[STORIA] La tragedia del Monte San Giacomo, 2 agosto 1968


I-POV

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Non ero a conoscenza di questo incidente di cui cade oggi il 50° e che riporta Varesenews
Magari qualcuno ricorda qualcosa in più.

Varesenews del 02-08-2018
Un aereo nella tempesta: la tragedia del Monte San Giacomo, 2 agosto 1968
Cinquant'anni fa la zona intorno a Cuirone vide il secondo più grave disastro aereo legato a Malpensa, con dodici vittime: l'aereo finì fuori rotta e rischiò di atterrare sulla pista dell'aeroclub di Vergiate, troppo corta

Il 2 agosto del 1968 sopra Malpensa il tempo – come si legge sul dettagliato resoconto sul forum di Aeroporti lombardi – era pessimo. Un temporale violentissimo, con precipitazioni tanto abbondanti che, secondo le statistiche metereologiche, fu il giorno più piovoso degli ultimi quarant’anni, nella zona. E quello fu il giorno di uno dei peggiori incidenti aerei avvenuti nei dintorni dello “scalo della brughiera: un DC-8 dell’Alitalia si schiantò sul Monte San Giacomo, la collina boscosa sopra al borgo di Cuirone frazione di Vergiate. Lo schianto fu violento – l’aereo perse le ali – ma non fatale. Lo fu invece il rapido incendio successivo, che costò la vita a dodici persone.

Il DC-8 (un quadrimotore jet, allora molto moderno) era impegnato in un volo Fiumicino-Montreal, con scalo a Malpensa. Imbarco di passeggeri per il Canada, sbarco di qualche passeggero sulla tratta interna Roma-Milano. Ai comandi dell’aereo, con marche (la “targa” del velivolo) I-DIFW c’era il comandante Fabio Staffieri, un pilota esperto. Nel primissimo pomeriggio i bollettini meteo avvertirono dei forti temporali in arrivo sulle Prealpi, la torre di Fiumicino consigliò un rinvio, ma Staffieri decise di partire ugualmente (sull’aereo, tra equipaggio e passeggeri, erano in novantacinque), arrivando sul “sentiero” di avvicinamento a Malpensa proprio nel mezzo del temporale, con le interferenze elettromagnetiche dentro nelle nubi che ingannarono gli strumenti di bordo che captavano anche i segnali dai radiofari a terra.

Così il comandante del DC-8 prima si ritrovò fuori asse rispetto alla pista (riconobbe per un secondo il “grattacielo” di Busto, capendo di essere troppo a Est), poi fece una virata a trecentosessantagradi per riallinearsi alla pista ma avvistò per errore quella del piccolo aeroporto di Vergiate. L’atterraggio si trasformò così in incubo: a pochi metri dal suolo, nel mezzo della tempesta, il comandante si rese conto di aver di fronte una pista troppo breve, meno di un chilometro, assolutamente insufficiente per consentire ad un DC-8 (che pesava decine di tonnellate) di fermarsi senza danni. Il pilota tentò di ripartire, tirò dentro il carrello e spinse al massimo i quattro motori, ma non ci fu niente da fare: si trovò di fronte l’alta collina.

L’impatto fu violento, il Dc-8 si schiantò sui robusti alberi del monte, perse le ali e si fermò in mezzo al bosco, sul pendio. Quasi per miracolo, dopo il primo impatto a bordo i feriti erano pochi, ma l’incendio successivo uccise dodici passeggeri rimasti intrappolate nella parte posteriore dell’aereo (alcune fonti riportano erroneamente tredici). Gli altri furono soccorsi quasi subito dagli abitanti di Cuirone, il paesino che stava a poche centinaia di metri dalla collina: furono guidati da don Nando Macchi, che compare in una delle foto più famose del disastro. Un giorno rimasto impresso nella memoria dei – pochi – abitanti della zona, che era ed è ancora per certi versi prevalentemente agricola, pur essendo Cuirone frazione di Vergiate, piccolo centro con una significativa presenza industriale.

Quello del Monte San Giacomo è il secondo peggiore avvenuto nella zona di Malpensa, dopo quello che vide precipitare un Constellation della TWA nei dintorni di Olgiate Olona, in fase di decollo, con la morte di tutte le 70 persone a bordo.
 

vipero

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.
Conosco abbastanza bene il monte Vermatte, che è sopra Cimbro e praticamente attiguo al San Giacomo.
Appena riesco vado a fare un giro e vedere se c'è qualcosa...
 

nicolap

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Mi sembra fu in questo incidente che un AV, per consolare un bambino terrorizzato che viaggiava da solo, se lo mise sulle spalle e lo portò nel bosco, lontano dall'aereo, parlandogli come se nulla fosse e addirittura scherzandoci. Quando incontrarono i soccorsi, il bambino aveva già superato la fase shock.
 

londonfog

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Mi sembra fu in questo incidente che un AV, per consolare un bambino terrorizzato che viaggiava da solo, se lo mise sulle spalle e lo portò nel bosco, lontano dall'aereo, parlandogli come se nulla fosse e addirittura scherzandoci. Quando incontrarono i soccorsi, il bambino aveva già superato la fase shock.
Da ex-bambino che si e' fatto tanti viaggi UM, mi sono venute le lacrime agli occhi.
 

