di convenienza economica.



Passo la sicurezza e sono al gate, dove attraverso la vetrata scorgo nuovamente l’RJ85 dell’andata.










Salgo sul Cobus ormai rassegnato all’idea di non volare sul Mad Dog. Invece poco dopo, dal finestrino del bus scorgo lui…



Eccolo là L’MD-83 Tezjet che mi riporterà a Bishkek!
Il bus si ferma alla scaletta anteriore, ma io non mi perderò certo l’occasione di salire dalla posteriore, e mi fiondo controcorrente col rampista che cerca inutilmente di fermarmi.











Mentre salgo mi accorgo di essermi dimenticato di chiedere il posto finestrino…Un po’ attapirato vado verso il 22C che si rivela essere sull’uscita di emergenza.





Almeno il posto per le gambe non manca



Mi aspetto che vengano a farmi un briefing per la sicurezza ed infatti arriva il rampista che mi chiede “Parli russo?” “No”. Briefing concluso.









C’è da dire che il rumore dei motori al decollo di questa macchina fa sempre la sua porca figura!



Il volo è breve e dopo poco più di 30 minuti atterriamo a Bishkek. Sul piazzale un po’ di Turchia sia passeggeri che cargo







Avia Traffic è invece un’altra compagnia Kirghiza che opera tra gli altri due A320



Dopo una breve attesa al nastro bagagli esco fuori e prendo un taxi che mi porti all’ostello, questa volta il People Hostel nella zona Sud-est della città.
Durante il tragitto, condiviso con altri due passeggeri, provo con mano la pessima fama degli autisti kirghizi. Nel superare una macchina ferma infatti, il taxi si sposta sull’altra carreggiata andando a tamponare la macchina che stava provenendo dal senso opposto. Fortunatamente avviene tutto a bassa velocità, ma è quanto basta per far rientrare la ruota anteriore e concludere qua la corsa.



Aspetto che un altro tassista venga a prendermi per portarmi all’ostello e poi vado a fare due passi in città.
Le vie centrali di Bishkek sono ben tenute ed all’apparenza non sono poi così diverse da quelle che si possono trovare in altre parti del mondo, con fast food, negozi e bei caffè internazionali



In uno di questi mi fermo a mangiare, salvo poi rendermi conto di non avere più cash, ed alla mia richiesta di pagare con carta di credito ho già il presentimento di come andrà a finire. Mi tocca quindi lasciare un buffo che tornerò a saldare entro fine giornata.

Proseguendo verso Ala Tul Square, la piazza principale della città, l’architettura sovietico esce fuori prepotentemente.





Il palazzo del Parlamento



E quello del governo





La mattina successiva vado ritirare l'unica macchina a noleggio che sono riuscito a trovare a prezzi abbordabili. Non si tratta di un fuoristrada ma di una city car, non proprio raccomandabile vista la condizione delle strade, ma questo passa il convento.
Quando arrivo all'autonoleggio si presenta il primo problema. Infatti al momento di confermare la macchina nei giorni precedenti, mi era stata richiesta una patente internazionale, della quale non ero in possesso. In alternativa mi era stato detto che era possibile presentare una traduzione certificata della propria patente in lingua kirghiza. Avevo quindi chiesto se era possibile che se ne occupassero loro ed avevo capito di sì. Evidentemente avevo capito male, perché quando si presenta il problema mi dicono che loro non potevano farlo e che ci vuole almeno un giorno per ottenerla.
A questo punto l’unica soluzione è rischiare una multa. Il proprietario dell’autonoleggio mi suggerisce, nel caso mi fermassero, di dire che la mia patente è in inglese, tanto non lo capiscono.

Il secondo problema è ancora una volta il pagamento. Non ho abbastanza cash per pagare la cauzione di 300 dollari e la mia carta mastercard continua a fare cilecca. Decidiamo quindi che mi venga consegnata la macchina, una sconosciuta Toyota IST con volante a destra, per poi farmi accompagnare da uno scagnozzo russo al primo bancomat disponibile. Lì per lì mi viene anche da ridere alla scena di questo tizio russo che mi segue come un'ombra mentre cerco di prelevare. Dopo diversi tentativi riesco a ritirare solo una parte dei soldi richiesti, ed alla fine ci accordiamo telefonicamente per 15.000 som e 60 dollari che lascio al suddetto scagnozzo.

Finalmente riesco a mettermi in viaggio per raggiungere Balykčy, la prima cittadina che si trova sulle sponde del lago Issyk Kul arrivando da Biskhek. Guidare con il volante a destra sulla carreggiata destra non è certo il massimo della sicurezza, ma dopo un po’ ci sia abitua anche a quello.
L’asfalto non è in cattive condizioni, se non per un tratto montano in cui la pioggia ha fatto riversare il fango sulla carreggiata. Lungo la strada si trovano diverse volanti della polizia che misura la velocità con il telelaser.