Nightjar

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Ciao POV, sai per caso se c'è un monumento oppure anche una stele sul luogo esatto dell'incidente?
So che per molti anni la coda del DC-8 rimase a fianco della chiesa di Cuirone. Testimonianze locali affermano che Alitalia volle lasciare il timone di coda al paese, come triste ricordo di quella tragedia.
 

Nightjar

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Ciao POV, sai per caso se c'è un monumento oppure anche una stele sul luogo esatto dell'incidente?
Per completezza di informazione, l'unica stele dovrebbe essere quella sul lato della chiesa di San Materno a Cuirone:



Foto © Associazione Aeroporti Lombardi
 

Nightjar

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Mi sembra fu in questo incidente che un AV, per consolare un bambino terrorizzato che viaggiava da solo, se lo mise sulle spalle e lo portò nel bosco, lontano dall'aereo, parlandogli come se nulla fosse e addirittura scherzandoci. Quando incontrarono i soccorsi, il bambino aveva già superato la fase shock.
Ciao Nicola, il tuo ricordo è abbastanza preciso. Ti riporto qui di seguito un brano tratto testualmente (refusi compresi) da "Il Corriere d'Informazione" del 3-4 agosto 1968:

"...Altri bambini sono al centro degli angosciati ricordi di Pasquale Calogni, il primo «stewart» del «DC-8» ricoverato all'ospedale di Somma Lombardo.
«Quando ci siamo schiantati sulla collina – racconta – ero seduto nel salottino di prua con altri membri dell'equipaggio: con me c'era un bambino di quattro anni, Oliviero Grimaldi, figlio di un giornalista di Roma, che viaggiava con la sigla 'UNAC', cioè affidato alla responsabilità della compagnia. Quando è avvenuta la sciagura è stato a lui che ho pensato per primo: a casa, a Ostia, ho anch'io due bambini. L'ho preso in braccio e l'ho trascinato fuori. Poi sono rientrato nella fusoliera e ho buttato fuori, proprio buttato fuori, letteralmente, quattro o cinque persone. Quindi sono saltato di nuovo a terra. Ho ripreso in braccio il bambino e sono sceso nella boscaglia verso il paese. Pioveva, i rami degli alberi mi frustavano la faccia, ero ferito, ma in momenti come quelli il dolore non si sente. Finalmente qualcuno ci ha soccorsi. Il bambino e io siamo stati caricati su una autoambulanza e trasportati qui all'ospedale di Somma. Per tutto il viaggio ho tenuto il piccino in braccio: quando siamo arrivati dormiva con la testa appoggiata sulla mia spalla»."

Nota: fonti diverse riportano il cognome del capo cabina come Calogni, Calogi, Cologi, Caloggi, Lologgi. Chissà quale sarà stato quello giusto...
 

nicolap

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Roma
Ciao Nicola, il tuo ricordo è abbastanza preciso. Ti riporto qui di seguito un brano tratto testualmente (refusi compresi) da "Il Corriere d'Informazione" del 3-4 agosto 1968:

"...Altri bambini sono al centro degli angosciati ricordi di Pasquale Calogni, il primo «stewart» del «DC-8» ricoverato all'ospedale di Somma Lombardo.
«Quando ci siamo schiantati sulla collina – racconta – ero seduto nel salottino di prua con altri membri dell'equipaggio: con me c'era un bambino di quattro anni, Oliviero Grimaldi, figlio di un giornalista di Roma, che viaggiava con la sigla 'UNAC', cioè affidato alla responsabilità della compagnia. Quando è avvenuta la sciagura è stato a lui che ho pensato per primo: a casa, a Ostia, ho anch'io due bambini. L'ho preso in braccio e l'ho trascinato fuori. Poi sono rientrato nella fusoliera e ho buttato fuori, proprio buttato fuori, letteralmente, quattro o cinque persone. Quindi sono saltato di nuovo a terra. Ho ripreso in braccio il bambino e sono sceso nella boscaglia verso il paese. Pioveva, i rami degli alberi mi frustavano la faccia, ero ferito, ma in momenti come quelli il dolore non si sente. Finalmente qualcuno ci ha soccorsi. Il bambino e io siamo stati caricati su una autoambulanza e trasportati qui all'ospedale di Somma. Per tutto il viaggio ho tenuto il piccino in braccio: quando siamo arrivati dormiva con la testa appoggiata sulla mia spalla»."

Nota: fonti diverse riportano il cognome del capo cabina come Calogni, Calogi, Cologi, Caloggi, Lologgi. Chissà quale sarà stato quello giusto...
Grazie mille.