Per buona parte del percorso si costeggia tra Kyrgyzstan e Kazakhstan



Faccio una sosta a mangiare qualcosa ed ecco la mia macchina in tutto il suo splendore. 450.000 km e non sentirli



Dopo circa 3 ore arrivo a Balykčy e vado in una guesthouse trovata su booking poco prima. Un posto carino e molto pulito gestito da una coppia di signori con la figlia, che parla un inglese perfetto dato che ha abitato quattro anni nel sud-est asiatico, la quale mi accompagna a fare una passeggiata fino ad una spiaggetta sul lago.









Issyk Kul significa “Lago caldo”. Il nome deriva dalla leggera salinità del lago che gli permette non ghiacciare anche nel periodo invernale. La sponda nord è quella più turistica, in cui si trovano alberghi molto frequentati da russi e turisti locali, mentre quella sud è più selvaggia e con le acque più limpide. Ed è proprio lì che vado il giorno successivo.
In tarda mattina mi metto in moto ed appena uscito da Balykčy la condizioni dell'asfalto cambiano radicalmente. Lungo la strada mi fermo per caricare un’anziana signora con la nipotina che facevano autostop. Da queste parti è la normalità visti i mezzi pubblici non proprio frequenti.



La bambina mi guarda con una beata ammirazione e provo a farle parlare due parole di inglese.
Al momento di scendere la signora le porge 50 som da darmi, che ovviamente rifiuto in maniera categorica.

Dopo tre ore e mezzo di sterrato raggiungo lo yurta camp sulle sponde del lago, vicino alla cittadina di Bökönbaev. Il tempo non è dei migliori ma ad accogliermi c’è uno splendido arcobaleno



Me ne sto un po’ in riva a lago in attesa del tramonto per godermi questi splendi paesaggi











Il posto è carino e si tratta sostanzialmente di un camping di yurte, con gli spazi comuni fatti in legno e materiale di riciclo. Sicuramente è uno dei posti dove ho visto più turisti, tra cui gli unici italiani incontrati fino ad ora, una mamma e due figlie ventenni con guida al seguito.
La mattina successiva, dopo aver fatto colazione, vado a fare un bagno nel lago. Un po’ di difficoltà ad entrare visto i massi scivolosi e taglienti, ma una volta dentro l'acqua è limpidissima e fresca al punto giusto, e non mi resta altro che godermi la splendida vista delle montagne che ci circondano.
Prendo poi le mie cose e vado verso la macchina pronto a partire, ma quando tento di accenderla mi accorgo di aver fatto un grosso errore. Ho infatti lasciato i fari accesi nella convinzione che si spengessero insieme al quadro, dimenticandomi che si trattava di una macchina un po’ agé. Fortunatamente nel bagagliaio trovo i cavi per la batteria, e dopo aver trovato assistenza riesco finalmente a rimettere in moto la macchina.

Appena mi immetto nella strada principale ecco l’ennesima auto della polizia. Questa volta però l’agente mi mostra la paletta. Accosto e gli do la patente sulla fiducia, dato che non parla una parola d’inglese. Dopo averla esaminata sommariamente mi chiede di scendere. “Vodka?” mi dice. Io gli faccio segno di no mostrandogli l'orologio e facendogli capire che non mi sembra il caso di partire con uno shottino alle 11 del mattino. Lui dubbioso fa un rotolo con un giornale e mi chiede di soffiarci dentro mentre lo annusa. Constatato che dicevo il vero ci salutiamo cordialmente.
Ma visto che avevo fatto solo poche centinaia di metri da quando ero ripartito, al momento di riaccendere la macchina la batteria non da nuovamente segni di vita. Chiamo quindi il poliziotto dall’altra parte della strada facendogli capire la situazione e in un attimo fa fermare la prima macchina che sopraggiunge per farmi attaccare i cavi.
Quindi non solo non sono stato multato per assenza di patente internazionale, ma ho anche ricevuto assistenza stradale senza richiesta di oboli di alcun tipo.

Per paura di rimanere di nuovo a piedi guido un paio d’ore lungo lago assicurandomi che la batteria sia ben carica.
Tornando verso Bökönbaev mi fermo in una delle spiagge presenti per un ultimo bagno e poi al Farytale Canyon, dove rimango per un’oretta girando tra le formazioni rocciose.







Faccio poi ritorno a Balykčy e la mattina successiva riparto con calma per Bishkek, dove riconsegno la macchina e sistemo le ultime cose prima di riprendere il volo per casa nella notte.

Come detto all’inizio non ho foto del viaggio di ritorno, se con questa con la quale si conclude il TR in una splendida area del mondo che voglio sicuramente tornare a visitare



Grazie a tutti

FINE